La sentenza emessa ieri dalla Corte di giustizia europea in materia di concessioni balneari parla chiaro: per riformare la gestione del demanio marittimo e decidere il futuro delle imprese che vi sorgono sopra, il governo italiano dovrà individuare la strada per poter valutare “caso per caso”, a livello territoriale, la disponibilità della risorsa spiaggia, ma senza potersi esimere dal riassegnare i titoli tramite gare pubbliche alla loro scadenza. È questo l’aspetto più rilevante dell’articolata pronuncia emessa dal giudice lussemburghese, chiamato dal Tar di Lecce a esprimersi su nove quesiti in merito all’applicabilità della direttiva europea Bolkestein sulle concessioni balneari.
Dopo che ieri abbiamo fornito un primo riassunto sulle decisioni del giudice, in questo articolo riassumeremo più nel dettaglio i contenuti delle ventiquattro pagine di sentenza e le risposte a tutti i quesiti sottoposti dal Tar.
La direttiva Bolkestein si applica alle concessioni balneari: stop ai rinnovi automatici, sì alle gare
Il primo aspetto chiarito dalla Corte Ue (punti 39-41) riguarda l’applicabilità stessa della direttiva europea Bolkestein alle concessioni balneari. Il Tar di Lecce l’aveva messa in dubbio, in quanto la stessa Bolkestein prevederebbe l’esclusione per le concessioni che non presentino un “interesse transfrontaliero certo“, ovvero tale per cui ci sia una rilevanza economica che superi i confini nazionali. Ebbene, la Corte Ue ha smentito questa tesi affermando che «l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso non si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo».
Inoltre più avanti, ai punti 60-74, la Corte Ue ribadisce quanto già espresso nella sentenza “Promoimpresa” del 14 luglio 2016, ovvero che «un’autorizzazione, quale una concessione di occupazione del demanio marittimo, va rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico», come sono state le proroghe con cui i vari governi italiani hanno gestito i rinnovi delle concessioni negli ultimi tredici anni. Al contrario, sottolinea il giudice, «qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. Tale disposizione ha effetto diretto in quanto vieta, in termini inequivocabili, agli Stati membri, senza che questi ultimi dispongano di un qualsivoglia margine di discrezionalità o possano subordinare tale divieto a una qualsivoglia condizione e senza che sia necessaria l’adozione di un atto dell’Unione o degli Stati membri, di prevedere proroghe automatiche e generalizzate di siffatte concessioni». Aggiunge inoltre la Corte: «La circostanza che tale obbligo e tale divieto si applichino solo nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali utilizzabili, le quali devono essere determinate in relazione a una situazione di fatto valutata dall’amministrazione competente sotto il controllo di un giudice nazionale, non può rimettere in discussione l’effetto diretto connesso a tale articolo 12, paragrafi 1 e 2».
La scarsità della risorsa va valutata a livello territoriale
In base ai presupposti sopra espressi, le concessioni balneari, alla loro scadenza (prevista dalle norme italiane vigenti per il 31 dicembre 2023), vanno riassegnate obbligatoriamente tramite gare pubbliche, e questo è ormai un assunto imprescindibile. Detto ciò, la Corte di giustizia europea nei punti 43-49 interviene sul tema della cosiddetta “scarsità della risorsa naturale“, un altro parametro previsto dalla Bolkestein tra le possibili cause di esclusione e rispetto al quale il Tar di Lecce aveva chiesto su quale base dovesse essere calcolato (nazionale, regionale o comunale). Questa la risposta in merito del giudice europeo: «L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 conferisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali. Tale margine di discrezionalità può condurli a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente, o addirittura a combinare tali due approcci. In particolare, la combinazione di un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e di un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del comune in questione, risulta equilibrata e, pertanto, idonea a garantire il rispetto di obiettivi di sfruttamento economico delle coste che possono essere definiti a livello nazionale, assicurando al contempo l’appropriatezza dell’attuazione concreta di tali obiettivi nel territorio costiero di un comune. In ogni caso, è necessario che i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili si basino su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati».
Dunque, la Corte Ue afferma che il governo italiano è libero di decidere su quale base calcolare la scarsità della risorsa. Questo apre a diversi possibili scenari: se decisa su base nazionale, occorrerà dimostrare attraverso una mappatura quanti dei circa 7500 chilometri di litorale italiano sono già occupati da concessioni e quanti sono ancora concedibili; mentre se calcolata su base regionale o comunale, ci sarebbero enormi differenze tra le aree costiere più antropizzate (come la riviera romagnola e la Versilia, dove le spiagge libere e concedibili per nuove imprese sono praticamente inesistenti) e quelle invece dove ci sono ancora centinaia di chilometri di litorale a disposizione (quasi tutti nel sud Italia). Ma il problema è rappresentato dai tempi con cui effettuare la mappatura delle coste: il primo decreto attuativo della legge sulla concorrenza ha disposto l’istituzione del nuovo sistema informatico “Siconbep”, che però non è stato ancora nemmeno progettato a causa dell’immobilismo del governo Meloni, e che richiede dei tempi lunghi. Viene quindi da chiedersi come sarebbe possibile prendersi altro tempo, dal momento che le concessioni attuali scadono il 31 dicembre di quest’anno e che qualsiasi rinnovo automatico sulle concessioni è tassativamente proibito. Sarà questa la principale questione che l’attuale esecutivo dovrà risolvere il prima possibile.
Stesso trattamento per le concessioni rilasciate prima del 2009
Tra i vari passaggi della sentenza, ha conquistato l’attenzione di molti concessionari il punto 73, che risponde alla richiesta di un diverso trattamento dei titoli rilasciati prima del 2009, quando in nome del recepimento della direttiva Bolkestein, è stato abrogato il rinnovo automatico delle concessioni con cui in precedenza venivano gestiti i titoli sul demanio marittimo. Così afferma la Corte a tal proposito: «Occorre sottolineare che una sentenza pregiudiziale, come la sentenza del 14 luglio 2016 “Promoimpresa”, chiarisce e precisa […] il significato e la portata della norma stabilita da detta disposizione della direttiva 2006/123, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore, ossia, conformemente all’articolo 44 di tale direttiva, a decorrere dal 28 dicembre 2009. Ne consegue che detta norma così interpretata deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima di tale sentenza». Nonostante il passaggio sia un po’ complesso, leggendolo con attenzione non c’è dubbio che anche i titoli sorti prima del 2009, secondo la Corte Ue, debbano essere trattati allo stesso modo di quelli sorti successivamente. Pertanto, il giudice europeo smentisce che i concessionari con titoli precedenti al 2009 possano essere esclusi dalle gare in quanto godrebbero di un “legittimo affidamento” dovuto al precedente regime normativo che garantiva una durata eterna della concessione.
Respinto il quesito sull’articolo 49
Infine, un altro importante quesito su cui c’era grande aspettativa da parte dei balneari è quello relativo all’articolo 49 del Codice della navigazione, che prevede l’esproprio dei manufatti che sorgono sul demanio marittimo al termine della concessione, per cederli allo Stato senza alcun indennizzo. Il Tar di Lecce aveva chiesto alla Corte Ue di decidere se questa norma fosse illegittima, in quanto presunta violazione del diritto alla proprietà privata, ma il giudice europeo ha respinto la questione, giudicandola inammissibile in quanto estranea rispetto all’oggetto principale del ricorso.
Per approfondire
- Scarica la sentenza della Corte Ue »
- Leggi tutti i commenti di politica e associazioni »
- Riguarda la diretta di Mondo Balneare sulla sentenza »
© RIPRODUZIONE RISERVATA