Nei temi più delicati – in relazione ai quali ogni decisione comporta, con ogni probabilità, un certo grado di impopolarità – il legislatore italiano, nel corso della storia, ha dimostrato molto spesso di preferire rinviare a data da destinarsi l’adozione di riforme organiche. È quanto accaduto anche alle concessioni balneari: in tale settore, difatti, si sono succedute, nel corso degli anni, diverse proroghe, per effetto delle quali la vigenza delle concessioni è stata traslata, da ultimo con la legge 145/2018, sino al 31 dicembre 20331. Dette proroghe, in contrasto con la normativa europea, hanno portato la Commissione Ue ad avviare più di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, conclusasi nel senso di cui appresso si dirà.
Tanto premesso, l’obiettivo del presente scritto è quello di: 1) de iure condido, individuare (seppure sinotticamente, in ragione della vastità della materia trattata) l’attuale stato dell’arte in materia di concessioni balneari, con riferimento al quadro legislativo e giurisprudenziale; 2) de iure condendo, intercettare delle prospettive percorribili in subiecta materia. Tuttavia, per tracciare il solco della futura strada maestra che guiderà all’affidamento dei beni demaniali marittimi turistico ricreativi, v’è la necessità di conoscere le vicende che ne hanno caratterizzato l’evoluzione storica. Del resto, come ricorda Tucidide, «bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro». E allora, che si proceda con ordine.
Inquadramento delle concessioni balneari nel contesto normativo di riferimento
Nel sistema ereditato dal diritto francese, l’uso del bene pubblico era inscindibilmente legato al regime della proprietà pubblica. Del resto, i riflessi di tale concezione si ritrovano tutt’oggi nel disposto degli articoli 41 e 42 della vigente Costituzione, oltre che negli articoli che vanno dal 822 e seguenti del Codice civile. Tale impostazione è confluita anche nel Codice della navigazione del 1942, il quale ha assegnato il ruolo di gestore del demanio dello Stato – nel quale rientra quello marittimo – al Ministero dei trasporti.
Nell’impostazione originaria del Codice della navigazione, lo Stato era non solo il proprietario dell’area, ma anche il responsabile della progettazione, della costruzione, dell’ampliamento e della gestione delle infrastrutture realizzate. In seguito, con l’avvento delle normative comunitarie in materia di liberalizzazione e, in particolare, con l’affermarsi del principio comunitario di sussidiarietà orizzontale, secondo cui i privati possono essere chiamati a realizzare attività di interesse generale, si è fatto strada il concetto che il pubblico interesse può essere perseguito anche mediante il concomitante interesse del privato.
La fase transitoria del processo di conferimento di funzioni e compiti afferenti il demanio marittimo e il mare territoriale in favore delle Regioni – e, per loro delega, degli enti locali – è stata caratterizzata da dubbi interpretativi, accresciuti da un coacervo di norme che si intersecano tra loro senza mai incontrarsi. A ciò si aggiunga che le amministrazioni dapprima deputate alle predette funzioni non hanno inteso rinunciare di buon grado ai loro tradizionali poteri, specie per quanto concerne i porti. Solo dopo diverse pronunce della Corte costituzionale, tra le quali la sentenza n. 344/2007, è stato definitivamente chiarito il nuovo quadro normativo, anche per quanto concerne i porti d’interesse regionale e interregionale, a mente delle quali spettano alle Regioni – e, per il principio di sussidiarietà, ai Comuni – le competenze relative all’esercizio delle funzioni amministrative nei porti di seconda categoria e di classe III (porti di interesse regionale e interregionale con funzione turistica e peschereccia). Il nuovo quadro normativo prevede, quindi, che l’ente comunale sia oggi titolare delle funzioni amministrative sul demanio marittimo, incluso quello portuale, che il Codice della navigazione affidava alle Capitanerie di porto e che consentono all’ente locale l’amministrazione diretta dei beni demaniali marittimi. In ragione della delega regionale in favore dell’ente locale – ove la stessa sussista, rilevato che le Regioni non sono tenute necessariamente a delegare la gestione del demanio marittimo all’amministrazione territoriale – i Comuni sono titolari delle seguenti funzioni amministrative sul demanio marittimo:
- rilascio di concessioni demaniali marittime, ai sensi dell’articolo 36 del Codice della navigazione;
- rilascio dell’atto di concessione provvisoria, ai sensi dell’articolo 10 del Codice della navigazione;
- variazione del contenuto della concessione, ai sensi dell’articolo 24 del Regolamento di esecuzione del Codice della navigazione;
- comparazione di istanze, ai sensi dell’articolo 37 del Codice della navigazione;
- anticipata occupazione di aree demaniali marittime, ai sensi dell’articolo 38 del Codice della navigazione;
- autorizzazione temporanea, ex articolo 50 del Codice della navigazione;
- autorizzazione a costituire ipoteca sulle opere costruite dal concessionario, ai sensi dell’articolo 41 del Codice della navigazione;
- revoca totale o parziale di concessioni demaniali marittime, ai sensi dell’articolo 42 del Codice della navigazione e dell’articolo 31 del relativo Regolamento di esecuzione;
- domande incompatibili, ai sensi dell’articolo 43 del Codice della navigazione;
- modifica o estinzione della concessione per cause naturali, ai sensi dell’articolo 45 del Codice della navigazione;
- affidamenti ad altri soggetti delle attività oggetto della concessione, ai sensi dell’articolo 45 bis del Codice della navigazione;
- subingresso nella concessione, ai sensi dell’articolo 46 del Codice della navigazione e dell’articolo 30 del Regolamento di esecuzione;
- decadenza della concessione, ai sensi dell’articolo 47 del Codice della navigazione.
Restano invece ascritti alla competenza statale e, in particolare, al corpo delle Capitanerie di porto, le funzioni relative a:
- delimitazione di zone del demanio marittimo, ai sensi dell’articolo 32 del Codice della navigazione;
- risoluzione delle contestazioni che sorgono nel corso della delimitazione, ai sensi dell’articolo 34 del Codice della navigazione;
- esclusione di zone dal demanio marittimo, ai sensi dell’articolo 35 del Codice della navigazione;
- predisposizione delle tabelle indicante i luoghi nei quali è possibile eseguire la raccolta e l’estrazione di arena, ghiaia e altri materiali.
Lo Stato mantiene le funzioni amministrative in materia di demanio solo nelle sottoelencate tipologie di porti e zone del demanio marittimo:
- porti rientranti nella giurisdizione territoriale delle Autorità portuali (oggi Autorità di sistema portuale);
- porti militari, per intero o in parte, per tali intendendosi anche le aree portuali destinate unicamente alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato, nonché gli specchi acquei collegati funzionalmente con i suddetti porti e aree, non permanentemente soggetti agli usi pubblici;
- aree e specchi acquei interni ai porti, nonché opere, ivi esistenti, destinate ai compiti di difesa e sicurezza dello Stato perseguiti dalle forze armate, dal corpo delle Capitanerie di porto – Guardia costiera, dalle forze dell’ordine, dai vigili del fuoco, ovvero oggetto di consegna per i medesimi compiti;
- aree e specchi acquei interni ai porti, nonché opere ivi esistenti, destinate alla realizzazione del sistema VTS e alla sicurezza della navigazione in genere;
- porti non rientranti nella giurisdizione territoriale delle Autorità portuali, ma ascritti alla competenza statale, in quanto movimentano un volume di prodotti petroliferi e combustibili pari o superiore a cinquecentomila tonnellate per anno, dovendo per tale ragione essere considerati prevalentemente destinati all’approvvigionamento di energia;
- aree demaniali marittime, specchi acquei e opere in consegna ai soggetti istituzionali, ai sensi dell’articolo 34 del Codice della navigazione e dell’articolo 36 del Regolamento di esecuzione del Codice della navigazione;
- aree demaniali marittime, specchi acquei e opere funzionali all’approvvigionamento di energia;
- aree demaniali marittime, specchi acquei e opere destinate alla realizzazione della sicurezza della navigazione in genere, nonché di impiego diretto da parte del corpo delle Capitanerie di porto – Guardia costiera, quale organo periferico del Ministero dei trasporti.
Infine lo Stato, per il tramite dell’Agenzia del demanio, esercita un ruolo di tutela del proprio interesse dominicale sui beni demaniali.
Ebbene, in questo quadro così rivisitato, il ricorso all’istituto della concessione, da evento eccezionale – laddove vi era assoluta preminenza dei valori della proprietà e dell’uso pubblico – è diventato del tutto consueto, consentendo utilizzazioni sempre più numerose e diversificate in favore dei concessionari privati, anche a vantaggio della collettività. L’evoluzione che ha caratterizzato l’istituto della concessione ha trovato riconoscimento nella stessa legge, la quale ha disposto che la concessione dei beni demaniali possa essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici e attività portuali e produttive, anche per l’esercizio di tutta una serie di attività, tra le quali spiccano proprio quelle aventi finalità turistico-ricreative.
Venendo, in particolare, alla disciplina delle concessioni demaniali marittime, va detto che essa risulta assai complessa a causa dei numerosi interventi normativi succedutisi negli anni, in assenza di un più generale riordino, spesso delineato ma mai definitivamente approvato. A ben vedere, in origine, le concessioni balneari sono state regolamentate con il Codice della navigazione (regio decreto n. 327/1942), che all’articolo 36 ha disciplinato la possibilità, per le amministrazioni, di concedere l’occupazione e l’utilizzo di porzioni di beni demaniali per un periodo di tempo fisso e predeterminato. Il successivo articolo 37, comma 2, nella sua originaria formulazione, ha previsto poi la possibilità di riconoscere al concessionario uscente il cosiddetto “diritto di insistenza”, ovvero una sorta di diritto di prelazione, un’autentica possibilità di essere preferito rispetto ad altri concorrenti al momento della valutazione delle offerte, dopo aver messo a gara la concessione. Ed è qui che il sistema italiano ha iniziato a presentare segni di instabilità; tant’è che, già nel 2009, il diritto di insistenza è stato censurato dalla Commissione Ue attraverso una prima procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano. In particolare, la Commissione Ue ha sostenuto che la norma italiana sul diritto di insistenza fosse incompatibile con la normativa sovranazionale, ritenendo che il riconoscimento di una preferenza in favore del concessionario uscente rendesse particolarmente gravoso l’ingresso nel mercato delle concessioni demaniali per soggetti diversi dai concessionari uscenti.
V’è da dire che la sopra richiamata procedura di infrazione ha fatto seguito proprio alla direttiva 2006/123/CE (nota come “direttiva Bolkestein“), il cui articolo 12 mira difatti a garantire la più ampia libertà di ingresso nel settore delle concessioni demaniali (sancendo, in particolare, che gli Stati membri debbano mettere a gara le concessioni nel caso in cui il numero delle autorizzazioni concedibili sia limitato)2. In altri termini, l’articolo 12 della direttiva persegue l’obiettivo di aprire il mercato delle attività economiche il cui esercizio richiede l’utilizzo di risorse naturali quantitativamente scarse, sostituendo a un sistema in cui tali risorse vengono assegnate in maniera automatica e generalizzata (a chi è già titolare di una concessione), un regime di evidenza pubblica che assicuri la par condicio tra i soggetti potenzialmente interessati. Tali valori hanno ormai permeato gli interventi della Commissione europea in quasi tutti i settori di interesse economico, fino a irrompere, in ambito nazionale, nel nuovo Codice degli appalti pubblici di cui al decreto legislativo n. 36/2023, che fa oggi di questi capisaldi una struttura fondante anche per l’attività contrattuale delle singole pubbliche amministrazioni nazionali.
Eppure il legislatore nazionale, se da una parte segue, senza alcun timore, le direttive comunitarie emanate in materia degli appalti pubblici, per le concessioni demaniali marittime procede in deroga allo stesso. E proprio in questo confuso e stratificato quadro normativo, affinché potessero essere arginati gli effetti della predetta legge 145/2018, è intervenuto il Consiglio di Stato in adunanza plenaria, con le sentenze gemelle numero 17 e 18 del 9 novembre 2021, il quale, richiamando i principi di rotazione, imparzialità e par condicio tra i concorrenti di cui alla direttiva Bolkestein, cristallizzati dalla Corte di giustizia europea nella sentenza del 14 luglio 2016 emessa nel caso “Promoimpresa” e in ragione della primazia del diritto europeo rispetto a quello interno, ha censurato la reiterata prassi della proroga automatica, in quanto incompatibile con il diritto eurounionale. In caso di contrasto tra diritto interno e diritto europeo deve quindi prevalere il secondo, con conseguente disapplicazione della norma interna in contrasto con quella eurounitaria. Peraltro, ad avviso del Consiglio di Stato, la disapplicazione deve essere disposta dal giudice amministrativo ma anche dalle pubblica amministrazione, atteso che sarebbe ultroneo, secondo la Corte, che la pubblica amministrazione conceda la proroga della concessione sino al 2033, sulla scorta di quanto disposto dall’articolo 1, commi 675 e 683 della legge 145/2018, se poi, in caso di ricorso da parte di terzi avente a oggetto l’intervenuta proroga automatica, tale atto di proroga sarebbe destinato a soccombere e a essere annullato dal giudice amministrativo. Tuttavia l’adunanza plenaria, consapevole del forte impatto economico e sociale della propria decisione, ne ha poi modulato gli effetti, fissando quale termine ultimo di validità delle concessioni vigenti il 31 dicembre 2023 e precisando che, una volta infruttuosamente elasso detto termine, tutte le concessioni balneari in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente dal fatto che vi sia o meno un soggetto subentrante nella concessione.
Le sentenze gemelle, anche sulla scorta della disciplina europea, hanno infine individuato i principi e i criteri che, fatta salva la discrezionalità del legislatore, dovranno ispirare lo svolgimento delle future procedure di selezione:
- la predisposizione di un indennizzo per i concessionari uscenti;
- la valorizzazione del know-how di chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi;
- la predisposizione di un limite temporale da apporre alla durata delle concessioni;
- che la misura dei canoni concessori sia anch’essa oggetto della procedura di gara per la selezione dei concessionari.
Dal canto suo il legislatore, raccogliendo l’invito della plenaria, con la legge 118/2022 (“legge sulla concorrenza”) ha:
- individuato il termine ultimo di validità delle concessioni vigenti al 31 dicembre 2023;
- affidato al governo la costituzione di un sistema informativo di mappatura delle concessioni di beni pubblici al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza, anche in forma sintetica, dei principali dati e delle informazioni relativi ai rapporti concessori, disponendo, quindi, una sorta di ricognizione dei beni demaniali marittimi;
- affidato al governo una delle questioni più dibattute, ovvero il compito di definire una pluralità di criteri uniformi per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere a tutela degli investimenti effettuati dal concessionario uscente, il cui pagamento è a carico del concessionario subentrante3.
Sempre nell’intento di fornire una qualche forma di tutela alla posizione dell’uscente, nei criteri da definire per la scelta del concessionario, anche il legislatore, come l’adunanza plenaria, ha ritenuto che si dovrà tenere in debito conto la posizione dei soggetti che hanno storicamente operato in questo settore, esercitando la propria attività di impresa quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare. Inoltre è stato previsto che, in presenza di ragioni oggettive che impediscano la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023 (connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura selettiva stessa), l’autorità competente, con atto motivato, possa differire il termine di scadenza delle concessioni in essere per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024.
Il sistema di riforma introdotto con la “legge sulla concorrenza”, apparentemente improntato all’accelerazione, è stato però parzialmente frenato attraverso il cosiddetto “decreto milleproroghe” (decreto legge n. 198 del 29 dicembre 2022, convertito in legge n. 14 del 24 febbraio 2023), il quale ha previsto il blocco delle procedure comparative. Inoltre il comma 6 sexies dell’articolo 12 (intervenendo sull’articolo 3 della legge 118/2022) ha prorogato al 31 dicembre 2024 il termine di efficacia delle concessioni in essere e al 31 dicembre 2025 il termine massimo entro il quale le amministrazioni competenti possono posticipare ulteriormente l’efficacia delle concessioni, ove per le mentovate “ragioni oggettive” (pendenza di contenziosi e difficoltà nello svolgimento della gara), non riescano a concludere le gare entro il 31 dicembre 2024 (articolo 3, comma 3, legge 118/2022).
In sede di promulgazione della legge di conversione del decreto legge numero 198 del 29 dicembre 2022, il presidente della Repubblica ha inteso inviare una lettera ai presidenti delle camere e del consiglio dei ministri, evidenziando, ancora una volta, gli aspetti contrastanti con gli indirizzi europei e promulgando la legge con delle riserve. Segnatamente, le disposizioni del decreto legge n. 128/2022 e della legge di conversione, oltre a contrastare con le definitive sentenze del Consiglio di Stato, sono state ritenute difformi dal diritto dell’Unione europea. A ciò aggiungasi che la recentissima pronuncia del Consiglio di Stato (sezione VI) n. 2192 del 1° marzo 2023 ha ritenuto «senza effetto perché in contrasto con l’ordinamento dell’Unione europea […] qualsiasi ulteriore eventuale proroga che dovesse nel frattempo intervenire».
In ultimo, a seguito del rinvio pregiudiziale del Tar di Lecce, puntuale oltre che attesa da tempo, è intervenuta la Corte di giustizia europea europea il 20 aprile 2023, statuendo che «le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente, ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente». Detta sentenza, di carattere dichiarativo e non precettivo, si è espressa su più punti. In primo luogo, la Corte di giustizia Ue ha esordito affermando inequivocabilmente e in maniera perentoria la natura immediatamente esecutiva della direttiva Bolkestein, ribadendo il carattere dettagliato e incondizionato – e quindi self-executing – delle disposizioni contenute nei primi due paragrafi dell’articolo 12. Inoltre, la Corte Ue ha affermato che le concessioni di cui trattasi debbano essere oggetto di procedura comparativa a prescindere dall’interesse transfrontaliero certo e ha altresì precisato che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili debba essere valutata combinando un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e un approccio caso per caso basato su un’analisi del territorio costiero in questione.
Va da sé che, nella valutazione del caso concreto, decisivo sarà il raggio di azione della mappatura di cui sopra, in quanto maggiore sarà l’area considerata e minore sarà la scarsità delle risorse censite. Tale concetto di scarsità è stato formulato attraverso due esplicazioni: una di tipo oggettivo, con riguardo alle risorse naturali quantitativamente intese, e l’altra di tipo soggettivo, con riferimento alle capacità tecniche fruibili e utilizzabili da chi dovrebbe mettere a frutto il bene demaniale. Peraltro, secondo la Corte Ue, la valutazione della scarsità delle risorse naturali va effettuata dallo Stato previa emanazione di criteri oggettivi che possano obiettivamente essere applicati caso per caso; per cui lo Stato potrà preferire una valutazione generale e astratta, ossia valida per tutto il territorio nazionale, ma anche seguire un approccio di tipo empirico, ossia riferito alla situazione esistente nel territorio costiero di un Comune o dell’autorità amministrativa competente, oppure combinare entrambe le scelte. Indubbiamente risulta necessaria che detti criteri «obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati» siano individuati preventivamente da parte dello Stato.
Ciò detto, è innegabile che, come pure rilevato4, occorra prendere atto di una nuova modalità di fare impresa, che imponga agli operatori economici di acquisire, anche attraverso professionisti del settore, le necessarie competenze e conoscenze tipiche delle procedure concorrenziali (impugnazione di provvedimenti illegittimi, interpretazione delle clausole, termini per impugnative, predisposizione della documentazione amministrativa, redazione dell’offerta tecnica, gestione delle clausole sociali, redazione di istanze di accesso agli atti, eccetera). Tuttavia, dal punto di vista del concessionario, altrettanto indubbiamente la procedimentalizzazione degli affidamenti risulta essere allarmante, in quanto chiama gli operatori economici a confrontarsi necessariamente con la complessità delle norme che presidiano le procedure concorsuali di evidenza pubblica, sulla falsariga di quanto avviene oggi per le gare di appalto di lavori, servizi e forniture, così come disciplinate dal nuovo “Codice degli appalti” (decreto legislativo n. 36/2023).
Muovendo da tali considerazioni, è stato pure sottolineato che gli arresti giurisprudenziali susseguitesi nel tempo, a ben vedere, non hanno mai fatto cenno al termine “gara”, bensì all’espressione “procedura di selezione trasparente e imparziale”, alludendo, allorquando ne ricorressero i presupposti, anche all’utilizzo di forme alternative alla procedura di gara come per esempio alla società mista, alla società in house, al partenariato pubblico privato, agli accordi di programma, eccetera. Trattasi, si è detto, di forme di tutela del mercato e della concorrenzialità che ben potrebbero trovare spazio come modalità alternative alle procedure di affidamento classiche e che possono garantire, analogamente a queste ultime, il rispetto del diritto dell’Unione europea e dei principi impartiti della direttiva Bolkestein e, prima di questa, dal TFUE.
A ogni modo, l’auspicio è che il governo possa celermente procedere con la mappatura delle coste (intendendosi per queste non solo quelle del mare, ma anche del demanio lacuale e fluviale), anche grazie all’ausilio del tavolo tecnico istituito lo scorso giugno presso la presidenza del consiglio dei ministri, con un ruolo consultivo in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, secondo quanto previsto dall’articolo 10 quater del decreto legge n. 198 del 21 dicembre. Il tavolo in questione, acquisiti i dati relativi a tutti i rapporti concessori in essere delle aree demaniali, avrà infatti il compito di definire i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale, sia di quello disaggregato a livello regionale, nonché della rilevanza economica transfrontaliera. Tuttavia, dopo l’ultimo incontro tenutosi sul finire del mese di luglio 2023, i lavori del tavolo sono rimandati al prossimo settembre.
Criticità delle procedure di affidamento ed eventuali conseguenze di una riforma parziale del settore
Oltre all’imposto rispetto della normativa sovranazionale in materia di procedure comparative, diversi sono gli aspetti che richiederebbero un’attenta e nuova regolamentazione conforme agli obiettivi eurounitari. In primo luogo si fa riferimento all’articolo 49 del Codice della navigazione, a mente del quale, «salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili costruite sulla zona demaniale restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso»5. Il “diritto vivente” ha ritenuto che tale norma «da un canto costituisce espressione del generale principio dell’accessione di cui all’articolo 934 del Codice civile, e d’altro canto, deroga al disposto del successivo articolo 936, che riconosce il diritto all’indennizzo per il costruttore in caso di ritenzione delle opere da parte del proprietario); e va interpretato […] nel senso che tale accessione si verifica “ipso iure”, al termine del periodo di concessione» (Corte di Cassazione, sentenza n. 5842 del 24 marzo 2004).
È frequente che rispetto a un bene realizzato su area demaniale si intersechino rapporti di natura pubblicistica e di natura privatistica, che richiedono la contemporanea applicazione del Codice civile e delle leggi speciali. Testimonia la complessità di questa disciplina l’articolo 823 del Codice civile, secondo cui «i beni che fanno parte del demanio sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore dei terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano». Che la posizione del concessionario sia “conformata” alle finalità di pubblico interesse per le quali fu accordata la concessione spiega perché il diritto vantato sulle opere realizzate in concessione sia solo assimilabile al diritto di superficie ex articolo 952 e seguenti e perché sia qualificato come diritto “precario”, in questo senso riportandosi all’affermazione secondo cui il concessionario sarebbe titolare di un «diritto reale (di superficie) di consistenza reale ma temporaneo». “Precarietà” non solo nel senso che quel diritto ha la stessa durata limitata della concessione del bene demaniale su cui insiste, estinguendosi con la revoca o con la decadenza della concessione o per la scadenza del termine di durata della stessa, ma anche nel senso che il carattere di instabilità, proprio del diritto di superficie, scaturente dalla concessione demaniale, comporta che non sia consentito all’autonomia negoziale delle parti di derogare agli effetti dell’accessione automatica, che si determina all’atto dell’estinzione del diritto di superficie6. Laddove l’assimilazione – come detto – indica che si tratti di posizione giuridica non coincidente con quella del titolare del diritto di superficie, regolata dagli articolo 952 e seguenti del Codice civile, sia perché di durata (non derogabile dalle parti) corrispondente a quella della concessione, sia perché soggetta al potere discrezionale di revoca da parte dell’amministrazione concedente.
A tutt’oggi, diverse sono le problematiche pendenti in ragione dell’applicazione dell’articolo 49. La Corte di giustizia europea, con la sentenza del 20 aprile 2023, ha rimandato al legislatore nazionale la disciplina dell’incameramento delle pertinenze demaniali, ed è di soli pochi giorni fa la proposta di un disegno di legge che mira ad abrogare l’articolo 49 stesso. A ogni buon conto, se al termine della concessione il bene non amovibile diviene una pertinenza demaniale marittima, quest’ultimo esce dalla sfera di disponibilità del privato; pertanto il concessionario uscente non avrà diritto a vedersi riconosciuto alcunché in merito allo stesso bene di difficile rimozione e l’indennizzo dovrà essere finalizzato al riconoscimento del cosiddetto valore d’impresa, un concetto ancora astratto e che merita declinazione.
Un secondo aspetto controverso riguarda i canoni concessori da porre a base di procedura comparativa, in termini di offerta economica. I canoni concessori per le finalità turistico-ricreative sono stati da ultimo disciplinati dalla legge 296/2006 (legge finanziaria per l’anno 2007), il cui scopo era quello di consentire alla pubblica amministrazione un incremento delle entrate e di rendere i canoni più equilibrati rispetto a quelli pagati ai locatori privati; finalità conforme agli articoli 3 e 97 della Costituzione e al principio di libera concorrenza. Trattasi di una valorizzazione dei beni pubblici che mira a una loro maggiore redditività per l’ente proprietario, diminuendo proporzionalmente i vantaggi dei soggetti particolari che assumono la veste di concessionari (sia nelle concessioni su beni per nautica da diporto, sia in quelle aventi scopo turistico-ricreativo), nella prospettiva di perequare le situazioni degli imprenditori che si avvalgono di beni demaniali e quelle degli imprenditori che sono assoggettati ai prezzi di mercato relativi all’utilizzazione di immobili di proprietà privata, riducendo così l’ingiustificata posizione di vantaggio di chi possa usufruire di concessioni demaniali rispetto a chi, invece, debba rivolgersi al mercato immobiliare. Va osservato che i criteri normativi introdotti dalla legge 296/2006, poi abrogati, per la rideterminazione dei canoni Omi (Osservatorio del mercato immobiliare), trovavano applicazione per le sole concessioni demaniali marittime che vantano l’utilizzo di pertinenze demaniali (beni inamovibili, acquisiti ex articolo 49 del Codice della navigazione tra le pertinenze demaniali dello Stato o da questo realizzate sin dall’origine), mentre andava esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri commisurati al valore di mercato alle concessioni non ancora scadute che prevedano la realizzazione di impianti e di infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007, sino alla loro naturale scadenza. Giunta la scadenza delle stesse e proceduto ex articolo 49 all’acquisizione della pertinenza demaniale, il canone da applicarsi al bene non amovibile doveva essere calcolato secondo l’utilizzo dei parametri Omi7.
Ebbene, seppure i canoni Omi siano stati oggetto di abrogazione, restano ancora in vigore i canoni demaniali marittimi per finalità turistico-ricreativa di cui alla legge 296/2006, i quali trovano portata applicativa obbligatoria e non derogabile nei confronti delle predette concessioni. Dunque, se si immaginasse di voler indire una procedura comparativa, ci si chiede in che modo andrebbe determinata una eventuale offerta economica sul canone a rialzo, tenuto conto che il parametro di calcolo del canone è fisso e inderogabile. Può procedersi in deroga al contenuto della legge 296/2006 oppure si necessita che la stessa sia assoggettata a intervento normativo modificativo?
Quanto dinanzi esposto potrebbe comportare un ulteriore vulnus nelle procedure comparative che potrebbe essere oggetto di impugnazione, accrescendo il già prevedibile e scontato contenzioso che si verrà ad attivare per effetto delle procedure concorrenziali. Considerato infatti che allo stato attuale le concessioni vedono la loro scadenza al 31 dicembre 2023, se pure s’intendesse procedere con delle procedure comparative all’affidamento delle concessioni suddette, come previsto dalla Corte di giustizia Ue con sentenza del 20 aprile 2023, si dovrà tenere in debito conto che insiste nell’ordinamento italiano una norma che determina la portata obbligatoria della misura del canone applicabile, non suscettibile di modifica in sede di competizione. La legge 296/2006 stabilisce dei canoni di concessione fissi e invariabili e che, quindi, non sono soggetti ad alcun aumento o diminuzione da parte dell’ente, né possono essere posti a fondamento di una base comparativa.
In ragione di quanto innanzi, in sede di procedura comparativa si potrebbe procedere soltanto alla valutazione di un’offerta tecnica, e non anche di quella economica. Ma anche in tale ottica, non va sottaciuto che ogni qualvolta s’intenda procedere alla realizzazione su di un’area demaniale marittima di un progetto che preveda opere di qualsivoglia natura, è necessaria l’acquisizione di una pluralità di pareri. Certo è che si potrebbe procedere in sede di conferenza dei servizi all’acquisizione degli stessi, ma ci si chiede quale debba essere il livello di progettazione da portare all’attenzione della conferenza. Difatti, rappresenterebbe un assurdo logico indire una procedura e affidare a un operatore economico l’area sulla quale realizzare il progetto presentato in sede comparativa, senza avere acquisito un parere preliminare in merito.
A ben vedere, si rischierebbe di minare la procedura a evidenza pubblica se i pareri venissero acquisiti solo a valle e non prima della stessa, per effetto anche di un solo parere negativo bloccante. In caso contrario, bisognerebbe procedersi all’acquisizione preventiva dei pareri su di un progetto redatto dallo stesso ente concedente, quantomeno a un livello di progettazione definitiva, lasciando all’operatore la facoltà di produrre offerta solo su di un livello di progettazione esecutiva che, comunque, sarebbe sottoposto al vaglio di un parere finale.
Si ricorda che per la realizzazione di opere su aree demaniali marittime bisogna acquisire, di regola, il parere della Soprintendenza, dell’Agenzia del demanio, dell’Agenzia delle dogane ed eventualmente degli enti parco, da concludersi con procedura Via-Vas, della Capitaneria di Porto per le opere a mare, dell’ufficio comunale edilizio o urbanistico e di quello al demanio, oltre che acquisire le autorizzazioni “commerciali” per il materiale esercizio dell’attività. A questi possono essere aggiunti ulteriori pareri, in ragione delle caratteristiche del luogo, delle attività e delle opere da realizzarsi (commissione locale infiammabili, autorità di bacino, eccetera). Anche detti aspetti potrebbero comportare un aumento della litigiosità in sede competitiva che troverebbe il naturale travaso in sede contenziosa, aggravando la “rarità delle risorse umane” che compongono la magistratura.
Ancora, non si può sottacere che ulteriori problematiche sorgerebbero in sede di esecuzione dell’assentimento in uso del bene, in quanto, una volta affidata la procedura a un operatore economico, quest’ultimo potrebbe chiedere il subentro nella concessione ex articolo 46 del Codice della navigazione, di una terza parte non partecipante alla gara, oppure un affidamento a terzi dell’attività oggetto di concessione, ex articolo 45 bis, eludendo, di fatto, la procedura che ha portato l’aggiudicazione a suo favore.
Concludendo questa breve e preliminare disamina – al netto di quanto possa verificarsi nel concreto e in sede applicativa, sul cui disquisire rappresenterebbe un solo vezzo ermeneutico –, non v’è dubbio che una materia ormai vetusta e forse anacronistica come la concessione demaniale marittima necessiti di una riforma organica che non può trovare il limite di disciplinare le sole procedure comparative, lasciando poi alla giustizia gli aspetti già prevedibilmente controversi che scaturiranno in materia. Alla luce delle riflessioni di cui sopra, non resta dunque che attendere gli ulteriori sviluppi che il legislatore nazionale saprà sapientemente disciplinare prima del dilagare del fenomeno del contenzioso, ontologicamente connesso a ogni mutamento organico del sistema normativo nazionale.
Note
- Paper Legal Team, 4 luglio 2022.
- Ibid.
- Ibid.
- Ibid.
- Ancora più marcato il riferimento all’appartenenza al patrimonio del concessionario delle opere realizzate sul demanio aeronautico. L’articolo 702 del Codice della navigazione stabilisce che le opere realizzate dal “gestore aeroportuale” (e cioè il soggetto al quale vengono affidati con concessione, ex articolo 692 del Codice della navigazione, i beni del demanio aeronautico) “sul sedime demaniale appartengono al suo patrimonio fino alla cessazione della concessione”.
- La temporaneità del diritto di superficie è, in ogni caso, un’alternativa tipicamente prevista (cfr. articolo 953 del Codice civile) dal legislatore stesso.
- I criteri di calcolo dei canoni commisurati ai valori di mercato, di cui all’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006, in quanto riferiti alle opere realizzate sul bene e non solo alla sua superficie, risultavano applicabili soltanto a quelle che già appartenevano allo Stato e che già possedevano la qualità di beni demaniali. Nelle concessioni di opere da realizzare a cura del concessionario ciò poteva avvenire solo al termine della concessione e non già nel corso della medesima. Il canone per le concessioni demaniali marittime di cui al comma 251 della legge finanziaria 2007, commisurato ai valori di mercato, trovava applicazione esclusivamente per i manufatti costituenti pertinenze demaniali, all’interno dei quali si svolgeva attività commerciale, terziario-direzionale o di produzione di beni e di servizi; ciò non poteva, ovviamente, comportare una inammissibile frammentazione dei locali adibiti ad esercizio commerciale, distinguendo aree destinate a camminatoio e sottraendo le stesse dall’area complessivamente considerata come superficie annessa al locale. Invero, al fine del calcolo del canone per le concessioni demaniali marittime, in applicazione della legge finanziaria 2007, sono stati considerati di natura commerciale anche i locali accessori come l’ingresso, la cucina, il magazzino ed i servizi igienici, in quanto anche le predette superfici concorrevano, sia pure in via accessoria, alla funzione principale cui era stata adibita la parte dell’immobile presa in considerazione ai fini del calcolo del canone Omi. I canoni concessori pertinenziali, come può facilmente intuirsi, sin dalla data della loro introduzione, hanno rappresentato una complessa dinamica della vita del concessionario demaniale, titolare di beni devoluti allo Stato, per effetto del disposto dell’articolo 49 del Codice della Navigazione. Nel corso degli ultimi lustri, in ragione delle costanti proteste dei concessionari e delle associazioni di categoria, il legislatore è intervenuto a più riprese per sospenderne il pagamento, affinché gli operatori economici potessero trovare le risorse economiche per continuare a gestire le proprie attività d’impresa. Diverse sono state le proposte di riforma concernenti i canoni pertinenziali che, di fatto, non hanno mai trovato la giusta eco in una normativa di settore che ne disponesse l’abolizione. Un primo cenno di riforma sostanziale della materia si è avuta con la legge di bilancio per l’anno 2019, la quale è intervenuta in materia di concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative, consentendo ai titolari delle stesse e dei punti di approdo, di mantenere installati i manufatti amovibili fino al 31 dicembre 2020. Con la citata legge finanziaria è stato previsto un’articolata procedura di generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime e sono state prorogate, altresì, quelle in essere, per un periodo di quindici anni, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge (al netto della precedente proroga a tutto il 31 dicembre 2020, gli anni di ulteriore proroga sono tredici). I provvedimenti adottati per fronteggiare l’emergenza sanitaria del covid-19 hanno introdotto, a loro volta, delle ulteriori previsioni normative: l’articolo 18 bis del decreto liquidità ha sospeso il pagamento dei canoni dovuti per il periodo che va dal 1° marzo 2020 al 31 luglio 2020 per l’uso di beni immobili appartenenti allo Stato. L’articolo 182 del medesimo decreto stabilisce che le amministrazioni competenti non possono avviare o proseguire a carico dei concessionari, che intendono continuare la propria attività mediante l’uso di beni del demanio marittimo, i procedimenti amministrativi per la devoluzione delle opere non amovibili, per il rilascio o l’assegnazione, con pubblica evidenza, delle aree oggetto di concessione, alla data di entrata in vigore del decreto. L’utilizzo dei beni oggetto dei procedimenti amministrativi è confermato a fronte del pagamento del canone previsto dalla concessione e impedisce il verificarsi della devoluzione delle opere. Infine, con l’articolo 100 del cosiddetto “decreto Agosto” (decreto legge n. 104 del 14 agosto 2020), è stato disposto che “1. Le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 682 e 683, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, si applicano anche alle concessioni lacuali e fluviali, ivi comprese quelle gestite dalle società sportive iscritte al registro Coni di cui al decreto legislativo 23 luglio 1999 n. 242, nonché alle concessioni per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, inclusi i punti d’ormeggio, nonché ai rapporti aventi ad oggetto la gestione di strutture turistico ricreative in aree ricadenti nel demanio marittimo per effetto di provvedimenti successivi all’inizio dell’utilizzazione. 2. All’articolo 03 del decreto- legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, con effetto dal 1° gennaio 2021 il comma 1, lettera b), punto 2.1) è sostituito dal seguente: «2.1) per le pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, il canone è determinato ai sensi del punto 1.3)». Fermo restando quanto previsto al successivo comma 4, sono comunque fatti salvi i pagamenti già eseguiti alla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni… 5. Nelle more della revisione e dell’aggiornamento dei canoni demaniali marittimi ai sensi dell’articolo 1, comma 677, lettera e) della legge 30 dicembre 2018, n. 145, sono sospesi fino al 15 dicembre 2020 i procedimenti amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore dal presente decreto e sono inefficaci i relativi provvedimenti già adottati oggetto di contenzioso, inerenti al pagamento dei canoni, compresi i procedimenti e i provvedimenti di riscossione coattiva, nonché di sospensione, revoca o decadenza della concessione per mancato versamento del canone, concernenti: a) le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, con esclusivo riferimento a quelle inerenti alla conduzione delle pertinenze demaniali, laddove i procedimenti o i provvedimenti siano connessi all’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni di cui all’articolo 03, comma 1, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, ivi compresi i procedimenti di cui all’articolo 1, comma 484, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; b) le concessioni demaniali marittime per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto. 6. Le disposizioni di cui ai commi 5, 7, 8, 9 e 10 non si applicano quando siano in corso procedimenti penali inerenti alla concessione nonché quando il concessionario o chi detiene il bene siano sottoposti a procedimenti di prevenzione, a misure interdittive antimafia o alle procedure di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. 7. Al fine di ridurre il contenzioso relativo alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, derivante dall’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni ai sensi dell’articolo 03, comma 1, lettera b) , del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, i procedimenti giudiziari o amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, concernenti il pagamento dei relativi canoni, possono essere definiti, previa domanda all’ente gestore e all’Agenzia del demanio da parte del concessionario, mediante versamento: a) in un’unica soluzione, di un importo, pari al 30 per cento delle somme richieste dedotte le somme eventualmente già versate a tale titolo; b) rateizzato fino a un massimo di sei annualità, di un importo pari al 60 per cento delle somme richieste dedotte le somme eventualmente già versate a tale titolo. 8. La domanda per accedere alla definizione di cui al comma 7 è presentata entro il 15 dicembre 2020 ed entro il 30 settembre 2021 è versato l’intero importo dovuto, se in un’unica soluzione, o la prima rata, se rateizzato. 9. La liquidazione e il pagamento nei termini assegnati degli importi di cui alle lettere a) e b) del comma 7 costituisce a ogni effetto rideterminazione dei canoni dovuti per le annualità considerate. 10. La presentazione della domanda nel termine di cui al comma 8 sospende i procedimenti giudiziari o amministrativi di cui al comma 7, compresi quelli di riscossione coattiva nonché i procedimenti di decadenza della concessione demaniale marittima per mancato pagamento del canone. La definizione dei procedimenti amministrativi o giudiziari si realizza con il pagamento dell’intero importo dovuto, se in un’unica soluzione, o dell’ultima rata, se rateizzato. Il mancato pagamento di una rata entro sessanta giorni dalla relativa scadenza comporta la decadenza dal beneficio”. Pertanto, a tutt’oggi, i canoni pertinenziali sono stati oggetto di esplicita abrogazione e coloro i quali si fossero visti notificare un provvedimento di decadenza, in ragione del mancato pagamento dei predetti canoni, mediante il pagamento del 30% dell’importo dovuto, hanno diritto ad ottenere l’annullamento del provvedimento decadenziale, sempreché la menzionata decadenza derivi esclusivamente dal mancato pagamento dei canoni e non per effetto di più concause.
© RIPRODUZIONE RISERVATA