I contrasti tra le forze di maggioranza non si sono placati, e così il decreto concorrenza slitta ancora di un altro mese. Il provvedimento che il premier Mario Draghi avrebbe voluto portare oggi sul tavolo del consiglio dei ministri, e in cui era stata inserita a sorpresa una norma per riassegnare le concessioni balneari tramite evidenze pubbliche, ha infatti scatenato le ire di Lega e Forza Italia, da sempre contrarie alle gare delle spiagge: pare dunque che, per giungere a un compromesso, il presidente del consiglio abbia accettato di rinviare l’esame del disegno di legge a dopo le elezioni amministrative del 3 ottobre.
Inizialmente promesso per giugno, il decreto concorrenza sarebbe dunque il provvedimento con cui Draghi intenderebbe chiudere definitivamente l’annosa questione delle concessioni balneari, attualmente oggetto di un’estensione della loro validità fino al 2033 – stabilita dal primo governo Conte con la legge 145/2018 – che però è stata attaccata da più parti, tra la lettera di messa in mora dell’Unione europea, le diffide dell’Antitrust e le sentenze avverse dei Tar di mezza Italia. Colpa non solo dei contrasti giuridici (la Corte di giustizia Ue già nel 2016 aveva dichiarato l’incompatibilità delle proroghe automatiche col diritto europeo), ma anche del mancato completamento della riforma del demanio marittimo: la 145/2018, infatti, ha giustificato l’estensione al 2033 come periodo transitorio in vista di un riordino generale della materia, fissando anche i principi generali su cui lavorare, ma il percorso non è mai stato completato a causa della caduta del governo gialloverde. La questione resta però da risolvere con urgenza, altrimenti saranno i tribunali a farlo in modo più frammentato e doloroso per gli attuali imprenditori della spiaggia.
A questo punto, appare ormai scontato che per scrivere la riforma si attenderà anche l’esito dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, convocata il prossimo 20 ottobre proprio per stabilire un orientamento unitario del massimo organo di giustizia amministrativa. È infatti probabile che da Palazzo Spada uscirà una serie di incrollabili principi giuridici per mettere ordine nel caos in corso sulle concessioni demaniali marittime italiane che, da quando il nostro paese ha recepito la direttiva europea Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi, sono state rinnovate a suon di proroghe (prima al 2015, poi al 2020 e infine al 2033) più volte disapplicate dai tribunali in quali, in assenza di una normativa certa in materia, hanno fatto giurisprudenza da sé.
La grande incognita resta sulle intenzioni di Draghi: il premier non è schiavo del consenso politico e dunque avrebbe meno scrupoli ad adottare provvedimenti impopolari per i balneari o per l’opinione pubblica, ma i partiti che lo sostengono hanno sempre fatto della questione concessioni un terreno per la raccolta di voti, ed è dunque in base ai contenuti della riforma che si vedrà fino a che punto le promesse saranno mantenute. Tra le forze in maggioranza, Lega e Forza Italia sono dichiaratamente contro le gare (e in questo avrebbero l’appoggio di Fratelli d’Italia dall’opposizione), mentre il Movimento 5 Stelle è sempre stato a favore e il Partito democratico ha una posizione più ambigua e frammentata al suo interno. Il rischio è insomma che le concessioni balneari diventino una merce di scambio politico: solo nel decreto concorrenza, oltre al destino delle spiagge si dovrà infatti decidere su altri importanti temi come ambulanti, centrali idroelettriche, dighe, trasporti e rifiuti, su cui i partiti hanno diverse posizioni tra le quali Draghi dovrà mediare. Per i balneari è dunque senz’altro in arrivo l’ennesimo autunno di agitazioni.
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