Il presidente del Tar di Lecce Antonio Pasca scrive un altro pezzo di storia del diritto sul demanio marittimo italiano. Con cinque distinte sentenze emesse oggi, il giudice amministrativo ha demolito la decisione del Comune di Lecce di non applicare l’estensione al 2033 delle concessioni balneari, prevista dalla legge italiana, e di proporre al suo posto una proroga tecnica di tre anni; ma i ragionamenti del presidente del tribunale salentino vanno molto oltre la questione specifica, inoltrandosi in una lunga serie di virtuose e impeccabili soluzioni per il caos in cui si trova la normativa italiana sul demanio marittimo. In sintesi, secondo il Tar Lecce la direttiva Bolkestein non è autoesecutiva e non trova diretta applicazione nello Stato italiano, pertanto in assenza di altre norme deve prevalere la legge nazionale ad oggi valida e in vigore, che dispone l’estensione al 2033 delle concessioni demaniali marittime.
Pasca era già noto tra gli addetti ai lavori per un’altra importante sentenza dello scorso novembre con cui ha dichiarato l’impossibilità, per i Comuni, di disapplicare l’estensione al 2033 (leggi anche la sua lucida intervista a Mondo Balneare: “La Bolkestein non è autoesecutiva: ecco cosa deve fare il governo per riformare le concessioni balneari“), ma in queste ultime pronunce emesse oggi il giudice è andato ancora oltre, con dei pregevoli passaggi sulla necessità del riordino del demanio marittimo e sul diritto al legittimo affidamento e all’indennizzo per gli attuali concessionari.
Le cinque distinte sentenze emesse oggi (le numero 71, 72, 73, 74 e 75/2021) sono riferite agli stabilimenti balneari Lido Pachamama e Lido Pevero Beach (difesi dall’avvocato Danilo Lorenzo), SoleLuna, PolePole e Maluha Bay (difesi dall’avvocato Leonardo Maruotti con l’assistenza della Federazione Imprese Demaniali, ritenuta non idonea dall’avvocato comunale e invece legittimata dal tribunale). Il Tar Lecce ha accolto i ricorsi proposti dagli imprenditori balneari contro le determine con cui il Comune di Lecce da un lato aveva rigettato la domanda di proroga di 15 anni delle loro concessioni demaniali marittime, e dall’altro aveva proposto ai concessionari di aderire a una “proroga tecnica” di tre anni oppure, in alternativa, di perdere il diritto a utilizzare i beni in concessione già a partire dal 1° gennaio 2021.
Non solo: con le pronunce odierne il tribunale amministrativo ha confermato l’orientamento giurisprudenziale già sostenuto con precedenti sentenze, sostenendo l’obbligatorietà per le pubbliche amministrazioni di applicare la norma nazionale, e addirittura – sottolinea l’avvocato Danilo Lorenzo, difensore di due dei cinque stabilimenti ricorrenti – «ha ritenuto che la direttiva Bolkestein non è direttamente applicabile all’interno dello Stato italiano, non avendo le caratteristiche di una direttiva autoesecutiva (“self executing”); pertanto la stessa non può prevalere sulla norma nazionale, che è e rimane l’unica normativa applicabile alla materia».
«A tal proposito, nell’ambito delle fonti del diritto – spiega infatti l’avvocato Lorenzo – le direttive comunitarie si presentano di due specie: quelle “self executing”, che trovano immediata applicazione nello Stato membro e sono sufficientemente dettagliate nei propri contenuti e, quindi, non necessitano di alcun provvedimento di attuazione da parte dello Stato membro; e quelle “non self executing” le quali, viceversa, presentano elementi di carattere generale che non trovano immediata applicazione nello Stato membro».
Il Tar di Lecce, aderendo alle tesi sostenute dai ricorrenti, ha sottolineato che la direttiva Bolkestein non è autoesecutiva e pertanto, trattandosi di una fonte giuridica che non trova diretta e immediata applicazione nello Stato membro, la stessa non può prevaricare quanto sostenuto dal legislatore italiano il quale, con la legge n. 145/2018, ha prorogato i titoli concessori in scadenza al 31 dicembre 2020 per ulteriori 15 anni. In tutto questo il giudice non nega l’incompatibilità dell’estensione al 2033 con il diritto europeo, tuttavia riconosce comunque la validità della norma in vigore con raffinatissime argomentazioni: in poche parole, il funzionario comunale non può disapplicare la 145/2018 in quanto non c’è nessun’altra norma da applicare al suo posto, non essendo appunto la Bolkestein autoesecutiva. L’unico ente a poter mettere mano alla materia per risolvere il caos in corso è lo Stato italiano che – e qui si arriva alla parte più interessante delle sentenze – dovrebbe lavorare per «la tempestiva approvazione di una normativa che preveda, oltre a una preliminare proroga tecnica delle concessioni in atto per almeno un triennio, regole uniformi per l’intero territorio nazionale che stabiliscano, per le nuove concessioni da attribuirsi a seguito di gara a evidenza pubblica: a) la durata delle stesse (che dovrà essere tale da garantire l’ammortamento degli investimenti effettuati); 2) la composizione delle commissioni di gara; 3) i requisiti soggettivi e oggettivi di partecipazione; 4) le forme di pubblicità (anche a tutela degli interessi transfrontalieri); 5) i criteri di selezione; 6) la modifica delle norme del Codice della navigazione in tema di indennizzo; 7) la previsione di un procedimento amministrativo che consenta di quantificare, in contraddittorio e secondo regole certe, il relativo importo per ciascuna concessione; 8) la previsione di norme a tutela del legittimo affidamento per rapporti concessori sorti in epoca precedente alla data di adozione della direttiva servizi».
Dunque, conclude il giudice, «appare evidente, proprio in ragione della caotica situazione in atto (caratterizzata da un dilagante aumento del contenzioso avviato dai titolari di concessioni demaniali e financo dall’Antitrust), che l’attuazione della direttiva Bolkestein nella specifica materia non possa che realizzarsi attraverso la previa approvazione di una preliminare normativa che preveda l’immediata revoca – ancorché temporanea – della delega originariamente attribuita alle regioni e poi ai comuni per la gestione delle attività amministrative connesse alle concessioni demaniali in questione, e ciò al fine di pervenire a una disciplina unitaria e coerente idonea a evitare ingiustificata disparità di trattamento da comune a comune e al fine di arginare l’inevitabile proliferare del contenzioso».
I testi delle sentenze
Vista la complessa articolazione del ragionamento e l’elevato interesse rappresentato dalle conclusioni del giudice Pasca, che in oltre trenta pagine analizza non solo la questione dell’estensione al 2033 ma anche quella degli indennizzi e della riforma generale delle concessioni, si consiglia la lettura integrale delle sentenze che rendiamo disponibili qui di seguito per il download.
- Sentenza n. 71/2021 »
- Sentenza n. 72/2021 »
- Sentenza n. 73/2021 »
- Sentenza n. 74/2021 »
- Sentenza n. 75/2021 »
I commenti
«Sono molto soddisfatto per le pronunce del Tar Lecce», commenta l’avvocato Danilo Lorenzo che ha rappresentato due dei cinque ricorrenti. «Le sentenze emesse oggi rappresentano un vero e proprio pezzo di storia del diritto: l’orientamento assunto dai giudici amministrativi salentini presenta elementi di novità giurisprudenziali assoluti. L’atteggiamento assunto dal Comune di Lecce ha sin dall’inizio destato notevoli perplessità; ora abbiamo assoluta certezza sulla illegittimità delle determinazioni assunte e sull’innegabile diritto dei concessionari leccesi a ottenere una proroga delle concessioni demaniali al 31 dicembre 2033. Analogamente, grazie alla giurisprudenza formatasi sulla materia, abbiamo raggiunto un’ulteriore certezza per la categoria, ovvero l’indubbia applicazione di quanto sancito dal legislatore Italiano che con ben tre provvedimenti legislativi, peraltro provenienti da schieramenti politici diversi, ha sostenuto e confermato la proroga dei titoli concessori sino al 31 dicembre 2033. Pregevolissimi anche i passaggi contenuti in sentenza sulle necessarie operazioni di riordino della materia e sulla necessità di stabilire nuove regole per la gestione dei beni demaniali e per gli indennizzi eventualmente spettanti ai concessionari. Il tutto dentro cornici normative e motivazioni giuridiche evidenziate in maniera impeccabile».
Gli avvocati Leonardo Maruotti, Federico Massa e Francesco G. Romano, che hanno rappresentato in giudizio gli altri tre concessionari e la Federazione Imprese Demaniali, così commentano la sentenza: «Il Tar Lecce non ha negato la necessità di un intervento del legislatore nazionale per una complessiva riforma della disciplina normativa di settore tale da superare definitivamente le ragioni di contrasto che la Commissione europea ha segnalato fra la vigente legge nazionale e la direttiva comunitaria; ma ha rilevato che la direttiva comunitaria di riferimento non presenta i caratteri di puntuale definizione dei contenuti precettivi tale da consentirne una certa e uniforme applicazione sull’intero territorio nazionale. Sicché, in definitiva, quella nazionale è l’unica disciplina vigente e dunque non può essere riconosciuta agli enti territoriali la potestà di individuarne, arbitrariamente, una diversa; perché una simile impostazione produrrebbe inevitabilmente situazioni di ingiustificata disparità fra soggetti imprenditoriali che operano nelle medesime condizioni. Questo è il punto: il Comune di Lecce ha assunto determinazioni che hanno la pretesa di “giustificarsi da sé”, prive di riferimento a un dato normativo di carattere generale, così ingiustamente penalizzando i concessionari che operano nel territorio comunale; addirittura inventando un sistema di possibili opzioni alternative che di fatto introducono arbitrarie differenziazioni anche fra gli operatori che operano nello stesso territorio comunale, in sostanza con una sorta di premialità per l’opzione più gradita all’amministrazione medesima. Paradossalmente, ma non tanto, la migliore conferma della fondatezza dell’affermazione del giudice amministrativo secondo la quale non può non valere l’applicazione dell’unica disciplina normativa vigente, che è quella nazionale, sta proprio nell’intrinseca irrazionalità/irragionevolezza della pretesa del Comune di Lecce di arbitrariamente differenziare l’attività amministrativa in funzione dell’adesione o meno al modello prescelto; così negando il principio fondamentale di uno stato di diritto che impone – si pensi all’articolo 3 della Costituzione – il trattamento uniforme delle situazioni uniformi. Unica garanzia di legalità, che è il contrario della arbitrarietà, dell’azione amministrativa».
Esprime entusiasmo anche il presidente della Federazione Imprese Demaniali, Mauro Della Valle, «per il risultato dei propri associati e dell’intero comparto demaniale. La sentenza, infatti, consente di tirare un sospiro di sollievo alle migliaia di famiglie balneari che si stavano vedendo costrette a consegnare le chiavi dei propri stabilimenti e che non potevano neppure andare a richiedere l’accesso al credito né accedere alle misure di finanziamento. Il Tar Lecce ha dato un segnale chiaro ai Comuni che non vogliono applicare la normativa nazionale, anche al fine di evitare disparità di trattamento».
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