Una proposta innovativa per riformare le concessioni demaniali marittime, escludendo gli stabilimenti balneari dalla direttiva europea Bolkestein con argomenti inediti che potrebbero essere utilmente sottoposti alla Commissione europea. È l’ambiziosa iniziativa del senatore Gian Marco Centinaio (Lega), già ministro al turismo nel primo governo Conte e autore dell’emendamento alla legge 145/2018 che ha esteso la validità delle concessioni balneari fino al 2033. Il documento, elaborato dall’avvocato Cristina Pozzi e inviato in esclusiva a Mondo Balneare, contiene un approccio inedito per dimostrare che gli attuali stabilimenti non devono andare a gara: la tesi si basa principalmente sul fatto che la mancata classificazione sistematica delle direttive ha provocato l’errore di applicarle al di fuori del loro campo di pertinenza, e che se si procedesse a una classificazione, emergerebbe che le norme del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea alle quali occorrerebbe far riferimento per disciplinare le concessioni balneari non sono né quelle in materia di servizi ne quelle in materia di libertà di stabilimento, bensì l’articolo 352 del TFUE. Su questa articolata tesi, Centinaio chiede «l’appoggio delle associazioni di categoria per battere un colpo al governo e chiedere un’immediata riforma del settore», dal momento che «la situazione sta precipitando» a causa della lettera di messa in mora inviata dall’Ue, dell’accanimento dell’Antitrust, dell’ostruzionismo di alcune magistrature e delle numerose amministrazioni locali che si sono rifiutate di applicare la 145/2018, istituendo al suo posto delle proroghe tecniche di uno o due anni prive di qualsiasi fondamento giuridico. Senza contare le svariate sentenze dei Tar in contraddizione tra loro, tra chi in questi mesi ha confermato la validità dell’estensione al 2033 e chi invece l’ha disapplicata.
L’appello di Centinaio
«La situazione è gravissima: da una parte l’Europa non ha ancora capito l’importanza e la peculiarità degli stabilimenti balneari italiani, dall’altra i tribunali continuano a disapplicare una norma dello Stato valida e in vigore», spiega Centinaio a Mondo Balneare. «L’estensione al 2033 è stata approvata con il consenso di tutte le principali forze politiche di maggioranza e opposizione, e la magistratura dovrebbe limitarsi a far applicare le leggi decise dal parlamento, anziché fare ostruzionismo. Peraltro, trattandosi di una legge di bilancio, la 145/2018 è stata validata da Camera, Senato, Presidenza della repubblica, Corte dei conti, Unione europea e vari altri organi istituzionali: ma se il primo giudice o assessore si sveglia la mattina e decide di non applicare una norma valida e in vigore, significa che siamo un paese fallito in cui il potere legislativo non ha più nemmeno l’autorità di approvare una legge».
«Piaccia o non piaccia agli organi burocratici e amministrativi del nostro paese – prosegue Centinaio – l’estensione al 2033 è una norma dello Stato e va applicata. Se questi signori sono contrari, si candidino in parlamento e provino ad abrogarla; ma non possono farlo a colpi di sentenze». Di qui la proposta presentata dal senatore leghista: «Il problema sta assumendo proporzioni giudiziarie folli e va risolto: bisogna lavorare a una riforma complessiva del Codice della navigazione, da concordare con l’Unione europea».
La proposta tecnica
Il documento, articolato in dodici pagine, ricorda che l’estensione al 2033 è stata disposta dalla legge 145/2018 «nelle more della realizzazione di una più complessiva e doverosa riforma» che fu già sottoposta dallo stesso ministro Centinaio all’Unione europea nel luglio 2019. Pertanto non si tratta di una proroga automatica, già dichiarata illegittima dalla Corte di giustizia europea con la sentenza “Promoimpresa” del 14 luglio 2016, bensì di «un periodo transitorio, perfettamente compatibile con la disciplina europea». Non solo: la Corte Ue, prosegue il documento, «parla di necessità di “selezione” e non di gare o evidenze pubbliche; vincola l’eventuale ricorso alla selezione alla sussistenza di alcuni prerequisiti, quali la scarsità delle risorse naturali e la rilevanza transfrontaliera della concessione; e afferma la necessità di una valutazione “caso per caso” delle singole fattispecie, non dettando, dunque, una disciplina generale».
Ma il settore delle concessioni balneari italiane, argomenta il documento Pozzi-Centinaio, non è chiuso: infatti, «vi sono aree che sono ancora disponibili e concedibili, e non è attualmente possibile conoscere il dato esatto della precisa consistenza di tali aree, che potrà essere appurato proprio dalla mappatura prevista dalla legge 145/18 (elemento che ha fondato la scelta della legge 145/18 che ha istituito un periodo transitorio proprio per poter acquisire tale dato, di carattere preliminare a qualsivoglia riforma). Inoltre esiste un vero e proprio mercato delle concessioni balneari, poiché è ben possibile per un terzo ottenere una concessione demaniale, acquisendo il compendio societario sullo stesso insistente (e ottenendo l’autorizzazione dell’amministrazione concedente) a prezzi di mercato e nella considerazione e attualizzazione del valore aziendale dell’impresa insistente sulla concessione stessa».
Qui arriva la prima tesi innovativa: «Le imprese balneari hanno una serie di compiti di carattere pubblicistico e necessitano di una serie di autorizzazioni ulteriori rispetto alla mera concessione (obblighi in materia di salvataggio, primo soccorso, pulizia e igiene delle spiagge e degli arenili, tutela della pubblica incolumità, garanzia di accesso alle strutture per i disabili, allacciamento alle reti idriche e fognarie). Quindi, sebbene siano riconducibili alle autorizzazioni, hanno caratteristiche del tutto peculiari, tali da far dubitare di una loro effettiva possibile armonizzazione». Dunque, nelle more della riforma «occorre inquadrare correttamente il mercato sotto il profilo della tipologia di imprese insistenti, dell’apertura dello stesso, del contenuto delle autorizzazioni e dell’effettiva possibile armonizzazione nel mercato comunitario in relazione alla particolare attività, estranea alle norme in materia di libertà di stabilimento e di liberalizzazione dei servizi».
Un’altra disamina inedita riguarda il concetto di “scarsità della risorsa”: «Non esiste oggi alcuna definizione di “scarsità delle risorse naturali”», afferma la proposta Centinaio. «La direttiva 123/2006/CE, infatti, si limita ad affermare che “qualora” la risorsa naturale sia scarsa, allora occorrerà effettuare una selezione. La mera ascrizione delle spiagge alle risorse scarse, così come effettuata sinora, appare ben poco attinente alla situazione, quantomeno dell’attuale mercato e del singolo Paese in particolare. Apparirebbe più consono, anche in considerazione della ratio della disposizione, interpretare tale formula come riferita alla scarsità delle risorse naturali, intese come quelle effettivamente esauribili: sarebbe ben condivisibile, così, la necessità di una valutazione attenta della scelta del soggetto che potesse sfruttare tali risorse, proprio nella considerazione della loro temporaneità e del fatto che si tratta di beni finiti».
Sulla base di queste argomentazioni, il documento arriva a dimostrare che la direttiva Bolkestein non è direttamente applicabile alle concessioni balneari, non solo in quanto non è auto-esecutiva (come affermato anche dalle recenti sentenze del Tar Lecce), ma anche perché si tratta di «una norma sottoposta a una condizione (“qualora”), vale a dire che presuppone la verifica “della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili” e anche la predisposizione di una procedura di selezione dei potenziali candidati. E infatti il legislatore, nella fase di recepimento, aveva l’onere di indicare, e non lo ha fatto, quali erano i criteri da utilizzare per adempiere al precetto europeo o di indicare puntualmente quali erano le risorse naturali scarse e secondo quali criteri si dovrebbe svolgere la selezione». Pertanto «la direttiva non è direttamente applicabile né efficace e il recepimento non è corretto; non può essere quindi applicata».
Qui si arriva al cuore della tesi, basata sulla «necessità di classificare previamente in modo sistematico le direttive in rapporto alle norme del Trattato allo scopo di evitare l’errore di applicarle al di fuori del
loro campo di applicazione». È da ritenere infatti, prosegue il documento, che «una classificazione sistematica delle direttive metterebbe in evidenza che le norme del Trattato alle quali occorrerebbe far riferimento per disciplinare in sede europea le concessioni balneari non sono né quelle in materia di servizi, né quelle in materia di diritto di stabilimento, bensì l’art. 352 del TFUE», che così recita:
- Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione, secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo.
- La Commissione, nel quadro della procedura di controllo del principio di sussidiarietà di cui all’articolo 5, paragrafo 3 del trattato sull’Unione europea, richiama l’attenzione dei parlamenti nazionali sulle proposte fondate sul presente articolo.
- Le misure fondate sul presente articolo non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui i trattati la escludono.
Dopo avere accennato anche alla necessità di calcolare il valore d’impresa per stabilire un eventuale indennizzo, il documento conclude con quattro proposte: «Aprire un immediato dialogo con la Commissione per esplicare le peculiarità del nostro mercato evidenziando le ragioni di diritto europeo che portano a concludere che le concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo devono essere escluse dall’applicazione della direttiva servizi; riconvocare il tavolo interministeriale e proseguire nella riforma avviata; riprendere il primo dpcm già pronto al fine di chiudere la procedura di infrazione; aprire la riforma a quella complessiva del demanio marittimo».
Per approfondire
- Leggi il documento integrale »
(pdf, 12 pagine)
© Riproduzione Riservata