«La sentenza della Corte di giustizia europea del 20 aprile scorso conferma i principi del diritto euro-unitario ormai consolidati circa l’applicazione diretta della direttiva 2006/123/CE, e sui quali è inutile ritornare perché ciò significherebbe negare l’evidenza, ma apre una nuova prospettiva che la stessa giurisprudenza nazionale aveva intuito circa le possibilità di tutela per i concessionari ante direttiva Bolkestein, il cui regime giuridico di attività deve essere diversificato». Lo affermano gli avvocati Roberto Righi, Edoardo Brusco ed Ettore Nesi, in un’analisi giuridica che prende in considerazione il punto 73 della pronuncia: «Una sentenza pregiudiziale, come la sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a. (C‑458/14 e C‑67/15, EU:C:2016:558), chiarisce e precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata della norma stabilita da detta disposizione della direttiva 2006/123, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore, ossia, conformemente all’articolo 44 di tale direttiva, a decorrere dal 28 dicembre 2009. Ne consegue che detta norma così interpretata deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima di tale sentenza».
Spiegano i tre avvocati: «Questo passaggio significa che l’interpretazione fornita dalla Corte Ue è quella che va data a una certa disposizione fin dal giorno in cui quella disposizione è entrata in vigore. Anteriormente alla data della sua entrata in vigore, una fonte semplicemente non esiste e quindi l’interpretazione della Corte non può retroagire a un’epoca antecedente a tale data. E infatti la Corte ha precisato che “detta norma“, e cioè l’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, “così interpretata deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima di tale sentenza“. “Prima di tale sentenza” non significa “prima della direttiva Bolkestein”, ma appunto che l’interpretazione che la sentenza “Promoimpresa” del 14 luglio 2016 ha fornito dell’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE vale dal 28 dicembre 2009 e che pertanto tale interpretazione si applica a tutti i rapporti sorti e costituiti dopo tale data, come appunto è stato affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza della VII sezione n. 229 del 13 gennaio 2022».
Proseguono Righi, Nesi e Brusco: «Sappiamo che per il diritto interno i rapporti concessori, che erano regolati prima dall’articolo 37 del Codice della navigazione, dovevano ritenersi rapporti pluriennali di durata tendenzialmente infinita grazie al meccanismo del diritto di insistenza. Pertanto a tali rapporti, che sono sorti tutti anteriormente alla direttiva Bolkestein, lo ius superveniens non può essere applicato senza ledere quell’aspettativa legittima che, secondo la Corte di giustizia europea (grande sezione, 21 maggio 2019, Commissione / Ungheria, C-235/17) e secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza del 23 settembre 2014 sull’affaire Valle Pierimpiè Soc. Agricola S.p.a. c. Italia), è meritevole di tutela in quanto assurge a “bene”».
«Che la situazione reale dei concessionari abbia tale consistenza e sia quindi riconducibile all’articolo 17 della Carta del diritti fondamentali dell’Unione europea e all’articolo 1 del Primo protocollo alla convenzione Edu è fuori discussione, poiché tale realità è sempre stata affermata dalla giurisprudenza nazionale (non a caso i concessionari balneari pagano l’Imu) e presto verrà confermata dalla stessa Corte di giustizia nella causa pregiudiziale di cui all’ordinanza di rinvio della VII sezione del Consiglio di Stato n. 8010 del 15 settembre 2022 (S.I.I.B. S.r.l. / Comune di Rosignano Marittimo)», sottolineano i giuristi. «Con tale ordinanza la sezione VII del Consiglio di Stato ha messo in discussione la legittimità “euro-unitaria” dell’articolo 49 del Codice della navigazione, sul quale non a caso la sentenza del 20 aprile 2023 ha ritenuto di non doversi esprimere poiché la questione non era rilevante nella controversia oggetto del rinvio pregiudiziale. Secondo la sezione VII del Consiglio di Stato, infatti, sull’area data in concessione l’operatore concessionario è titolare, oltre che di una proprietà superficiaria, di un’azienda (“complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare“). Il Consiglio di Stato dubita quindi che l’incameramento senza indennizzo di tale complesso di beni sia compatibile con il diritto primario dell’Unione».
Queste dunque le conclusioni di Righi, Nesi e Brusco: «Il primo precipitato di ordine generale, che consegue da tale impostazione interpretativa, è l’affermazione del principio secondo cui sul demanio marittimo insiste un’azienda privata; il che vale per tutti i concessionari incamerati (i cosiddetti “pertinenziali”) e non incamerati. Il secondo precipitato è che l’apprensione di tali beni non può avvenire senza indennizzo e in difetto di causa di pubblica utilità. Lo Stato, dunque, non può apprendere beni privati per sostituire un imprenditore a un altro: ciò in quanto, secondo la Corte di giustizia, un imprenditore non può essere espropriato dei propri beni per ragioni meramente economiche. Se la Corte di giustizia facesse proprio il principio secondo cui sul demanio marittimo insiste un’azienda di proprietà esclusiva del concessionario, avremmo pertanto trovato la chiave di volta “europea” per sostenere che l’azienda “balneare”, trattandosi di un bene di proprietà privata, non può andare a gara. In altri termini, il riconoscimento unionale della proprietà privata dell’azienda balneare obbligherà tutte le istituzioni dell’Ue, Commissione europea compresa, a rispettarla conformemente ai trattati e alla Carta di Nizza. In conclusione, nel frammentato e incerto contesto normativo e giurisprudenziale, paradossalmente appare quanto mai fondata la domanda di tutela “specifica” di tutti quei rapporti concessori che siano sorti anteriormente all’entrata in vigore della direttiva Bolkestein. La Commissione europea, la Corte di giustizia, il Consiglio di Stato e la Presidenza della Repubblica censurano infatti l’automatismo delle proroghe che il legislatore riconosce alle concessioni in essere, indipendentemente però da qualsiasi valutazione “caso per caso” e riguardante: specificità dell’affidamento vantato dai singoli operatori; peculiarità locali; presenza o meno di un interesse transfrontaliero certo. Come è stato invece ricordato al punto 73 della sentenza del 20 aprile scorso, l’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, nei termini che sono stati precisati dalla sentenza “Promoimpresa”, può applicarsi soltanto ai rapporti “sorti e costituiti” prima della medesima sentenza, ma dopo l’entrata in vigore della medesima direttiva. In sede giudiziale la cosiddetta espérance légitime, di cui ciascun concessionario è portatore, potrà così emergere sino al punto di dimostrare l’illegittimità – proprio dal punto di vista del diritto unionale – della legge provvedimento, con cui è stato soppresso il diritto di insistenza».
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