Norme e sentenze

Bolkestein e concessioni balneari, Consiglio di Stato ribadisce necessità di gare

Una recente pronuncia ha sottolineato che il diritto europeo prevede le evidenze pubbliche sui nuovi titoli. Ma continua a mancare una riforma del settore.

Sebbene la stagione estiva non sia esattamente alle porte, la questione del rinnovo delle concessioni demaniali marittime è oggetto di continui pronunciamenti da parte del giudice amministrativo. E con una recentissima sentenza (la n. 1416 del 16 febbraio 2021), la IV sezione del Consiglio di Stato ha, almeno per il momento, reso importanti chiarimenti in merito alla diretta applicabilità della direttiva 2006/123/CE (nota come “direttiva Bolkestein”) alla fattispecie delle concessioni demaniali marittime per scopi turistici.

Alla base della sentenza del Consiglio di Stato vi era la richiesta di rilascio di una nuova concessione demaniale marittima con finalità turistica, avanzata anni or sono a un Comune pugliese e riscontrata negativamente dall’amministrazione comunale sulla base di un contrasto con il Piano comunale delle coste. In primo grado il Tar Puglia aveva ritenuto che il rilascio della concessione demaniale doveva essere preceduto da idonea procedura a evidenza pubblica, dunque la richiedente la concessione demaniale ha appellato la sentenza del Tar, osservando che il provvedimento impugnato non aveva a fondamento della sua motivazione la mancanza di una procedura di evidenza pubblica, bensì un presunto contrasto tra la concessione domandata e il Piano delle coste.

Il quadro normativo

Prima di affrontare l’analisi della sentenza in esame, occorre ricostruire brevemente il quadro normativo inerente le concessioni demaniali marittime a finalità turistico ricreativa.

  • Come noto, con la direttiva 123/2006/CE l’Unione europea ha dettato disposizioni in materia di libertà di stabilimento dei prestatori di servizi, nonché la libera circolazione dei servizi, intendendo per “servizi” «qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 50 del trattato fornita normalmente dietro retribuzione» (art. 4, n. 1).
  • L’art. 12 della direttiva sancisce che qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, gli Stati membri applichino una procedura di selezione pubblica, imparziale e trasparente tra i candidati potenziali, per il rilascio di una “autorizzazione” (concessione) di durata limitata, non rinnovabile automaticamente.
  • In ambito nazionale, l’art. 03, comma 4-bis, del decreto legge n. 400 del 1993 ha stabilito che le concessioni demaniali “con finalità turistico-ricreative” possono avere durata superiore a sei anni e non superiore a venti.
  • L’art. 1, comma 18, del decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito in legge 26 dicembre 2010, n. 25, ha previsto che «nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative […] il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino a tale data».
  • Ancora, l’art. 34-duodecies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha modificato l’art. 1, comma 18, del decreto legge n. 194/2009, fissando un nuovo termine di durata delle concessioni “al 31 dicembre 2020”.
  • Con legge 30 dicembre 2018 n. 145 (art. 1, commi 682, 683 e 684) è stata disposta l’estensione della durata delle concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo per 15 anni, quindi fino al 1° gennaio 2034.
  • Infine, con legge 17 luglio 2020, n. 77, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, è stata ribadita la volontà del legislatore di fissare al 1° gennaio 2034 la data ultima di scadenza delle attuali concessioni interessate dalle precedenti proroghe ed è stata anche sancita l’impossibilità per le amministrazioni comunali di intraprendere o proseguire procedure di scelta dei nuovi concessionari.

Per il Consiglio di Stato, la gara è fondamentale

Tornando alla sentenza in commento, secondo il Consiglio di Stato la circostanza per cui l’originario provvedimento di diniego non richiamava espressamente, a suo fondamento, la necessità di un preventivo esperimento di procedura selettiva, non è dirimente. In base alla normativa regionale pugliese, infatti, il rilascio e la variazione della concessione demaniale marittima devono comunque avvenire nel rispetto dei principi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia (nonché dalla Corte di giustizia europea con sentenza 14 luglio 2016, cause C-458/14 e C-67/15). Il riferimento principe va all’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE e all’art. 49 TFUE, relativi ai servizi nel mercato interno.

Il Consiglio di Stato ha dunque ribadito «l’invalidità di norme nazionali che prevedano proroghe automatiche in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati». In definitiva, il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente determina un ostacolo all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato, ostacolo ingiustificabile alla luce dei principi di derivazione europea applicabili in materia di concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative.

La spiaggia, bene pubblico demaniale (art. 822 c.c.) inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritti a favore di terzi (art. 823 c.c.), presenta i caratteri della limitatezza nel numero e nell’estensione e di possibilità di sfruttamento economico. Questo giustifica il ricorso a procedure “di gara” per l’assegnazione delle concessioni e ciò determina, secondo il Consiglio di Stato, anche che «qualsivoglia normativa nazionale o regionale deve in materia ispirarsi alle regole della Unione europea sulla indizione delle gare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 aprile 2017, n. 1763), stante l’efficacia diretta nell’ordinamento interno degli Stati membri delle pronunce della Corte» (e qui il riferimento va primariamente alla sentenza del 14 luglio 2016, cause C-458/14 e C-67/15).

Bolkestein sì o Bolkestein no?

Il ragionamento propugnato dalla sezione IV del Consiglio di Stato con la sentenza in commento trova riscontro nel preponderante filone giurisprudenziale che ritiene contraria a principi e norme eurounitari la normativa nazionale che ha, a più riprese, esteso la scadenza delle concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo. Recentemente il Tar Campania, sezione di Salerno, con la nota sentenza n. 265 del 29 gennaio 2021, aveva giustappunto affermato che la proroga delle concessioni demaniali, in assenza di gara, «non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento», perché equivalente a un rinnovo automatico delle concessioni, ostativo a procedure selettive aperte e trasparenti.

Come è stato sottolineato dal Tar Salerno, “proroga” e “rinnovo automatico” determinano una disparità di trattamento tra operatori economici, facendo sorgere preclusioni e ostacoli alla gestione concorrenziale dei beni demaniali oggetto di concessione. Questi due istituti giuridici violano, dunque, i principi del diritto eurounitario in materia di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza. Tali considerazioni hanno portato il Tar Salerno a ritenere che anche la più recente proroga legislativa delle concessioni balneari fino al 2033 (di cui all’articolo unico, comma 683, l. 30 dicembre 2018, n. 145) deve essere disapplicata, stante il suo contrasto con gli artt. 49 e 56 del TFUE.

In senso diametralmente opposto al Tar Salerno si era espresso il Tar Lecce con la nota sentenza n. 1321 del 27 novembre 2020 (poi ribadita, da ultimo, con la sentenza n. 268 del 15 febbraio 2021). Secondo il Tar pugliese, in base a un risalente precedente del Consiglio di Stato (sez. VI, 27 dicembre 2012, n. 6682), la direttiva Bolkestein non può qualificarsi come direttamente applicabile (“self-executing”). Siccome la normativa italiana in materia di riordino delle concessioni demaniali marittime non è mai intervenuta ad applicare i principi della direttiva Bolkestein, dovrebbe essere addirittura affermato il diritto del concessionario uscente a ottenere la proroga del titolo concessorio fino al 31 dicembre 2033.

Conclusioni

L’ultimo pronunciamento del Consiglio di Stato si inserisce in un filone consolidato che va verso l’affermazione della supremazia del diritto eurounitario rispetto a quello interno. La speranza è che, prima o poi, anche il legislatore si renda conto che l’instradamento su di un canale interpretativo non condivisibile non è di interesse per la nazione, e soprattutto non lo è l’esposizione dello Stato alle procedure di infrazione che, a quanto pare, sono dietro l’angolo.

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Filippo Maria Salvo

Avvocato specializzato in diritto dell'edilizia e diritto tributario immobiliare