Saranno stabiliti solo da un successivo decreto attuativo i criteri per il calcolo dell’indennizzo economico da riconoscere agli attuali imprenditori balneari, in caso dovessero perdere le future gare pubbliche sulle concessioni di spiaggia. Dopo mesi di infruttuose trattative tra le forze di maggioranza, la politica ha preferito per l’ennesima volta rinviare la decisione su uno dei temi più spinosi riguardanti la riforma del demanio marittimo inserita all’interno del disegno di legge sulla concorrenza, che sarà votato in Senato entro il 30 maggio. Confermato, invece, il termine del 31 dicembre 2023 affinché i Comuni effettuino i bandi per riassegnare i titoli, come imposto lo scorso novembre dal Consiglio di Stato, ma con la possibilità della deroga di un anno per le amministrazioni comunali che dovessero dimostrare difficoltà oggettive.
Ancora non esiste nessuna versione ufficiale del provvedimento, ma quel che è certo – come hanno fatto ieri trapelare fonti di governo alle agenzie di stampa – è che il testo finale rimanda ai decreti attuativi la definizione degli indennizzi, senza riferimenti all’avviamento dell’attività, al valore dei beni, a perizie e alle scritture contabili, come invece sembrava certo dalle indiscrezioni dei giorni scorsi. Le forze politiche, insomma, sono state incapaci di trovare una mediazione tra il governo che voleva calcolare gli indennizzi solo sugli investimenti non ammortizzati e le associazioni di categoria che invece chiedevano il riconoscimento dell’intero valore aziendale. Con tutta probabilità, il tema dovrà dunque essere risolto nella prossima legislatura e sarà per l’ennesima volta oggetto di promesse da campagna elettorale.
La categoria dei balneari, però, è furiosa per la dimostrazione di irresponsabilità arrivata da gran parte dei partiti e ha ormai perso le speranze e la fiducia in una classe politica incapace di decidere su un tema complesso ma importante. Come afferma Antonio Capacchione, presidente del Sib-Confcommercio, «sono state ignorate completamente le richieste delle organizzazioni sindacali e inascoltate le considerazioni delle Regioni e dei Comuni, le uniche istituzioni competenti in materia che saranno chiamate ad applicare disposizioni confuse e pasticciate. Nessuno dei 226 subemendamenti presentati da ogni forza parlamentare è stato preso in considerazione o, almeno, discusso». Anche secondo il presidente di Fiba-Confesercenti Maurizio Rustignoli, «l’emendamento di maggioranza al ddl concorrenza è una scelta di compromesso non risolutiva. Troppo poco per le imprese del comparto balneare che restano così in una grave situazione di incertezza. Il governo ha deciso di non decidere, rimettendo nelle mani di futuri decreti legislativi le sorti del nostro settore. Non è sicuramente il provvedimento di cui avevamo bisogno. Avevamo chiesto invece un intervento equilibrato che prevedesse la mappatura delle spiagge, la possibilità di avere la prelazione a parità di offerta e il riconoscimento del valore degli investimenti e dell’avviamento. Unica nota positiva è l’inserimento nel decreto degli indennizzi per i concessionari uscenti. Tuttavia, rimaniamo in un limbo di indeterminatezza insostenibile per le imprese e le famiglie. È doveroso garantire il tempo necessario per permettere al settore di organizzarsi: anticipare la scadenza delle concessioni dal 2033 al 2023 è stato un bel salto indietro, la nostra vita imprenditoriale è stata improvvisamente accorciata di dieci anni».
Per Marco Maurelli, presidente di Federbalneari Italia, «l’accordo sul ddl concorrenza è al ribasso, con l’intesa della categoria si sarebbe potuto fare qualcosa di meglio. Resta a rischio il tema degli indennizzi e degli investimenti che in questo momento non sono ipotizzabili e inoltre manca una programmazione seria, considerato che la fine del 2023, termine fissato dal governo per le concessioni, è troppo vicina. Allo stato attuale, questa riforma certifica l’esistenza di contenziosi da parte dei Comuni che invaderanno i tribunali amministrativi su gran parte delle gare, rischiando di compromettere seriamente l’assegnazione di circa 100 mila spiagge, a partire dal 2024, senza considerare quelle lacustri e dei fiumi, ad oggi indefinite nel numero. L’Italia ha un modello di accoglienza in spiaggia ritenuto un’eccellenza del turismo italiano e guardato con ammirazione dal resto del mondo, che rischia di essere compromesso dalla riforma. Federbalneari Italia è convinta che tutto il lavoro andrà fatto all’interno dei decreti legislativi, anche se il futuro resta fortemente incerto». Analogamente Mauro Vanni, presidente di Confartigianato imprese demaniali, afferma che «l’accordo annunciato per risolvere la cosiddetta “questione balneare” è la sconfitta della politica. Almeno quella alta, a cui immaginiamo sempre di affidarci quando in ballo ci sono i destini di imprese e lavoratori, nel nostro caso di famiglie che hanno speso la loro vita facendo questo mestiere. L’accordo non è un accordo in realtà, perché mancano i pezzi fondamentali, ossia la definizione di ciò che compone un accordo. La politica ci ha consegnati nelle mani dei tecnocrati del governo. Quando questi signori metteranno mano ai decreti attuativi, avranno delle linee guida che non coincideranno con quelle di tutelare imprese e lavoro, nonché una componente fondamentale del modello turistico che rappresenta un valore assoluto per il paese. Qualche giorno fa dicevo che ci sentiamo nel tritacarne. È proprio così. Serve infiocchettare un pacchetto di norme per onorare gli impegni presi con l’Ue e ottenere i sacrosanti fondi del Pnrr. E noi balneari siamo dentro a quel pacchetto, privi di diritti e dimenticati dalla politica. Ci eravamo illusi che ci fosse una “botta di orgoglio” della politica. Tempo perso. Ci attendono sulla spiaggia mesi difficilissimi e complicati anche da gestire. Mettere un’impresa nella totale incertezza, prefigura una situazione nella quale sfiducia e malcontento prevalgono. Non è il migliore viatico per i prossimi mesi».
Anche Mauro Della Valle, presidente di Confimprese demaniali, parla di «una resa di tutte le forze politiche, che appoggiano la distruttiva azione dittatoriale del premier Draghi. Abbiamo ragione di credere che il parlamento italiano abbia abdicato al governo con un cosiddetto accordo che non decide nulla, un subemendamento che alimenta anni logoranti per la serenità delle famiglie balneari italiane che vedranno demolito un periodo di passione e amore per l’accoglienza turistico-balneare made in Italy. Irrispettosa da parte del governo la decisione di svilire la richiesta del Tar di Lecce per un parere definitivo della Corte di giustizia europea». Ancora più furioso il commento del presidente di Assobalneari-Confindustria Fabrizio Licordari: «È vero, è stato trovato un accordo, ma non per salvare 30.000 piccole imprese famigliari, tutelare il lavoro di 300.000 lavoratori, salvaguardare un modello turistico che ci viene copiato e invidiato dai paesi a noi concorrenti, bensì per avviare le procedure di esproprio di queste imprese per favorire la calata in Italia di investitori stranieri che, possiamo affermarlo con certezza, forti di capitali ingenti, si andranno ad accaparrare i gioielli più preziosi della nostra penisola per standardizzare un’offerta di prodotto che nulla avrà a che fare con ciò che gli italiani oggi conoscono e apprezzano negli stabilimenti balneari che hanno costruito la storia della balneazione italiana. Le forze politiche di maggioranza non hanno saputo farsi valere nei confronti di Mario Draghi che, fin dall’inizio del suo mandato, si era posto l’obiettivo di permettere a multinazionali o banche d’affari straniere di poter calare in Italia per impossessarsi di aziende inventate e costruite nel corso dei decenni da laboriosi imprenditori che hanno investito, fidandosi di un contratto pattuito con lo Stato, oggi tradito proprio dal soggetto che per eccellenza le regole dovrebbe farle rispettare».
Insoddisfatti anche i titolari di porticcioli turistici. Queste le parole di Angelo Siclari, presidente di Assormeggi: «Uno Stato, inteso come soggetto dell’ordinamento giuridico statale, che non pone tutela e difesa verso le proprie imprese che negli anni hanno contribuito a fare del turismo del mare una vera eccellenza, riconosciuta a livello mondiale, a cosa può servire? A cosa possono servire senatori e deputati che hanno mandato parlamentare e permettono che ciò avvenga? Garantire a chi ha tanto potenziale economico da potersi accaparrare ciò che le piccole e medie imprese hanno realizzato in anni di sacrifici e con tante difficoltà, sarà uno degli errori politici, sociali e culturali che l’Italia pagherà a caro prezzo. Altro che libera concorrenza, altro che garanzia del bene pubblico, altro che aumento della qualità! Vedrete quando le piccole imprese, per lo più a conduzione familiare, si troveranno a dover competere con multinazionali o gruppi di poteri economici. Altro che aumento di spiagge libere, altro che approdi più liberi per l’ormeggio. La cosa che più fa rabbia è che questa assurdità viene presentata da taluni politici come un traguardo importante per il bene del nostro paese».
Da parte della politica tuona ancora l’opposizione, con la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni: «Quello raggiunto dalla maggioranza sulle concessioni balneari è un accordo ridicolo e vergognoso. Rimandare la questione degli indennizzi addirittura al governo, con il rischio più che concreto che questi vengano fortemente osteggiati dalla Commissione europea e non vedano mai la luce, vuol dire lasciare totalmente senza tutele i concessionari attuali, che si vedranno in buona parte espropriati le loro aziende a favore delle multinazionali straniere. Ora lo Stato espropria i privati a vantaggio di altri privati, più grandi e più forti». Aggiungono il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Francesco Lollobrigida, e il capogruppo in commissione attività produttive e turismo Riccardo Zucconi: «Quanto stabilito nella riunione governo-maggioranza sul ddl concorrenza rappresenta un fatto gravissimo al quale Fratelli d’Italia si opporrà fermamente. Rimandare a decreti legislativi la definizione dei dettagli sugli indennizzi per i concessionari balneari uscenti significa confermare la volontà di abbandonare a loro stessi migliaia di imprenditori italiani, di fatto espropriandoli di una attività nella quale hanno investito tempo, progetti e ingenti risorse anche in anni difficilissimi come quelli segnati dalla pandemia, e soprattutto mettere in ginocchio un comparto che incarna un segmento fondamentale del turismo della nazione lasciando tutte quelle aziende nella più completa incertezza rispetto ai criteri e agli indicatori valutativi dei risarcimenti che il governo dovrà successivamente stabilire in totale autonomia, col rischio infine che la Commissione europea si metta di traverso e faccia pressioni affinché gli indennizzi vengano lasciati cadere nel vuoto. Il tutto, fatto parimenti gravissimo e stupefacente, con il benestare della totalità dei gruppi parlamentari che sostengono questo esecutivo. Ribadiremo in ogni sede la più ferma e convinta contrarietà di Fratelli d’Italia a un simile scenario e continueremo a batterci al fianco degli imprenditori balneari e delle loro famiglie. Faremo di tutto per fermare questo scempio».
Dalla maggioranza, invece, questo il commento del senatore di Forza Italia Massimo Mallegni: «La vicenda delle concessioni demaniali inizia nel 2006 e francamente non si è ancora chiusa. Tuttavia passi avanti ne sono stati fatti. Dopo mesi di dibattito in commissione con altissime tensioni tra i partiti e con il governo, siamo giunti a un’intesa che francamente recepisce la posizione di Forza Italia. Non è stato assolutamente facile difendere il turismo italiano. Perché di questo si tratta, non solo le imprese concessionarie di aree demaniali, ma la tutta la nostra storia e cultura. È chiaro che senza le nostre imprese non ci sarebbe stato il turismo balneare in Italia. Il nostro paese detiene i tre quarti del patrimonio culturale mondiale, ma siamo gli unici ad avere circa ottomila chilometri di coste tutte balneabili e molte attrezzate. Il mare e l’organizzazione che lo rende fruibile e sicuro sono una delle maggiori attrattive per coloro che scelgono di andare in vacanza. Il sistema del turismo italiano produce quasi un quarto del prodotto interno lordo e occupa oltre 4 milioni di persone. Abbiamo condotto quindi una battaglia di civiltà per garantire la concorrenza, giusti prezzi e anche la salvaguardia degli investimenti fatti e quindi centinaia di migliaia di posti di lavoro che erano a rischio. Forza Italia ha sempre tenuto una posizione responsabile chiedendo un periodo transitorio adeguato prima delle eventuali procedure selettive e poi il riconoscimento degli indennizzi per i concessionari, cancellando di fatto quindi finalmente l’articolo 49 del Codice della navigazione. Farlo “digerire” a quelle forze politiche che da sempre odiano le imprese e in particolare i balneari non è stato semplice, abbiamo dovuto alzare lo scontro e chiarire che non avremmo mai votato provvedimenti contro le imprese e il futuro del turismo. Ebbene, dopo notti insonni e decine di testi, scritti e riscritti, abbiamo vinto la prima battaglia. Sia chiaro, la guerra ancora non è finita, abbiamo da scrivere i decreti delegati che dovranno uscire dalla penna dei ministri alle infrastrutture Enrico Giovannini e al turismo Massimo Garavaglia. Poi torneranno in parlamento per il parere obbligatorio. Quindi non dobbiamo mollare, perché il “partito delle tasse e della distruzione del turismo e delle imprese” è sempre in agguato. Ricordo che avendo ottenuto uno spostamento di fatto al 1° gennaio 2025, avremo anche tutto il tempo di vincere le elezioni politiche del 2023 e allora riusciremo a migliorare ancora di più le cose. In questi giorni si è anche celebrata l’udienza in Cassazione per il conflitto di attribuzione presentato da Fratelli d’Italia contro la Bolkestein, cosa che noi avevamo sconsigliato, infatti si è conclusa con un giudizio di inammissibilità: una figuraccia inutile che ha rischiato di travolgere anche noi che stavamo lavorando nell’interesse dei concessionari. Purtroppo troppo spesso chi sta all’opposizione agisce senza pensare alle conseguenze che ci potrebbero essere contro le famiglie e le imprese. La fortuna è stata che noi non abbiamo mai mollato e alla fine questa battaglia l’abbiamo vinta».
© RIPRODUZIONE RISERVATA