Navigando davanti a una falesia, o camminandovi ai piedi se è fronteggiata da una spiaggia molto stretta, si vede spesso un solco che ne incide la base: è il solco di battente, che conferisce un maggior fascino alle coste rocciose e suscita curiosità nei visitatori. La sua posizione ci dice chiaramente che è il prodotto dell’azione erosiva del mare, ma, come spesso avviene in tutto ciò che sembra semplice, le cose sono un po’ più complesse.
È certo che la sabbia mossa dalle onde è un ottimo abrasivo e può incidere la roccia, ma dove la falesia scende in profondità, e le onde non frangono su di una superficie inclinata ma anzi vengono riflesse, chi è che scava quel solco?
Se la roccia ha una componente carbonatica, i processi che portano alla dissoluzione del calcare possono essere molto efficienti grazie all’abbondanza di anidride carbonica nel livello più superficiale dell’acqua di mare. Ne sono una prova i bellissimi solchi che si trovano proprio su queste rocce, come per esempio nel Golfo di Orosei, in Sardegna. Altro processo può essere l’aloclastismo, ossia la formazione di cristalli di sale nella roccia bagnata quando, in bassa marea, si asciuga; processo che abbiamo visto responsabile della formazione delle piattaforme costiere. Altrimenti è il lavoro di piccoli animali che vivono sulla roccia e che si nutrono delle alghe che vi si sviluppano. In particolare abbiamo alcuni molluschi, che stazionano nella fascia intertidale e la cui bocca è dotata di una radula, che raschiano la roccia per staccarne il cibo.
Raramente si vedono solchi molto profondi, se non su rocce molto compatte, perché il peso della roccia sovrastante prima o poi porta al crollo di una fetta della parete. Spesso questo capita quando l’incisione incontra una frattura della roccia. È per questo che, sul lungo tempo, il tasso di arretramento di una falesia è legato alla velocità di approfondimento del solco.

Ad Aldabra, nelle Seychelles, è stata misurata una velocità di sviluppo del solco di 3 mm all’anno, che è poi simile alla velocità di arretramento delle falesie costituite da rocce dure. In ambiente tropicale le incrostazioni organiche, che si formano sulla roccia al livello del mare, gli conferiscono una maggiore resistenza e si può assistere alla formazione di due solchi separati, appunto, da una fascia di roccia incrostata.
Nel Golfo di Orosei non c’è solo il solco che vediamo al livello del mare, ma ve n’è uno, molto più grande anche se meno nitido, che corre a una quota di circa 9 metri. Evidentemente si è formato con un livello del mare più alto, e la smussatura dei bordi, in particolare di quello inferiore, deve essere avvenuta quando il mare cambiava di livello, oltre che per l’alterazione ed erosione della roccia negli anni successivi. Ma quanti anni?
Noi sappiamo che circa 125.000 anni fa la Terra attraversava l’ultima fase calda (interglaciale Riss-Würm) prima che giungesse l’ultima glaciazione; in quel momento il livello del mare si posizionava proprio a quella quota! Un ricercatore italiano, Luigi Carobene, ha messo però in evidenza come quel solco non sia perfettamente orizzontale, ma parta da 8,4 metri, sul lato meridionale del golfo, e arrivi a 10,7 metri su quello settentrionale. Dato che la superficie del mare non poteva essere in salita (e neppure in discesa, come mi disse una studentessa durante un esame!), si deve concludere che quel settore della costa sarda abbia subito, da 125.000 anni a oggi, un leggero basculamento.

Lungo le coste caratterizzate da una bassa escursione di marea e limitata energia del moto ondoso, i solchi di battente sono stretti e ben delimitati, mentre con l’aumentare dell’escursione di marea e dell’esposizione della costa divengono sempre più ampi e smussati. In ogni caso, rendendo ancora più brusco il passaggio dalla terra all’acqua, anche per l’ombra che proiettano, i solchi di battente contribuiscono ad accrescere l’indiscutibile fascino che hanno le coste rocciose.
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