Già dopo la sentenza del Consiglio di Stato (sezione VI) n. 7874 del 18 novembre 2019, che ha dichiarato l’illegittimità del rinnovo automatico delle concessioni demaniali disposto dal comma 683, dell’art. 1 della legge 145,/2018, da più parti era stato invocato un intervento legislativo che facesse chiarezza sulla molteplici vicende che si intrecciano attorno al nodo della scadenza delle concessioni. Eppure il riordino della materia è stato inserito solo nel ddl concorrenza, approvato lo scorso febbraio dal consiglio dei ministri e attualmente all’esame della Camera dei deputati, dopo che il provvedimento è stato approvato in prima lettura dall’aula del Senato nella seduta del 30 maggio scorso. In realtà si tratta di una legge-delega che necessiterà, dopo l’approvazione definitiva da parte del parlamento, dell’emanazione da parte del governo entro i successivi sei mesi di uno o più decreti legislativi cui sono affidati i nodi più delicati come le modalità di espletamento delle gare, la definizione di criteri premiali in sede di valutazione delle offerte e la determinazione dei canoni concessori e dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente.
Su un aspetto il disegno di legge approvato dal Senato contiene una norma di carattere precettivo, che entrerà in vigore contestualmente al testo legislativo, concernente il possibile differimento di un anno del termine del 31 dicembre 2023 previsto per l’efficacia delle attuali concessioni, in presenza di ragioni oggettive che impediscano la conclusione delle procedure di gara. È chiaro che, al di là della formulazione usata nella proposta di legge con l’intento di scongiurare l’assimilazione a una proroga ex lege (formulazione peraltro suscettibile di essere modificata dalla Camera dei deputati), è evidente che nella sostanza si tratta di un ulteriore, necessitato rinvio del termine per la conclusione delle procedure di gara per l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime.
Questo, se da una lato toglie a noi dirigenti pubblici lo spettro immediato di dover procedere alla predisposizione degli atti di gara senza un quadro giuridico chiaro di riferimento, dall’altro ci assegna la prospettiva di un ulteriore anno caratterizzato dall’incertezza giuridica e soprattutto sulla mancanza di un modello operativo di riferimento. E, come è noto, in una situazione caratterizzata dalla vacatio legislativa a livello nazionale, si tende a colmare i vuoti attraverso le pronunce giurisprudenziali o mediante iniziative assunte dalle Regioni, la cui efficacia è ingessata da una riserva di legge di derivazione comunitaria, e infine lasciando spazio a interpretazioni della dottrina in genere o a dichiarazioni a ruota libera rilasciate da esponenti politici spesso in concomitanza con appuntamenti elettorali.
La vicenda delle concessioni balneari italiane
Prima di analizzare i problemi attuali, ripercorriamo in maniera schematica le tappe più significative di questa intricata vicenda. A seguito della direttiva europea 2006/123/CE, relativa ai servizi del mercato interno (la cosiddetta “direttiva Bolkestein”), e del decreto legislativo di attuazione n. 59 del 26 marzo 2010, nonché di provvedimenti legislativi che, a varie riprese, sono intervenuti per introdurre proroghe ai termini di scadenza delle concessioni demaniali marittime, finalmente con la legge di bilancio 2019 (art. 1, commi 682, 683 e 684 della legge 145/2018) il legislatore ha rotto gli indugi optando per una rideterminazione ex lege del termine di scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2033, disponendo in tal modo un’ulteriore proroga di 15 anni delle concessioni in essere, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge.
Ben presto il massimo organo di giustizia amministrativa è intervenuto a censurare la legittimità di questa disposizione di legge, in continuità e coerenza con precedenti pronunce assunte sull’argomento dallo stesso Consiglio di Stato, anche alla luce delle decisioni in merito adottate dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (si cita per tutte la sentenza “Promoimpresa” nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15). Con la sopra citata sentenza n. 7874 del 18 novembre 2019, il Consiglio di Stato ha ribadito che «anche la recente proroga legislativa automatica delle concessioni demaniali in essere fino al 2033, provocata dall’articolo unico, comma 683, della legge del 30 dicembre 2018, n. 145, contrasta con il divieto di proroga generalizzata ex lege di una concessione demaniale marittima, non solo perché detta disposizione rievoca norme nazionali già dichiarate in contrasto con l’ordinamento eurounitario dalla Corte di giustizia nel 2016 (determinando una giuridicamente improbabile reviviscenza delle stesse) ma, a maggior ragione, dopo il recente intervento della Corte di giustizia dell’Unione europea che, nella sentenza 30 gennaio 2018, causa C-360/15 Visser, ha esteso addirittura la platea dei soggetti coinvolti dalla opportunità di pretendere l’assegnazione della concessione demaniale solo all’esito dello svolgimento di una procedura selettiva». È vero che sullo stesso oggetto si sono registrate anche sentenze di tenore diverso (come il Tar Lecce con le sentenze gemelle 71-75 del 15 gennaio 2021); però a onor del vero bisogna anche dire che si tratta di pronunce di carattere minoritario rispetto all’orientamento largamente prevalente.
Le conseguenze sull’economia del settore turistico determinate dall’emergenza epidemiologica del covid-19 stanno alla base dell’ulteriore intervento legislativo contenuto nel decreto rilancio (art. 182, comma 2, decreto legge 34/2020, convertito con legge 77/2020), in base al quale si stabilisce che «le amministrazioni competenti non possono avviare o proseguire, a carico dei concessionari che intendono proseguire la propria attività mediante l’uso di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale, i procedimenti amministrativi per la devoluzione delle opere non amovibili, di cui all’articolo 49 del codice della navigazione, per il rilascio o per l’assegnazione, con procedure di evidenza pubblica, delle aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Il carattere controverso della materia e la particolare rilevanza economico-sociale della stessa hanno indotto il Consiglio di Stato a esprimersi, in adunanza plenaria, con una sentenza che assume un carattere nomofilattico, onde assicurare certezza e uniformità di applicazione del diritto da parte delle amministrazioni interessate, nonché uniformità di orientamenti giurisprudenziali. Con sentenze riunite n. 17 e 18 del 9 novembre 2021, il Consiglio di Stato ha enunciato i seguenti principi di diritto:
- Le concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative rientrano nel campo di applicazione della direttiva Bolkestein e, come tali, sono sottoposte all’obbligo di procedure di evidenza pubblica per la loro assegnazione.
- Le concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative attengono a un settore che evidenzia che le risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici sono scarse e in alcuni casi addirittura inesistenti.
- Le norme della direttiva europea Bolkestein hanno un carattere self-executing, col conseguente obbligo di disapplicazione delle norme in contrasto con la direttiva europea da parte dei giudici e anche da parte della pubblica amministrazione procedente.
- Non sussiste in capo alla pubblica amministrazione l’obbligo di procedere all’annullamento in autotutela degli atti emanati in base alla legge nazionale; questo perché l’adunanza plenaria ritiene che l’atto di proroga sia un atto meramente ricognitivo di un effetto prodotto direttamente dalla legge e quindi alla stessa direttamente riconducibile, con la conseguenza che l’effetto della proroga ex lege deve considerarsi tanquam non esset.
- È previsto un ragionevole lasso di tempo necessario per intraprendere le operazioni funzionali all’indizione delle procedure di gara, mediante il rinvio al 31 dicembre 2023 degli effetti della decisione assunta dall’assemblea plenaria e con la precisazione che, scaduto tale termine, tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto.
- Eventuali proroghe legislative del termine, così come determinato, dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione europea, e pertanto immediatamente non applicabili a opera del giudice e di qualsiasi organo amministrativo doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tanquam non esset le concessioni in essere.
- Vige la necessità di una normativa statale di riordino del settore che, in base ai criteri contenuti all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, definisca i parametri per lo svolgimento delle gare, per il riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti e per la determinazione del termine di durata massima delle concessioni e dei criteri di commisurazione dei canoni concessori.
Il nodo delle procedure di gara
In questo contesto, scandito dalla predetta decisione del Consiglio di Stato a sezioni unite, si giunge alla formulazione del ddl concorrenza, nei termini che abbiamo preso in esame e che, comunque, risponde in qualche maniera alla sollecitazione di un intervento normativo di riordino della materia.
Dall’angolo visuale che mi appartiene, che ripeto è quello della prospettiva di un Comune procedente, emerge la considerazione che la decisione nomofilatica del Consiglio di Stato contiene, in primis, la sostanziale conferma di alcune statuizioni già conosciute in quanto contenute nella precedente sentenza 7874/2019, sebbene maggiormente argomentate; ma al tempo stesso contiene, in secundis, anche pronunciamenti su diverse questioni rimaste aperte, e che assumono un carattere prodromico rispetto all’emanazione dei successivi provvedimenti legislativi delegati.
Una primo pronunciamento riguarda il chiarimento interpretativo, secondo cui per queste fattispecie non trovano applicazione le procedure disciplinate dal Codice dei contratti (d.lgs. n. 50/2016), e neppure è possibile una trasposizione sic et simpliciter dei criteri che presiedono ai contratti pubblici, anche per quanto riguarda l’applicazione di un principio tipico dei contratti pubblici come quello di rotazione. A tale proposito si ricorda che la questione era già stata affrontata dal Consiglio di Stato con la precedente sentenza n. 688 del 16 febbraio 2017, confermata di recente dalla sentenza n. 7837 del 9 dicembre 2020: in sostanza, i giudici di Palazzo Spada confermano l’orientamento di una netta distinzione tra le due procedure ed evidenziano che «l’assenza di un obbligo per l’amministrazione di indire una tipica procedura a evidenza pubblica risiede nella fondamentale circostanza che l’art. 37 del Codice della navigazione contempla l’ipotesi di una domanda che perviene dal mercato privato, al contrario dell’ipotesi tipica dei contratti pubblici, in cui è invece l’amministrazione a rivolgersi a quest’ultimo». In altri termini, «la concomitanza di domande di concessione prevista dall’art. 37 determina già di per sé una situazione concorrenziale che preesiste alla volontà dell’amministrazione di stipulare un contratto e […] pertanto non richiede le formalità proprie dell’evidenza pubblica», sicché «la fissazione dei criteri in questo caso non assolverebbe alla sua funzione tipica di assicurare un confronto competitivo leale, perché verrebbe fatta quando le proposte di affidamento sono già state presentate».
D’altro lato non possiamo evitare di dubitare che anche la procedura prevista dall’articolo 37 del Codice della navigazione e dall’articolo 18 del regolamento di esecuzione del codice non sia tale da soddisfare appieno i principi enunciati all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, a partire dal livello minimo di pubblicità e dalla definizione dei criteri per la valutazione delle offerte. Per queste ragioni Il Consiglio di Stato invoca la necessità di un adeguato intervento legislativo, in mancanza del quale, come pubbliche amministrazioni, dovremmo rassegnarci a prolungare una situazione di sostanziale stallo. In questo contesto di incertezza possono essere lette, mutatis mutandis, alcune recenti sentenze del Tar Lazio come la n. 7173 del 1° giugno 2022, che ha annullato gli atti di gara predisposti dall’amministrazione capitolina, in quanto carenti di un PUA regionale o comunale; e ancora, più di recente, la sentenza n. 7624 del 9 giugno 2022, con la quale è stato annullato un atto dirigenziale del Comune di Roma avente a oggetto l’adozione di un provvedimento di sgombero a seguito della cessazione di una concessione demaniale marittima, in quanto lo stesso provvedimento si pone in contrasto con la sentenza del Consiglio di Stato che ha disposto la proroga all’efficacia delle concessioni fino al 31 dicembre 2023.
La convinzione di chi scrive è che non sussistano neppure le condizioni per una autonoma regolamentazione a livello comunale, che possa risultare idonea per una corretta armonizzazione delle normative applicabili, senza contare che non c’è ancora chiarezza sulla questione degli indennizzi invocata nella predetta sentenza nomofilattica del Consiglio di Stato e recepita nel ddl concorrenza, mentre d’altro lato sembra pacifica l’esclusione della competenza legislativa delle Regioni, in quanto la tutela della concorrenza rientra tra le competenze esclusive dello Stato. Quindi, non ci resta che giungere a una temporanea conclusione che non piace molto al sottoscritto, ovvero quella di dover necessariamente attendere passivamente gli sviluppi legislativi invocati anche dalla stessa giurisprudenza.
Il destino degli atti formali
La questione delle procedure di gara mi introduce a un’altra questione aperta, anche se di carattere più specifico. Mi riferisco alla possibile sopravvivenza e all’efficacia nell’ordinamento degli atti formali che sono stati rilasciati dai Comuni in attuazione del comma 4 bis del decreto legge 400/1999, e successive modificazioni e integrazioni, e per quanto riguarda la Regione Toscana, ai sensi della legge regionale n. 31/2016.
La norma nazionale in questione prevede la possibilità di rilascio di concessioni demaniali per finalità turistiche e ricettive di durata superiore a sei anni e comunque non superiore a vent’anni, in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle Regioni. La legge regionale della Toscana ha disciplinato le modalità di rilascio delle concessioni, a seguito di una procedura comparativa e valutativa delle domande concorrenti, individuando come criteri di preferenza la presentazione di un progetto di riqualificazione ambientale e di valorizzazione paesaggistica del territorio costiero. A tale scopo, nell’ipotesi di area già oggetto di concessione, il Comune è tenuto ad acquisire una perizia giurata redatta da un professionista abilitato e al concessionario uscente, in caso di affidamento della concessione ad altro operatore, è riconosciuto un indennizzo pari al 90% del valore aziendale dell’impresa risultante dalla suddetta perizia. Come specificato nelle linee guida approvate con delibera della giunta regionale n. 544/2016, la durata delle concessione ultrasessennali è determinata in relazione all’investimento proposto o effettuato, in ossequio del principio comunitario volto a garantire la giusta remunerazione del capitale investito, in relazione ai costi dell’intervento proposto e dei ricavi previsti nel piano economico-finanziario. Le linee guida contengono, altresì, la definizione dei criteri per la presentazione e la valutazione delle istanze e degli investimenti, per le forme di pubblicità e di attuazione della procedura comparativa, mediante applicazione dell’articolo 37 del Codice della navigazione e dell’articolo 18 del relativo regolamento di esecuzione.
Il dubbio amletico che incombe sul corretto rilascio degli formali si può articolare nelle seguenti preposizioni:
- Certamente non siano di fronte a una fattispecie assimilabile a una proroga automatica, che in quanto tale sarebbe stata travolta dalle disposizioni self-executive dell’Unione europea e dalle predette decisioni giurisprudenziali.
- Certamente la procedura è conforme alle norme contenute nel Codice della navigazione e del relativo regolamento di esecuzione, confortati in tal senso dal contenuto della predetta sentenza del Consiglio di Stato in adunanza plenaria.
- Il principio della remunerazione degli investimenti non ammortizzati e di quelli da realizzare costituisce un principio più o meno consolidato e, da ultimo, ribadito nella sentenza del Consiglio di Stato in adunanza plenaria e nello stesso disegno di legge concorrenza.
Criticità possono invece riscontrarsi in ordine alla non piena conformità del modello regionale, che poi è aderente alle procedure del Codice della navigazione, con i principi contenuti all’articolo 12 della direttiva n. 2006/123/CE, in particolare per quanto concerne le garanzie di trasparenza e imparzialità mediante forme di adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento, nonché per quanto riguarda i criteri di selezione dettagliatamente enucleati nella direttiva.
A conclusione di questa disamina relativa alla procedura per il rilascio dei cosiddetti “atti formali” di durata superiore a sei anni e non superiore a venti anni, è parere dello scrivente che sussistano valide ragioni giuridiche per ritenere che tale procedura, benché non pienamente rispondente ai citati criteri della direttiva europea e ferma restando la necessità di un intervento legislativo invocato dalla stessa direttiva e anche dal Consiglio di Stato nella predetta sentenza in adunanza plenaria, non risulta travolta dalle censure mosse dalla Corte di giustizia europea, dalla stessa Commissione europea e, di conseguenza, dalle richiamate pronunce del Consiglio di Stato, che sono rivolte e limitate esclusivamente ai provvedimenti legislativi e amministrativi che prevedono proroghe automatiche del termine di scadenza delle concessioni.
Un altro elemento di garanzia possiamo trovarlo nella predetta chiave interpretativa, secondo cui per le procedure de quo non trovano applicazione le disposizioni del Codice dei contratti, fatte salve, mi verrebbe da aggiungere, quelle che attengono ai requisiti soggettivi degli operatori economici e alle verifiche sulla regolarità contributiva, assicurativa e fiscale. A margine di queste considerazioni che vanno nel senso della legittimità ed efficacia delle procedure poste in essere, si deve anche in questo caso auspicare un intervento legislativo che vada nel senso di un adeguamento, de iure condendo, ai principi contenuti nella direttiva Bolkestein dell’Unione europea.
La questione dell’indennizzo
Un’ultima considerazione attiene alla sostanziale rispondenza di questo sistema di selezione delle concessioni ultrasessennali, giustificate in quanto alla loro durata da un adeguato piano degli investimenti, con l’emergente questione del legittimo affidamento dei titolari delle concessioni a un indennizzo degli investimenti da loro effettuati e non completamente ammortizzati. Su tale punto nella sentenza nomofilattica del Consiglio di Stato si precisa che «l’indizione di procedure competitive per l’assegnazione delle concessioni dovrà, pertanto, ove ne ricorrano i presupposti, essere supportata dal riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti, essendo tale meccanismo indispensabile per tutelare l’affidamento degli stessi». È chiaro che si tratta dell’enunciazione di un principio, seppure di portata rilevante, che necessiterà di specifiche norme di attuazione; in questo senso anche quanto recepito sul punto nel ddl concorrenza, nel testo approvato dal Senato, si traduce in una norma quadro che andrà declinata di contenuti in un successivo decreto attuativo, a partire dalla definizione dei criteri di determinazione e di calcolo degli indennizzi.
Non è questa la sede per anticipare problematiche che si trascinano da anni in ordine ai parametri da prendere in considerazione, come quella relativa alla correttezza o meno di un sistema che rapporti la misura dell’indennizzo al valore dei beni non ammortizzati. Però una cosa è certa e riguarda direttamente l’operato dei dirigenti e funzionari dei servizi comunali: nessuna decisione potrà essere autonomamente adottata dal Comuni su questo delicato aspetto, con la conseguenza che, anche per questa ragione, si deve ribadire che si rende necessaria un’inevitabile sospensione di tutte le procedure per il rilascio di nuove concessioni.
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