Opinioni

La chiusura delle spiagge è sbagliata: discrimina i cittadini e danneggia i balneari

Una smentita, punto per punto, delle motivazioni usate dalla Regione Emilia-Romagna per giustificare il divieto di accesso agli arenili fino al 17 maggio. Che oltre a essere una scelta infondata e irrispettosa, è diventata un boomerang contro la reputazione delle istituzioni e dei titolari di stabilimenti.

La scelta della Regione Emilia-Romagna di prolungare la chiusura delle spiagge fino al 17 maggio rappresenta un’imposizione esagerata e sbagliata, che apre alla pericolosa concezione di uno spazio pubblico come luogo privato da recintare e presidiare, che calpesta i diritti dei cittadini e manca loro di rispetto nel considerarli animali indisciplinati, e che incide negativamente sulla reputazione sia delle istituzioni locali che dei titolari di stabilimenti. Oltre alle argomentazioni false e contraddittorie utilizzate per giustificare il prolungamento del divieto di accesso alle spiagge, che smentiremo nelle prossime righe, è stato infatti compiuto un clamoroso scaricabarile che a nostro parere penalizza purtroppo l’immagine degli incolpevoli concessionari di spiagge e delle imprese balneari.

Questi i fatti: lo scorso 30 aprile il presidente dell’Emilia-Romagna ha firmato un’ordinanza per regolamentare la cosiddetta “fase due” dell’emergenza coronavirus, in vigore da oggi. Tra le varie misure più restrittive rispetto al dpcm nazionale figura il divieto di accesso alle spiagge, già chiuse al pubblico dallo scorso marzo e ulteriormente bandite fino al 17 maggio con una proroga di altre due settimane. Tale scelta, che rappresenta un’eccezione in Italia (solo il governatore del Lazio Nicola Zingaretti ha preso la stessa decisione ultrarestrittiva di Bonaccini; in tutto il resto delle regioni costiere da oggi sarà possibile camminare liberamente in riva al mare), è stata giustificata dagli esponenti della giunta emiliano-romagnola non solo con l’intento di evitare il presunto rischio di assembramenti di migliaia di cittadini che si riverserebbero tutti insieme sui litorali, ma anche per permettere ai titolari di stabilimenti balneari di terminare di allestire le spiagge e alle ruspe di spianare la duna protettiva invernale. A ciò si è poi aggiunto l’annuncio del 2 maggio, fatto dallo stesso governatore Bonaccini, di stanziare cinque milioni di euro a fondo perduto per i titolari di stabilimenti balneari. Ed ecco fatto un inconsapevole danno di immagine contro la categoria: molti cittadini emiliano-romagnoli, già infuriati per la chiusura delle spiagge lasciate in esclusiva fruizione ai concessionari per altre due settimane, hanno avuto un ulteriore motivo per prendersela contro i “bagnini privilegiati e padroni della spiaggia” e contro la “politica collusa” che favorirebbe i loro interessi privati. Di conseguenza, anche un giusto aiuto economico per sostenere un comparto in enorme difficoltà si è trasformato in un boomerang: a dimostrarlo ci sono le centinaia di commenti alla notizia pubblicata sui social del governatore, dei sindaci e degli assessori, ma anche in quella di Mondo Balneare, che hanno preso in malo modo sia la decisione di chiudere le spiagge che i commenti di approvazione a questa scelta arrivati nei giorni successivi dalle associazioni regionali di categoria e dalle cooperative cittadine degli stabilimenti balneari. E queste ultime forse hanno un tantino sottovalutato che giustificare la scelta del governatore ha fatto passare i balneari ancora più in cattiva luce: per una volta ci permettiamo di dire che congratularsi non era un obbligo; anzi in questo caso era forse meglio restare in silenzio e fare finta di nulla nei confronti di una decisione impopolare per almeno una buona metà degli emiliano-romagnoli. Se nelle settimane precedenti la stragrande maggioranza degli italiani ha digerito, ubbidito e addirittura invocato le durissime misure nazionali di lockdown, comprendendo il momento straordinario, ora che si apre la “fase due” sono molti meno quelli che hanno accettato ordinanze che permettono di andare a trovare un parente di sesto grado e non un amico stretto; o appunto che consentono di camminare nei parchi e non nelle spiagge: si tratta infatti di decisioni sciatte, imprecise e contraddittorie, che non hanno alcuna motivazione valida. Lo spieghiamo per chi ha ancora il tempo e la pazienza di leggere.

Tutte le errate motivazioni della chiusura delle spiagge

Sugli infondati motivi avanzati dagli esponenti della Regione Emilia-Romagna e da alcuni sindaci della costa per giustificare il prolungamento della chiusura delle spiagge, nei giorni scorsi abbiamo assistito a un teatrino irrazionale fatto di scelte paternalistiche, calpestamento dei diritti e dichiarazioni sbagliate, che potevamo comprendere all’inizio della pandemia ma non dopo ben due mesi in cui la politica si è dimostrata capace solo di proibire e di reprimere, senza uno straccio di immaginazione e programmazione per una ripartenza sostenibile, e anzi talvolta approfittando del “nemico invisibile” per introdurre divieti e coercizioni che nulla hanno a che fare con la tutela della salute, e con cui ci troveremo a fare i conti anche una volta terminata l’emergenza. Per questo, a partire dal piccolo esempio che rappresenta la chiusura delle spiagge, riteniamo di dover prendere posizione smontando per punti le motivazioni espresse da governatore, assessori regionali e sindaci delle località costiere.

  1. Si è detto che riaprire gli arenili porterebbe migliaia di cittadini ad affollare le spiagge. Falso: la stessa ordinanza regionale proibisce di uscire dalla propria provincia di residenza per fare gite di piacere verso le seconde case, pertanto non c’è il rischio di colonne di auto che dalla provincia emiliana andrebbero a prendere il sole in riviera romagnola. Peraltro gli stabilimenti balneari sono chiusi e non effettuano attività di bar, ristorazione e affitto ombrelloni, riducendo ulteriormente i motivi per cui recarsi in spiaggia al di là di fare attività motoria o sdraiarsi al sole in tranquillità e sicurezza. L’apertura delle spiagge riguarderebbe insomma solo i residenti delle aree costiere, che dopo due mesi di lockdown hanno il diritto di accedere alla spiaggia, per le stesse ragioni secondo le quali è stato loro permesso entrare nei parchi: anzi, più sono gli spazi aperti a disposizione, meno si rischiano assembramenti. Accettare oggi questa motivazione per giustificare la chiusura delle spiagge significa paradossalmente essere d’accordo a tenerle chiuse per sempre, o almeno finché non sarà trovato un vaccino contro il coronavirus: non si capisce infatti cosa cambierebbe dal 4 al 18 maggio, anzi, prolungare il divieto di altre due settimane non farà che aumentare il desiderio. Ma soprattutto, molti altri governatori regionali (come quelli di Marche e Campania) hanno consentito il libero accesso alla spiaggia già da oggi: sono loro a essere scellerati oppure sono Bonaccini e Zingaretti ad avere imposto un divieto esagerato?
  2. Sono state chiamate in causa le foto scattate l’8 marzo sul molo di Ravenna e altri simili quadretti, invitando a non fare lo stesso errore di quei giorni, quando il rischio della pandemia era già nell’aria ma era ancora consentito andare a camminare ovunque si volesse, e dunque migliaia di cittadini avevano affollato le spiagge della riviera romagnola. Si tratta di una considerazione disonesta: in quei giorni tutti quanti avevano sottovalutato il rischio, compresi i politici (vi ricordate le campagne “L’Italia non si ferma?”); inoltre, al contrario di oggi, erano ancora aperti bar, ristoranti, locali e stabilimenti balneari e si potevano raggiungere le spiagge da ogni parte d’Italia, eccetto che dalle poche “zone rosse”. Oggi invece, dopo due mesi di reclusione, terrorismo mediatico e centinaia di migliaia di morti, tutti quanti hanno imparato a sufficienza a mantenere le distanze ed evitare assembramenti. Nei parchi come in riva al mare.
  3. Si è affermato che riaprire le spiagge comporterebbe un aumento di contagi, perché si tratta di ambienti difficili da controllare e presidiare per impedire assembramenti. Falso anche questo: la scienza dice chiaramente che basta rispettare le necessarie misure di sicurezza (mascherina e distanziamento fisico di almeno un metro) e il rischio di contagio all’aria aperta è praticamente inesistente. I giornalisti e i politici che fanno credere che il virus si propaghi nell’atmosfera mentono e fanno puro terrorismo. E poi, perché i parchi e le pinete sono aperti? Anch’essi sono ambienti enormi e difficili da pattugliare con costanza. Ma forse chi ha l’ossessione degli assembramenti in spiaggia ritiene i cittadini degli incivili incapaci di autocontrollarsi dopo due mesi di pandemia e vogliosi solo di giocare a beach volley, e questo è quantomeno irrispettoso nei confronti di milioni di italiani già provati da questa tragedia globale. Inoltre, se davvero la “fase due” ha significato l’inizio della convivenza con il virus e ha comportato la scelta di rispedire ben quattro milioni di italiani al lavoro, con la consapevolezza che occorrerà molta responsabilità per conciliare la salute con il lavoro ed evitare un nuovo aumento di contagi, non si capisce con quale criterio si è deciso che la riapertura graduale non debba riguardare la spiaggia: un’ora di svago al mare ha minore dignità rispetto a una passeggiata al parco? Il lavoro e la produzione sono più importanti del benessere psicofisico che qualcuno può legittimamente cercare in riva al mare?
  4. Si è dichiarato che le ruspe devono spianare la duna artificiale invernale e che i balneari devono terminare di allestire i loro stabilimenti. Si tratta di un’argomentazione fuorviante: le spiagge emiliano-romagnole non sono mai state chiuse per questi motivi. Inoltre gli stessi balneari affermano che hanno ben poco da allestire, in quanto il governo Conte colpevolmente non ha ancora diramato nessuna linea guida ufficiale per poter riaprire i lidi attrezzati in sicurezza (a partire dal distanziamento minimo tra gli ombrelloni). Finché non ci saranno indicazioni chiare a livello nazionale, i concessionari di spiagge potranno fare solo manutenzione e pulizia. E se c’è qualcuno che passeggia nei dintorni, non può dare certo fastidio a nessuno.

Restituire gli spazi pubblici ed evitare giochi politici che calpestano i diritti

Le spiagge sono ambienti pubblici e il libero accesso è garantito a chiunque dalla legge italiana n. 296/2006, eppure questi ambienti sono barricati da molto tempo: ciò si poteva comprendere all’inizio della pandemia, quando c’era una grave emergenza da gestire, ma oggi chi impedisce la loro riapertura non ha alcuna giustificazione, se non quella di reprimere e di scaricare le colpe sui singoli anziché sul sistema. Questo divieto sottovaluta la condizione dei tanti residenti nelle località costiere, che hanno vissuto da reclusi per settimane (magari in appartamenti piccoli, senza giardino e con bambini a cui badare), che hanno subito già abbastanza ingiustizie e difficoltà economiche, che hanno passato giorni di ansia leggendo di morti e di contagiati e che oggi hanno pieno diritto a pretendere di farsi una passeggiata benefica in riva al mare senza dare fastidio a nessuno né rappresentare un rischio per gli altri e per se stessi.

Inoltre, la scelta dell’Emilia-Romagna sembra essere stata male ponderata perché ha fatto passare il messaggio che la spiaggia non è una destinazione sicura, rischiando di far cambiare idea ai tanti ancora indecisi se trascorrere le vacanze al mare la prossima estate. Da queste scelte, che come detto hanno danneggiato l’immagine degli imprenditori balneari, dipende il futuro già compromesso dell’economia turistica regionale ed era lecito aspettarsi più cautela nel continuare a imporre inutili divieti. O ancora, per pensare proprio male, non vorremmo che ci sia un ballo una gara politica per dimostrare chi è stato più bravo a gestire l’emergenza sanitaria: oggi il vento del consenso soffia a favore di chi è più securitario e domani qualcuno potrebbe rivendicare il minore aumento di contagi nella propria regione per proseguire la sua carriera; ma se davvero ci sono amministratori che stanno costruendo il loro percorso politico calpestando i diritti dei cittadini e danneggiando l’immagine del turismo balneare, stanno commettendo un grave crimine. Per questo facciamo un appello: Regione Emilia-Romagna, forse è il caso di ripensarci e di riaprire subito le spiagge. Non siamo animali da recintare o portare al pascolo, bensì cittadini diligenti che hanno sopportato a sufficienza la privazione delle proprie libertà, visto purtroppo morire centinaia di migliaia di persone e capito come comportarsi e spostarsi senza rischiare il contagio. Chiedere la riapertura delle spiagge non è la posizione egoista di chi vuole farsi “la passeggiata al mare”, bensì l’appello di chi pretende una fase meno repressiva e più illuminata sul futuro.

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Alex Giuzio

Caporedattore di Mondo Balneare, dal 2008 è giornalista specializzato in economia turistica e questioni ambientali e normative legate al mare e alle spiagge. Ha pubblicato "La linea fragile", un saggio sui problemi ecologici delle coste italiane (Edizioni dell'Asino, 2022), e ha curato il volume "Critica del turismo" (Grifo Edizioni 2023).
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