Una sentenza del Consiglio di Stato fa tremare gli imprenditori balneari, pur senza disapplicare formalmente l’estensione delle concessioni fino al 2033. Nella pronuncia n. 7874/2019 pubblicata due giorni fa, i giudici di Palazzo Spada hanno valutato negativamente l’estensione generalizzata delle concessioni demaniali marittime fino al 31 dicembre 2033 disposta dall’ultima legge nazionale di bilancio, tuttavia non hanno disapplicato la norma a causa di alcune formalità tecniche. Resta il fatto che i giudici hanno espresso una serie di critiche che rappresentano un campanello d’allarme per la categoria e che potrebbero aprire a ulteriori sentenze negative. In questo articolo cercheremo di fare chiarezza.
Le origini della sentenza
Il contenzioso è partito nel 2002, ma per brevità ne riassumiamo le tappe più recenti. Due società – la Gema e la Montanino – avevano fatto domanda per ottenere la concessione su cui insiste lo stabilimento balneare American Bar Capo Nord di Santa Margherita Ligure, in vista dell’imminente scadenza del titolo. Il Comune di Santa Margherita Ligure si era opposto a tale richiesta, poiché riteneva la concessione ancora valida grazie alla proroga fino al 31 dicembre 2020. Contro tale risposta hanno fatto ricorso i due competitor, appellandosi alla sentenza della Corte di giustizia europea “Promoimpresa” del 14 luglio 2016 che ha dichiarato invalida la proroga al 2020 perché in contrasto con la direttiva europea “Bolkestein” sulla liberalizzazione dei servizi.
Qui arriva la controversa sentenza del Consiglio di Stato, che in poche parole ha accolto le motivazioni del ricorso, ma lo ha rigettato per motivi tecnici. Esprimendosi non solo sulla proroga al 2020, ma anche sulla successiva estensione al 2033.
Le motivazioni dei giudici
Con la sentenza n. 7874/2019 dello scorso 18 novembre, i giudici di Palazzo Spada hanno inizialmente elencato tutte le motivazioni in contrasto con la proroga, ma infine hanno deciso di non accogliere il ricorso, per una serie di motivazioni meramente tecniche. Ciò ha fatto sì che la pronuncia in questione, anziché essere una bocciatura totale che avrebbe avuto conseguenze disastrose per il settore, rappresenta per il momento solo una valutazione negativa della legge – per quanto pesante e pericolosa.
Nelle loro motivazioni, i giudici hanno valutato negativamente la proroga al 2020 poiché «in contrasto con le norme eurounitarie» e hanno aggiunto che «anche la più recente proroga legislativa automatica delle concessioni demaniali in essere fino al 2033 […] è coinvolta, con le conseguenze del caso, nel ragionamento giuridico» e per questo «è da considerarsi nulla». Secondo il tribunale, infatti, «detta disposizione rievoca norme nazionali già dichiarate in contrasto con l’ordinamento eurounitario dalla Corte di giustizia nel 2016 (determinando una giuridicamente improbabile reviviscenza delle stesse)». Già qui emergono le prime due controversie:
- i giudici si sono espressi sul prolungamento fino al 2033 nonostante fossero chiamati a giudicare solo la proroga al 2020;
- appena un mese fa, in un’altra serie di sentenze il Consiglio di Stato aveva tacitamente applicato l’estensione fino al 2033 (vedi notizia »).
Il Consiglio di Stato ritiene inevitabili le gare
Nella prima parte della sentenza, i giudici del Consiglio di Stato esprimono tutta una serie di argomentazioni sfavorevoli sulla proroga, che riassumiamo qui di seguito.
- Innanzitutto, Palazzo Spada ricorda che «in seguito alla soppressione dell’istituto del “diritto di insistenza”, ossia del diritto di preferenza dei concessionari uscenti, l’amministrazione che intenda procedere a una nuova concessione del bene demaniale marittimo con finalità turistico-ricreativa, in aderenza ai principi eurounitari della libera di circolazione dei servizi, della par condicio, dell’imparzialità e della trasparenza, ai sensi del novellato art. 37 cod. nav., è tenuta a indire una procedura selettiva e a dare prevalenza alla proposta di gestione privata del bene che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e risponda a un più rilevante interesse pubblico, anche sotto il profilo economico».
- In un altro passaggio particolarmente sfavorevole per gli imprenditori balneari, i giudici ricordano inoltre che «la tutela della buona fede del concessionario va relazionata alla data di adozione della direttiva 2006/123/CE (cosiddetta Bolkestein), cosicché nell’ipotesi di concessione demaniale marittima rilasciata in data antecedente, secondo la Corte di giustizia, la cessazione anticipata della concessione “deve essere preceduta da un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico”. Orbene, nel caso di specie la concessione iniziale è stata rilasciata nel 1999, prima che fosse scaduto il termine di recepimento della direttiva Bolkestein (28 dicembre 2009) e prima che lo Stato italiano la attuasse tramite il d.lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, con conseguente conformità al diritto dell’Unione europea dell’applicazione alla concessione oggetto di causa della (sola) proroga prevista dall’art. 1, comma 18, d.l. 194 del 2009; tuttavia pare evidente che le successive proroghe non possano essere assistite dal principio (sopra espresso) della “buona fede” del concessionario, essendosi consumata la possibilità di aderire alla posizione “mitigativa” già a far data dal secondo rinnovo».
- Infine, le argomentazioni sottolineano che «qualora emerga contrasto tra la norma primaria nazionale o regionale e i principi del diritto eurounitario, è fatto obbligo al dirigente che adotta il provvedimento sulla base della norma nazionale (o regionale) di non applicarla».
Sorpresa: l’estensione fino al 2033 non è disapplicata
Davanti a questa serie di motivazioni, chi legge la sentenza è portato a immaginare che i giudici disapplicheranno la proroga, e invece le conclusioni affermano tutto il contrario. Il motivo risiede in una serie di formalità tecniche, che hanno portato il Consiglio di Stato a respingere il ricorso della società Gema e Montanino e a lasciare piena validità all’estensione fino al 2033 per lo stabilimento di Santa Margherita Ligure nonostante le valutazioni negative.
Nell’ultima pagina della pronuncia, infatti, la corte scrive che «non possono considerarsi nulle (per contrasto con le norme eurounitarie, come vorrebbero le odierne società ricorrenti) le note comunali 27 febbraio 2019 e 7 marzo 2019 con le quali il Comune di Santa Margherita Ligure ha dato conto dell’ultimo intervento normativo di proroga automatica delle concessioni demaniali marittime fino al 2033. Con riferimento a tali note appare evidente l’incapacità delle stesse a poter essere giuridicamente considerate quali atti posti in violazione o comunque in elusione del giudicato formatosi sulla sentenza 525/2013, dal momento che, trattandosi di atti confermativi (e non meramente confermativi, contenendo elementi nuovi, quale ad esempio il richiamo alla ultima disposizione di legge volta ad introdurre un ulteriore periodo di efficacia delle concessioni in essere fino al 2033) delle proroghe della originaria concessione, essi debbono preliminarmente essere gravati con l’ordinaria azione di annullamento nella competente sede di primo grado e non (come le società qui ricorrenti in esecuzione hanno ritenuto di effettuare) attraverso un ricorso recante motivi aggiunti introdotto nel corso di un giudizio di ottemperanza dinanzi al Consiglio di Stato, avviato per la corretta esecuzione di una sentenza di tale Consesso. In tali casi, questo giudice d’appello non può fare ricorso alla conversione degli stessi nel rito ordinario di cui all’art. 32, comma 2, periodo secondo c.p.a., in quanto così facendo si salterebbe un grado di giudizio violerebbe il principio del doppio grado di giudizio e del corretto contraddittorio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2014 n. 3217). Ne deriva che i ricorsi proposti e recanti motivi aggiunti sono da dichiararsi inammissibili».
Una sentenza da non sottovalutare
Pur non bocciando l’estensione fino al 2033, la sentenza del Consiglio di Stato non va comunque sottovalutata, perché contiene una serie di motivazioni che potrebbero essere riprese da altri giudici in pronunce ancora più pesanti. Se qualche altro tribunale in futuro dovesse disapplicare l’estensione, ciò avrebbe conseguenze molto negative per tutti quei concessionari che ancora non hanno ottenuto, da parte della loro amministrazione comunale o regionale, il rilascio dei titoli ufficialmente estesi fino al 31 dicembre 2033. Se infatti alcuni funzionari sono stati celeri nell’applicare la legge, altri stanno continuando a prendere tempo e a opporre resistenza. Ciò dimostra che il prolungamento fino al 31 dicembre 2033, per quanto importante nel restituire un minimo di certezza agli operatori del settore, è una misura insufficiente finché non sarà seguita da una rapida e completa riforma generale del settore.
Per approfondire
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