Spiagge e aree costiere sono tra le zone più fragili e in sofferenza della penisola italiana. A pesare in primis ci sono gli impatti della crisi climatica, il riscaldamento delle acque del mare e soprattutto gli eventi meteo estremi che colpiscono sempre di più le località costiere, e che Legambiente ha mappato per la prima volta nel suo nuovo rapporto “Spiagge 2023. La situazione e i cambiamenti in corso nelle aree costiere italiane”. Nel report, diffuso nei giorni scorsi, l’associazione indica all’esecutivo anche un pacchetto di sette interventi da mettere in campo per la riforma del demanio marittimo.
Erosione, consumo di suolo e mareggiate
Crisi climatica, erosione, consumo di suolo, concessioni balneari, aree a rischio inondazione, inaccessibilità alle spiagge per motivi di illegalità e di mare inquinato sono i sei indicatori al centro del report per misurare gli impatti sui lidi. A parlar chiaro sono i dati: dal 2010 al giugno 2023, secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, sono 712 gli eventi meteo estremi, su 1.732 eventi totali, avvenuti in 240 dei 643 Comuni costieri (pari al 37,3%), e 186 le vittime su un totale di 331 in tutta Italia. Nel dettaglio, gli eventi che si sono registrati sono stati 254 allagamenti da piogge intense, 199 danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 84 danni alle infrastrutture da piogge intense, 64 danni da mareggiate, 46 esondazioni fluviali, 21 frane da piogge intense, 19 danni da grandinate, 10 danni da siccità prolungata, 9 danni al patrimonio storico da piogge intense e 6 casi di temperature record. Dal 2010 le regioni più colpite sono state la Sicilia con ben 154 eventi estremi, la Puglia con 96, la Calabria con 77 e la Campania con 73. Tra i Comuni più colpiti ci sono Bari con 43 casi, Agrigento con 32, Genova con 27, Palermo e Napoli entrambe con 23 casi e Ancona con 22.
Preoccupanti anche i dati sull’erosione costiera e sul consumo di suolo: tra il 2006 e il 2019 sono infatti stati modificati 1.771 km di costa naturale bassa su 4.706 km in totale, pari al 37,6% (dati Ispra). Uno dei problemi è che in Italia si continua a intervenire con opere come pennelli e barriere frangiflutti, arrivando in totale a ben 10.500 opere rigide lungo le coste italiane, quasi 3 ogni 2 chilometri di costa. Si tratta di opere che artificializzano ulteriormente la linea di costa e che, come provato su molti litorali, modificano inevitabilmente le correnti marine e spostano semplicemente il problema su altri tratti coste. Per quanto riguarda il consumo di suolo, nei Comuni costieri italiani questo è pari a oltre 420 mila ettari al 2021, che corrisponde al 27% del totale di suolo consumato in Italia, con un incremento vicino al 6% rispetto al dato del 2006. Infine, rispetto al tema inondazioni, nel nostro paese sono 40 le aree a maggior rischio (dati Enea), con migliaia di chilometri quadrati di aree costiere che rischiano di essere sommerse dal mare, in uno scenario al 2100 e in assenza di interventi di mitigazione e adattamento. Senza dimenticare il problema dell’inaccessibilità alle spiagge per motivi di illegalità (cancellate e chiusure di spiagge che dovrebbero essere accessibili a tutti, abusivismo edilizio, eccetera) e quello dove il mare è inquinato e vige il divieto di balneazione, ovvero il 7,7% delle coste basse italiane.
Dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente: «Le coste italiane rappresentano una delle cartine di tornasole più importanti, insieme alle aree urbane, soprattutto per analizzare gli impatti che la crisi climatica sta già portando insieme agli eventi meteo estremi e al riscaldamento delle acque. Si tratta infatti di aree al centro dell’hot spot climatico del Mediterraneo e quindi particolarmente vulnerabili e che, in futuro, lo saranno ancora di più a causa dell’innalzamento del livello dei mari. Per questo è fondamentale intervenire con azioni concrete per le aree costiere, approvando il Piano nazionale di adattamento al clima e attuando piani e strumenti di governance che riducano il rischio per le persone, le abitazioni e le infrastrutture, e che permettano di programmare interventi volti al miglioramento della gestione dei territori. Così come bisogna garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge e premiare dall’altro lato la qualità dell’offerta e le scelte di sostenibilità ambientale nei criteri di affidamento delle concessioni dei lidi. A tal proposito, rispetto al tavolo interministeriale in corso tra governo e associazioni, teniamo a precisare che purtroppo le ragioni dell’ambiente sono state tenute fuori. Non sono state invitate le associazioni ambientaliste, ma solo quelle che raggruppano gli operatori del settore e le amministrazioni».
Concessioni e canoni balneari
«Parlare di spiagge significa parlare anche di concessioni balneari», afferma Legambiente, che nel report diffonde una stima realizzata sui dati del Sistema informativo demanio e con foto satellitari, secondo la quale sono ben 12.166 le concessioni per stabilimenti balneari e 1.838 le concessioni per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici. Le restanti concessioni sono distribuite su vari utilizzi, dalla pesca e acquacoltura al diporto. «In totale si tratta del 42,8% delle coste basse occupate da concessioni», sottolinea l’associazione. «Guardando alla diffusione territoriale, regioni record sono sempre Liguria, Emilia-Romagna e Campania, dove quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari con alcuni Comuni prossimi al 100%. La sintesi è che nel Belpaese è sempre più difficile trovare una spiaggia libera, dato che ancora non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione. Inoltre, il governo nell’ultimo milleproroghe ha tentato di allungare la validità delle concessioni fino al 31 dicembre 2024, con una proroga che il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima. In questo quadro l’unico passo avanti che Legambiente registra è che, finalmente, con il via libera arrivato in questi giorni dal consiglio dei ministri, avremo il decreto sulla mappatura delle concessioni in Italia, richiesta avanzata da anni dalla nostra associazione e su cui ora bisogna accelerare il passo per avere finalmente aggiornamenti e dati affidabili».
Tra i nodi da risolvere resta quello del rinnovo dei titolo. «L’affidamento delle concessioni balneari stabilito tramite bandi di gara non è più rinviabile», aggiunge Sebastiano Veneri, responsabile turismo e innovazione territoriale di Legambiente. «Occorre infatti dare seguito alle innumerevoli sentenze statali ed europee al riguardo, altrimenti si arriverà presto a multe per il nostro paese per violazione delle direttive europee».
Un altro tema sollevato da Legambiente è quello dei canoni: «A partire dagli ultimi anni si sta rimediando a una situazione che vedeva i canoni concessori a livelli decisamente bassi. Dal 2021, per effetto del “decreto agosto”, è stato deciso che l’importo annuo del canone dovuto quale corrispettivo dell’utilizzazione di aree e pertinenze demaniali marittime con qualunque finalità non poteva essere inferiore a 2.500 euro, aumentato nel 2022 a 2.698,75 euro. Per il 2023 era stato previsto un aumento del 25%, portando il canone annuale a 3.377,50 euro, ma è stato annullato da una recente ordinanza del Consiglio di Stato».
Le proposte di Legambiente per le aree costiere italiane
Di fronte a questo quadro, sono sette gli interventi che Legambiente chiede al governo Meloni di mettere in campo:
- Approvare in via definitiva il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (al momento fermo dopo la fase di valutazione ambientale strategica) e stanziare le risorse economiche per attuarlo.
- Superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi con le opere rigide per la difesa delle coste dall’erosione, che hanno risolto poco e solo temporaneamente i problemi locali.
- Adottare misure di adattamento per ridurre il rischio di inondazioni nelle zone costiere (come, per esempio, gli interventi di rinaturalizzazione delle coste, ricostituendo le fasce dunali e le zone umide e paludose), affiancando anche sistemi di previsione e di allerta, per informare la popolazione interessata, oltre a un serio ragionamento sulla delocalizzazione di abitazioni e sistemi produttivi dalle aree più ad alto rischio.
- Approvare la legge sullo stop al consumo di suolo che il paese aspetta da 11 anni.
- Garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge, definendo un quadro chiaro di obiettivi da rispettare, valido in tutta Italia, con almeno il 50% delle spiagge in ogni Comune lasciato alla libera e gratuita fruizione, e premiare la qualità dell’offerta nelle spiagge in concessione.
- Ristabilire la legalità e fermare il cemento sulle spiagge, un obiettivo per la tutela delle aree costiere nel loro insieme, includendo il rispetto delle aree naturali e il divieto assoluto di realizzare qualunque tipo di manufatto sulle spiagge e demolendo quelli illegali.
- Rilanciare a livello nazionale e locale la costruzione e l’adeguamento e/o la messa in regola dei sistemi fognari e di depurazione.
Le buone pratiche
Diverse sono le buone pratiche in atto nel paese contro l’erosione costiera e storie di stabilimenti green virtuosi raccontate nel report “Spiagge 2023”. Tra queste ci sono il Comune di Rimini, che ha avviato un’opera di riqualificazione e pedonalizzazione del lungomare e la creazione del “Parco del mare“, il progetto internazionale Operandum contro l’erosione costiera con 26 partner provenienti da 12 paesi europei più Cina e Australia, che sta implementando molteplici soluzioni basate sulla natura, e il progetto “Custodi delle dune di Campomarino”, promosso a Taranto da Legambiente e dal gruppo Unipol nell’ambito della campagna “Bellezza Italia”.
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