Abbiamo visto che i massi naturali e i blocchi artificiali che scarichiamo in mare per difendere la costa posso andare a costituire le opere più diverse: pennelli a I, L, Y, scogliere parallele completamente emerse, tracimabili, sommerse e a doppia berma, e anche in questo caso in Italia abbiamo delle strutture che raramente si trovano in altri paesi: sono le piattaforme-isola. Come dietro alle isole naturali, se di dimensioni opportune e alla giusta distanza dalla costa, si possono formare dei salienti o dei tomboli di sabbia, e lo stesso accade se l’isola la costruiamo noi.
Potremmo immaginarle come brevi scogliere parallele costruite nella zona dei frangenti, delle quali rimangono solo le estremità che inducono la diffrazione delle onde, che così s’incurvano per incontrarsi nella zone protetta. Questo genera un flusso sedimentario convergente che va a formare un saliente.

Come per le scogliere parallele, dimensioni e distanza da riva concorrono nel determinare la risposta della spiaggia: se piccole o lontane non hanno nessun effetto, se grandi o vicine inducono la formazione di un tombolo, mentre, nelle condizioni intermedie, generano un saliente più o meno pronunciato. È quest’ultima la configurazione ottimale.
Anche se di diametro notevole, le piattaforma-isola non hanno gli effetti collaterali negativi delle scogliere parallele, e in particolare non presentano scalzamento alla base esterna. Questo perché ciascun’onda raggiunge i diversi punti dell’opera circolare in momenti diversi e l’onda riflessa assume anch’essa una forma circolare e viene diffusa: non si ha quindi quella turbolenza che si genera davanti alle parallele per lo scontro su di una stessa linea delle onde incidenti con quelle riflesse.
In Italia ne sono state costruite molte negli anni ’60 e ’70, in particolare in Liguria, e in genere venivano rinforzate e stabilizzate al centro con un anello di calcestruzzo.


La costruzione in genere avviene da terra e questo fornisce l’occasione per lasciare un collegamento sommerso che aiuti l’intercettazione dei sedimenti; ma anche l’eventuale tombolo che si dovesse formare deve rimanere semisommerso o, comunque, tracimabile, perché queste opere sono pensate per stabilizzare la spiaggia senza interrompere il trasporto litoraneo che, durante le mareggiate, deve proseguire sia davanti sia dietro le isole.
Un’applicazione particolare si ha quando vi è la necessità di “tirare” verso il largo la linea di riva, come è stato fatto a Gioiosa Marea (Sicilia) per allontanare il mare da una curva della ferrovia, o a Cala Gonone (Sardegna) per avere una spiaggia più ampia davanti a una falesia instabile.

Sullo stesso principio funzionano le secche artificiali, oggi più utilizzate e che proteggono un po’ meno la spiaggia ma, non avendo impatto sul paesaggio, possono avere anche dimensioni maggiori; potremmo dire che sono la versione “soft” delle piattaforme-isola. Anche in questo caso la Liguria è all’avanguardia nella loro utilizzazione, con interventi a Borgo Verezzi, Pietra Ligure e Borghetto Santo Spirito, mentre sono di imminente realizzazione a Vado Ligure e a Riva Trigoso.
È evidente che queste opere non creano la sabbia e, se non vogliamo indurre l’erosione nei settori adiacenti, bisogna affiancarle con un ripascimento artificiale. Che non creino la sabbia lo si vede bene ad Acciaroli, dove non riescono certo a bilanciare l’effetto creato dal porto.

In un precedente “Granello di sabbia”, e anche all’inizio di questo, abbiamo notato come i diversi paesi siano affezionati a specifiche opere di difesa costiera; lo strano è che la stessa cosa la si rilevi fra le regioni italiane. Avevamo intitolato l’articolo sui pennelli permeabili “Paese che vai, difesa che trovi”; dobbiamo ora correggerci e dire “Regione che vai, difesa che trovi!”.
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