Una delle cose più affascinanti, e spesso misteriose, che si possono trovare camminando lungo la riva sono i relitti delle navi spiaggiate, con il fasciame di legno coperto di alghe, le parti metalliche rosse per la ruggine e la vernice scrostata che talvolta ci consente di identificare il nome di quella nave colpita da chissà quale tragedia.
Se un’imbarcazione viene spinta sugli scogli, l’equipaggio si trova esposto a un grande rischio, perché può crearsi una falla tale da determinare un rapido affondamento, quando addirittura lo scafo non si divide in due pezzi. Al contrario, se una nave va ad arenarsi su una spiaggia, raramente oggi l’equipaggio si trova in pericolo, anche se va a finire su un’isola deserta. Viene subito segnalata la posizione via radio e tutti vengono portati a terra con gli elicotteri, o aspettano la fine della mareggiata per sbarcare e attendere i soccorsi sulla spiaggia; anche se si sta più comodi a bordo!
Chi, al contrario, si trova in pericolo è la spiaggia stessa. Non parliamo solo dei possibili inquinamenti per la perdita del carburante o del carico, ma anche dell’impatto che la nave può avere sull’evoluzione del litorale. Basti pensare a cosa accade quando una barca viene alata sulla battigia: dopo poche ore, da un lato la linea di riva sarà avanzata, mentre dall’altro sarà arretrata. Immaginiamo cosa non possa fare una nave di 200 o 300 metri che viene parcheggiata davanti alla nostra spiaggia! Raramente si disporrà perpendicolarmente a riva, come un pennello, perché le onde l’avranno spinta di lato; e se anche si fosse incagliata di prua o di poppa, l’avrebbero poi fatta ruotare.
Ma vi sono relitti spiaggiati con un certo angolo rispetto alla riva, come quello della MV Eden V, che nel 1988 fu spinta sulla spiaggia di Lesina da una mareggiata, ed è ancora lì a intercettare il flusso litoraneo dei sedimenti. Leggermente obliqua, ha un funzionamento analogo a quello di un pennello, bloccando la sabbia che si muove verso est, ma le onde riflesse sulla sua fiancata incentivano l’effetto erosivo sottoflutto, dove si è formata una profonda saccatura, tanto che il collegamento a terra ha la forma di un tombolo.

Costruita in Giappone nel 1968, Eden V era il suo decimo nome, navigava con documenti falsi e il comandante aveva rifiutato l’assistenza della Guardia costiera, probabilmente per non fare scoprire un carico illegale; si pensa a materiale radioattivo.
Ma la MV Eden non è l’unica nave abbandonata dall’equipaggio per sfuggire alla legge. Un altro esempio lo troviamo sul litorale di Gythios, in Grecia, dove dal 1981 giace la MV Dimitrios, una piccola nave di 67 metri che si dice contrabbandasse sigarette fra la Turchia e l’Italia. Ma anche questo relitto è avvolto nel mistero, perché altri sostengono che sia stata abbandonata nel porto della cittadina greca per il fallimento della compagnia di navigazione e successivamente ancorata al largo, da dove, a seguito della rottura degli ormeggi, sarebbe andata alla deriva per finire spiaggiata due miglia a est del porto, dove ha innescato la formazione di un piccolo tombolo. Nessuno ovviamente si è fatto carico della sua demolizione, forse anche perché è diventata un’attrazione turistica.

Si stima che vi siano circa tre milioni di relitti di navi, fra quelle che giacciono in fondo al mare e quelle che sono state spinte dalle onde su una costa. Le antiche imbarcazioni a vela sono d’interesse da parte di archeologi, storici e cercatori di tesori, mentre quelle più recenti sono guardate con attenzione per l’inquinamento che possono produrre. Tutte costituiscono un’attrazione turistica: piuttosto esclusiva per quelli che giacciono in profondità e il cui fascino e l’abbondanza di pesci richiamano i subacquei, assai ben più popolare per quelli spiaggiati vicino a riva e raggiungibili con due bracciate, quando non sono completamente inglobati nella spiaggia.
Agli studiosi interessati alla loro storia, o agli organismi marini che vi si insediano (si possono anche trasformare in scogliere coralline), si sono di recente aggiunti coloro che si occupano di dinamica dei litorali, che hanno trovato un nuovo argomento di ricerca. C’è infatti chi ha confrontato l’effetto esercitato sulla costa dalle diverse navi spiaggiate nelle varie parti del mondo, chi si è concentrato sulla storia di un singolo relitto e chi, infine, ha valutato quanto le popolazioni locali abbiano percepito i cambiamenti che la nave arenata avesse indotto sul loro litorale.
Il caso più studiato è quello della MV River Princess, arenatasi davanti a una spiaggia di Goa (India) nel 2000 e che, dopo aver rilasciato in mare 40.000 tonnellate di petrolio, ha innescato una forte erosione su un lungo tratto di costa, tanto da impedire ogni attività economica legata al turismo per circa 1,5 km, dato che la spiaggia era completamente scomparsa. Questo fenomeno è stato studiato in dettaglio anche grazie alle numerose immagini satellitari disponibili su Google Earth, sulle quali è stato possibile seguire la formazione di un saliente, l’arretramento di ben 85 metri della spiaggia posta a sud, fino al quasi ristabilirsi delle condizioni originarie dopo la parziale demolizione del relitto nel 2012. Interviste fatte agli abitanti nel 2008 dimostrarono che la nave non solo veniva da tutti riconosciuta come causa dell’erosione, ma anche che i due terzi degli intervistati la consideravano negativa per il paesaggio e pericolosa per chi va in mare.

Forse la valutazione negativa da parte dei locali era determinata dal fatto che fu rimossa prima che divenisse uno di quegli scheletri di metallo corrosi dal mare che costituiscono degli honeypot (barattoli di miele) per il turismo nazionale e internazionale, come dimostrano le 200.000 persone che ogni anno vanno a visitare il relitto della SS Maheno, su una spiaggia non facilmente raggiungibile di Fraser Island (Queensland). Era una lussuosa nave a vapore, costruita in Scozia nel 1905, lunga 122 metri e con un motore a turbina che azionava tre eliche. Durante la Prima guerra mondiale venne usata come nave ospedale, per ritornare sulle rotte di linea nel 1920; ma dopo trent’anni di onorato servizio, il suo destino era segnato e certamente sarebbe stato meno glorioso di quello che le è toccato in sorte: nel giugno del 1935, quando era al rimorchio della SS Oonah Giapponese per essere portata al disfacimento, si liberò dai cavi durante un uragano e se ne andò libera per i mari, portando però con sé otto uomini dell’equipaggio. Venne ritrovata alcuni giorni dopo a Fraser Island con i marinai accampati sulla spiaggia. Tutti i tentativi per disincagliarla andarono a vuoto, cosicché fu abbandonata, dopo averla spogliata di tutto ciò che conteneva. Ma più invecchia, più cresce il suo fascino!
Curioso è anche il caso della MT Ray che, arenatasi sulla costa della Nigeria nel 2010, ha formato un tombolo sottraendo la sabbia dai tratti vicini e determinando l’erosione in una piantagione di palme da cocco. Il 28 settembre 2012, durante una mareggiata, due cargo che erano alla fonda davanti al porto di Valencia ruppero gli ormeggi e vennero spiaggiati a una distanza di 500 metri l’uno dall’altro e a 100 metri da riva: la BSLE Sunrise, che trasportava tubi ed era lunga 113 metri, e il porta container Celia, di 118 metri. La loro diversa posizione provocò una risposta della spiaggia opposta: la Celia, arenatasi parallelamente a riva, innescò la formazione di un tombolo, mentre la BSLE Sunrise, obliqua, determinò la concentrazione delle correnti litoranee che formarono una profonda insenatura delimitata da due salienti. L’effetto fu comunque limitato, perché le due navi furono recuperate fra la fine di ottobre e i primi di novembre, dragando la sabbia che le intrappolava e con l’aiuto di tre rimorchiatori.
Gli effetti delle navi arenate si possono risentire anche se il relitto è molto lontano da riva, a patto che le sue dimensioni siano considerevoli. La MV Seli 1, lunga 176 metri e incagliatasi nel settembre 2009 davanti alla spiaggia di Blouberg, in Sud Africa, in pochi mesi ha determinato la formazione di un saliente sebbene si fosse fermata a 500 metri dalla costa. Le mareggiate dell’inverno impedirono il suo recupero e la nave subì tali danni da sconsigliarne il recupero. Successivamente furono avviate le procedure di demolizione in loco, ma la lunga e appuntita cuspide sabbiosa che aveva formato nei fondali ha trasformato quel tratto di mare un’ottima area da surf, anche se per prendere l’onda bisogna allontanarsi molto da riva.
Ma se l’effetto è lo stesso delle scogliere di difesa costiera, perché non usare le vecchie carrette del mare per proteggere le spiagge dall’erosione? Non dico di farle affondare vicino a riva dopo averle riempite di pietre, come facevano i Romani per costruire i porti, ma di usarle come difese mobili, per dare un effimero sollievo a qualche tratto di litorale in arretramento. Ovviamente sto scherzando. Però, pensandoci bene…
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