I canoni delle concessioni demaniali marittime saranno più alti del 25,15% nell’anno 2023. Lo ha deciso il Ministero delle infrastrutture, che ieri ha comunicato la consueta variazione dei canoni balneari in base agli indici Istat. Si tratta dell’aumento più elevato mai avvenuto. L’aumento è stato calcolato facendo la media sul paniere Istat tra i prezzi all’ingrosso e i prezzi al dettaglio dell’anno appena concluso, quindi tra +40% e +9%.
Tutti gli anni i canoni delle concessioni demaniali marittime, su cui insistono circa diecimila stabilimenti balneari e molte altre attività turistico-ricreative, vengono adeguati agli indici Istat. Già per quest’anno era avvenuto un aumento storico, pari al +7,95%, il più alto mai registrato prima d’ora. Negli anni precedenti, invece, i canoni erano stati leggermente diminuiti del -1,85% nel 2021 e del -0,75% nel 2020.
In conseguenza all’adeguamento agli indici Istat, il canone demaniale minimo per il 2023 ammonterà a 3.377,50 euro, mentre fino allo scorso anno era di 2.698,75 euro.
La circolare del ministero sull’aumento dei canoni balneari
La circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che ha reso noto l’aumento del +25,15% dei canoni demaniali marittimi riporta in allegato le tabelle contenenti le misure unitarie dei canoni aggiornate all’attualità. Riportiamo entrambi i documenti qui di seguito.
- Scarica la circolare del Ministero delle infrastrutture n. 2 del 30 dicembre 2022 »
- Scarica le tabelle dei canoni demaniali marittimi con le nuove tariffe 2023 »
Le critiche dei sindacati balneari
Le associazioni di categoria Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti, in una nota congiunta, hanno espresso una dura critica all’aumento dei canoni balneari. Così i rispettivi presidenti Antonio Capacchione e Maurizio Rustignoli: «L’aumento dei canoni demaniali marittimi per l’anno 2023 è un provvedimento ingiustificato e ingiusto. Ingiustificato perché è più del doppio dell’indice Istat registrato nel 2022 (pari al +11,5%, si veda il comunicato Istat del 16 dicembre scorso) e più del triplo dell’inflazione (+8,1%, si veda il comunicato Istat del 30 novembre scorso). Ed è ingiusto perché esaspera un meccanismo di determinazione dei canoni sbagliato, in quanto non parametrato all’effettiva redditività dell’area oggetto di concessione e disincentivante rispetto agli investimenti per il potenziamento dei servizi balneari. Già adesso, infatti, c’è chi paga tanto e chi relativamente poco in riferimento a questi doverosi criteri. Senza parlare delle ormai note ingiustizie sui costi economici dei concessionari balneari, con l’aliquota Iva al 22 %a differenza di tutte le altre aziende turistiche per le quali è al 10%, la Tarsu sull’intera area in concessione anche laddove e quando è improduttiva di rifiuti, o l’Imu sui manufatti ancorché considerati affittuari».
«Chiederemo la revoca del provvedimento e comunque la sua sospensione in attesa di un opportuno e doveroso riordino dei criteri di determinazione dei canoni che li renda giusti ed economicamente sopportabili», concludono Capacchione e Rustignoli.
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