Ha fatto scalpore, in questi giorni, una sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato il termine delle concessioni balneari per il 31 dicembre 2023. Ma in realtà la decisione di Palazzo Spada non rappresenta nessuna novità di rilievo. Con la pronuncia n. 7992 del 28 agosto 2023, la sesta sezione del massimo tribunale amministrativo non ha fatto altro che ribadire quanto già deciso due anni fa dall’adunanza plenaria con le note “sentenze gemelle” del 9 novembre 2021: ovvero che le proroghe automatiche sulle concessioni balneari sono illegittime perché in contrasto col diritto europeo, e che entro il 31 dicembre 2023 tutti i titoli vanno riassegnati tramite gare pubbliche. Dopo quell’eclatante decisione, il governo Meloni ha deciso di istituire comunque un’altra proroga automatica di un anno, fino al 31 dicembre 2024, ponendosi in diretto contrasto con la sentenza del Consiglio di Stato. Pertanto è ovvio che i giudici amministrativi, per essere coerenti con le loro decisioni, non possano fare altro che disapplicare le leggi che non rispettano le loro pronunce. Palazzo Spada lo aveva già fatto lo scorso marzo, con la sentenza n. 2192/2023 che ha dichiarato illegittima la proroga di un anno in applicazione a quanto stabilito dall’adunanza plenaria, e la decisione di lunedì non è altro che una replica della stessa minestra riscaldata.
Tanto è bastato, tuttavia, per dare modo di sollevare un gran polverone ad alcuni piccoli comitati pseudo-ambientalisti che non perdono occasione per girare questo genere di notizie a favore delle loro utopistiche richieste di “più spiagge libere”, come se le gare delle concessioni balneari significassero smantellare gli attuali stabilimenti e non invece, come è in realtà, sostituire gli attuali titolari con nuovi concessionari attraverso l’esproprio di una proprietà privata (quale è l’impresa che insiste sulla spiaggia pubblica) e un’apertura al mercato che rischia di essere l’ennesima svendita di patrimonio pubblico giustificata in nome delle liberalizzazioni. Polverone purtroppo ripreso da molti media che, come abbiamo spiegato più volte, su una materia complessa come il demanio marittimo peccano di superficialità e faziosità. E che anche in questo caso, hanno spacciato la sentenza del Consiglio di Stato come una novità eclatante per avere l’ennesimo titolone da gridare.
Che le proroghe automatiche sulle concessioni balneari siano illegittime, ormai lo sanno anche i muri. La questione non è nemmeno più giuridica, bensì politica: c’è da chiedersi infatti perché il governo Meloni, in un anno di tempo, non abbia fatto alcunché per decidere il futuro di migliaia di imprese, tranne una proroga automatica che si sapeva sarebbe crollata alla prima sentenza. Il tavolo di lavoro tra ministeri e associazioni di categoria ha portato avanti solo il tema della mappatura, ma si è concluso con un nulla di fatto a pochi mesi dalla scadenza ufficiale delle concessioni. A garantire la validità dei titoli fino al 31 dicembre 2024 resta comunque la legge 118/2022 del governo Draghi, che ha previsto un ulteriore anno di tempo non come proroga automatica bensì come “periodo transitorio” (e pertanto ammesso anche dai tribunali, che infatti per ora non lo hanno bocciato). Ma l’attuale maggioranza avrebbe potuto senz’altro fare di più, se non altro per dimostrare di mantenere gli impegni tanto sbandierati in campagna elettorale. Il dubbio è che si voglia tirare la questione fino alle elezioni europee di giugno 2024, in modo da farne per l’ennesima volta un tema adatto a raccattare un po’ di voti, ma questa volta il paese non se lo può permettere. Ad oggi migliaia di piccole e medie imprese familiari hanno lavorato per la stagione estiva senza sapere cosa ne sarà di loro, centinaia di amministrazioni comunali non possono pianificare il futuro dei loro litorali e del loro turismo, le procure e i tribunali hanno mille argomenti per poter avviare contenziosi e sequestri, e un intero settore che riguarda sia un’importante economia che una fondamentale risorsa ambientale è in totale balia dei bracci di ferro fra avvocati, giudici, burocrati, politici e associazioni, che rischiano di farlo precipitare nel caos. Non avere ancora scritto una proposta di legge seria, che decida come riassegnare le concessioni balneari nel rispetto dei tanti diritti in campo (non solo concorrenza e liberalizzazioni, ma anche proprietà privata, indennizzi, valore aziendale, economia, lavoro e ambiente) è stato un atto irresponsabile e sbagliato. E ormai non restano che poche settimane per rimediare.
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