Purtroppo, a un certo tipo di televisione piace dipingere i balneari come dei privilegiati e usurpatori, che pagano canoni ridicoli e fanno guadagni milionari. Ma se in precedenza si poteva avere il dubbio che alcuni giornalisti non conoscessero abbastanza bene la questione, ora abbiamo la dimostrazione definitiva di una malafede diffusa: è accaduto con il servizio mandato in onda martedì scorso dalla trasmissione “Le Iene”, che ha intervistato anche il caporedattore di Mondo Balneare Alex Giuzio. Nella sua conversazione con l’inviato Filippo Roma, Giuzio aveva spiegato molto chiaramente che il canone è solo una delle cifre di cui tenere conto tra le tante spese obbligatorie dei balneari; eppure non solo queste dichiarazioni sono state tagliate, ma nemmeno se n’è tenuto conto nel realizzare il servizio, che invece ha fatto il solito accostamento superficiale fra il canone e il costo dell’ombrellone. “Le Iene” non potevano non sapere che la verità è un’altra, eppure hanno deciso di sparare cifre e accostamenti in modo fuorviante. Per questo, dopo avere pubblicato i nostri chiarimenti sulla censura che abbiamo subìto, su richiesta di molti lettori riferiamo ciò che avevamo spiegato nel nostro intervento tagliato, ovvero tutte le spese affrontate da un concessionario balneare.
I canoni non sono bassi come si fa credere
Nei servizi scandalistici si prende sempre come riferimento il canone minimo, che ammonta a 3.377,50 euro all’anno, ma questo canone è pagato solo dall’1% dei concessionari demaniali, che non sono stabilimenti balneari bensì titolari di singole boe per ormeggio, vialetti d’accesso alla spiaggia o attività no profit come le scuole di beach volley. Al contrario, gli stabilimenti balneari pagano canoni che vanno da 10.000 a 100.000 euro all’anno.
Ma questa, abbiamo detto davanti alle telecamere di Mediaset che ci hanno censurato, non è l’unica cifra che il concessionario balneare è obbligato a pagare per poter gestire un tratto di spiaggia. Innanzitutto, ogni cifra va sempre all’incirca raddoppiata per le addizionali regionali e comunali: si tratta di una tassa che gli enti locali impongono sul canone demaniale, e che può avere percentuali dal +20% al +100% a seconda del Comune e della Regione.
Fatta questa precisazione, si può discutere comunque sulla necessità di alzare i canoni, magari rapportandoli al fatturato di un’impresa balneare. I grandi media prendono infatti sempre come esempio il Twiga di Flavio Briatore, che paga circa 17.000 euro di canone a fronte di incassi milionari e che da sempre si dichiara disposto a pagare di più; ma la sua rappresenta un’eccezione in un settore composto per il 99% da piccole e medie imprese a gestione familiare, che secondo un recente studio Nomisma hanno un fatturato medio di 260.000 euro all’anno. Rispetto a questa cifra, oltre agli attuali canoni, vanno aggiunte le altre spese obbligatorie che abbiamo spiegato alle “Iene”, le quali però probabilmente non hanno capito o hanno fatto finta di non capire.
Pulizia e sicurezza della spiaggia
Lo Stato italiano ha fatto una scelta: affidare le spiagge in concessione a imprenditori privati, che traggono legittimamente un profitto e che in cambio si occupano di tenere i litorali puliti e sicuri. Si può essere d’accordo o meno con questa impostazione, ma è così che nel nostro paese funziona dal secondo dopoguerra. Chi gestisce una spiaggia è obbligato a mantenere la pulizia del suo tratto in concessione e a garantire il servizio di salvamento per soccorrere i turisti in difficoltà. I canoni demaniali sono calmierati (e non bassi!) proprio perché lo Stato si fa pagare le concessioni non solo attraverso il canone, ma anche con la pulizia e il salvamento, che sono servizi pubblici e a beneficio di tutta la collettività. Si tratta di spese molto elevate e obbligatorie, pena la decadenza della concessione. Se non ci fossero i balneari a occuparsene, questi costi inciderebbero sulle casse pubbliche (come avviene per esempio in Spagna). Dunque, il calcolo delle spese dei balneari deve tenere conto anche di queste voci, e non solo del canone.
Il mantenimento del servizio di salvamento costa in media tra i 15.000 e i 20.000 euro a stagione per ogni stabilimento balneare, trattandosi di stipendi di personale stagionale e qualificato. Le tasse sui rifiuti, invece, vanno da 5.000 a 20.000 euro all’anno, essendo calcolate su tutta la superficie di spiaggia in concessione e per tutto l’arco dell’anno, nonostante si tratti di imprese stagionali. I balneari, per intenderci, pagano di tasca propria anche lo smaltimento dei detriti lasciati dal mare d’inverno, che arrivano dai fiumi e dalle località dell’entroterra, e che sono trattati come rifiuto speciale in quanto sono mischioni di svariati materiali naturali e non. Oltre a ciò, ci sono le spese delle costose macchine puliscispiaggia, che vengono usate ogni giorno per pulire i litorali dai piccoli rifiuti abbandonati dai turisti più maleducati. Una macchina puliscispiaggia costa da 5.000 a 20.000 euro, e ogni stabilimento balneare ne possiede almeno una.
Le anomalie a sfavore dei balneari
Quelli che abbiamo elencato sono i costi obbligatori dei concessionari balneari che non vengono mai citati nelle ricostruzioni faziose dei media generalisti, impegnati solo a evidenziare le presunte (e spesso infondate) anomalie dei canoni bassi. Viene da chiedersi perché nessuno si preoccupi di parlare di altre anomalie che invece penalizzano i balneari. Due su tutte: l’Iva al 22%, mentre tutte le altre imprese turistiche (alberghi, campeggi, villaggi, eccetera) hanno l’aliquota agevolata al 10%; e l’Imu sugli immobili, che è una tassa sulla proprietà nonostante si tratti di superfici su concessione demaniale.
Infine, tutti i discorsi superficiali dei media sui canoni fanno sempre passare l’idea che si tratti di un privilegio dei balneari, ma non è affatto così. Da anni le associazioni di categoria si dichiarano disposte a discutere e affrontare un aumento dei canoni, ma è lo Stato che non lo ha mai fatto. Una seria riforma dei canoni deve tenere conto di tutte le spese pubbliche he abbiamo elencato in questo articolo (e non è la prima volta che lo facciamo) ed eventualmente alzare i canoni in base alla tipologia di concessione, alla valenza turistica dell’area e al fatturato dell’impresa: siamo convinti che così facendo, si scoprirebbe che la stragrande maggioranza dei balneari paga già il giusto.
Perché lo abbiamo fatto
Non siamo sprovveduti e conosciamo bene i meccanismi di manipolazione di certa tv generalista. Semplicemente, ci siamo fidati delle promesse che questa volta sarebbe stato diverso. “Le Iene” avrebbero potuto mandare in onda un servizio diffamatorio contro i balneari anche senza il nostro intervento. Il fatto che ci abbiano interpellato ci ha portato a credere, in buona fede, che almeno una voce a favore della categoria potesse finalmente essere fatta sentire in prima serata a milioni di italiani. Ma purtroppo non è stato così. Dell’intervista sono stati tenuti solo i quaranta secondi in cui si spiegano le parti più negative della sentenza della Corte europea sulle concessioni balneari; tutto il resto che abbiamo detto (e che abbiamo riportato qui sopra) è stato tagliato; forse perché non faceva comodo al becero scandalismo. Volendo prendere il lato utile di questa vicenda, ora abbiamo la prova definitiva che c’è stato un interesse esplicito a infangare la categoria e a semplificare una questione molto più complessa.
Nelle ultime ventiquattro ore abbiamo ricevuto centinaia di messaggi. Tra questi, alcuni sostenevano che sarebbe stato meglio non accettare l’intervista, sapendo come lavora questa trasmissione. A queste persone rispondiamo che è troppo facile parlare a posteriori. Abbiamo accettato il dialogo in buona fede, convinti dalle promesse che il servizio sarebbe stato più equilibrato rispetto al passato; ed era impossibile sapere come sarebbe andata. Il nostro interesse era solo portare le posizioni dei balneari davanti a milioni di persone, e valeva la pena sfruttare la possibilità: se fossero stati trasmessi anche solo trenta secondi del nostro discorso sui canoni, avremmo fatto la cosa giusta. E dato che non è andata così, almeno abbiamo la dimostrazione definitiva di un modo di fare informazione sbagliato e diffamatorio. Al quale intendiamo rispondere in modo adeguato.
Una campagna di comunicazione per la verità sui balneari
Abbiamo deciso di realizzare una campagna di comunicazione per rispondere alle falsità e alle manipolazioni sui balneari. Per aiutarci, invitiamo tutti i lettori a inviarci un video in cui raccontano queste informazioni:
- Città e nome del proprio stabilimento balneare
- Quanto paga di canone e di addizionale regionale
- Quanto costa il servizio di salvamento
- Quanto si spende per le tasse sui rifiuti e la pulizia della spiaggia
- …e ogni altra cosa che può venire in mente per rispondere alle fake news sui balneari
Si può inviare il video con un messaggio privato alle pagine Facebook e Instagram di Mondo Balneare oppure via mail a info@mondobalneare.com entro domenica 28 maggio. Lo useremo per una grande campagna di comunicazione in cui i protagonisti saranno i veri balneari.
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