Nascita e morte dei delta fluviali

Questo articolo fa parte di "Granelli di sabbia"

Divagazioni su processi, forme e tematiche ambientali della spiaggia. Una rubrica a cura del GNRAC.

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"Aegypti delta et Nili ostia" (Delta dell’Egitto e bocche del Nilo); Cellarius, 1701. Il delta non si riferisce alla forma aggettante in mare, ma alla trama dei bracci del fiume.

Abbiamo visto come la gran parte delle spiagge del mondo sia alimentata dai sedimenti portati dai fiumi e come questi vengano ridistribuiti lungo la costa dalle correnti indotte dal moto ondoso. Ma cosa succede se il fiume porta più sabbia di quanta il mare non riesca a muoverne? Ebbene, in questo caso si forma un delta.

Il termine delta (dalla lettera greca Δ) venne introdotto dal geografo greco Erodoto (450 a.C. circa) per descrivere la parte terminale della pianura costruita dal Nilo, ma molto probabilmente non si riferiva all’aggetto della foce in mare, che in quegli anni era assai meno pronunciato, bensì alla trama dei vari bracci del fiume.

In effetti, nelle carte antiche la costa non presenta forme che facciano pensare a quello che è oggi il delta del Nilo, ma mostrano diramazioni del corso principale che disegnano proprio la lettera greca, e la scritta “delta” compare proprio in questa zona. La lettera appare rovesciata, ma chi ha detto che la carta debba essere orientata verso nord? Per la verità, nel passato molte carte erano orientate… a oriente (!), e spesso anche a sud. Il termine però è piaciuto ai geomorfologi ed è quindi entrato nella nomenclatura internazionale per descrivere una protuberanza della costa creata dai sedimenti portati da un fiume.

Però non tutti i delta sono uguali. Le maggiori differenze derivano da tre processi a cui sono soggetti, e quindi se ne è fatta una classificazione che vede tre termini estremi: dominati dal fiume, dominati dalle onde e dominati dalla marea. Ma ovviamente esiste una gran quantità di delta che assumono forme intermedie, tanto che la classificazione ternaria è “sfumata” e il diverso contributo dei tre processi determina la posizione in cui cade il punto rappresentativo di ciascun delta su di un triangolo ai cui vertici vi sono le tre forme estreme.

La classificazione dei delta introdotta da Galloway. A seguito della riduzione dell’apporto sedimentario fluviale, i delta italiani (in questa carta sono raffigurati il Po e l’Arno) si sta allontanando dalla posizione in cui erano rappresentabili secoli addietro.

I delta dominati dal fiume si estendono in mare con lobi sabbiosi costruiti dai vari canali. Il nome meno scientifico, “a zampa di gallina”, rende certamente meglio l’idea della forma che assume questa tipologia di delta, di cui quello del Mississipi, nel Golfo del Messico, è considerato il termine estremo.

Non è necessario avere un grande bacino idrografico alle spalle da cui trarre alimentazione sedimentaria per costruire un esteso apparato deltizio ramificato, ma è sufficiente sfociare in uno specchio d’acqua in cui l’energia del moto ondoso è modesta. Infatti è il rapporto fra quanto porta il fiume e quanto sposta il mare che determina il passaggio fra una forma e l’altra. All’aumentare dell’energia delle onde o al ridursi dell’apporto fluviale, questi lobi non possono formarsi e il delta, più smussato, assume una forma a cuspide. Ecco che il delta dominato dalle onde viene chiamato anche “cuspidato”.

Ovviamente questa forma può essere più o meno aguzza, passando da un delta molto spianato, come quello del São Francisco (Brasile), a uno molto aguzzo, come quello dell’Ebro (Spagna). Rientrano in questa classe i delta dell’Arno, dell’Ombrone, del Tevere e del Volturno.

I delta dominati dalla marea presentano numerose isole fluviali allungate nel senso delle correnti, dato che i sedimenti portati alla foce vengono continuamente spostati dai flussi di marea in entrata e in uscita dall’asta terminale del corso d’acqua. Il termine estremo è rappresentato dalla foce del fiume Fly (Papua Nuova Guinea).

Lungo le coste italiane l’escursione tidale è modesta e begli esempi di delta di questo tipo non è possibile trovarne, ma in cima all’Adriatico, dove la marea arriva a superare il metro, quello dell’Isonzo, prima che l’uomo intervenisse sulla sua evoluzione, poteva forse arrivare al margine di questa categoria.

Abbiamo detto che la classificazione dei delta è sfumata, nel senso che si possono trovare delta la cui forma è determinata in rapporti diversi dai tre processi. Ma uno stesso delta può variare la propria morfologia se cambia l’intensità delle forse che lo modellano. Ovviamente l’escursione di marea rimane costante e l’energia del moto ondoso, almeno sul breve termine, la dobbiamo considerare stabile; ma l’apporto sedimentario dei fiumi ha subito variazioni notevoli nel corso dei secoli e molti delta sono passati da dominati dal mare a dominati dal fiume, per poi tornare alla forma di partenza.

Gli antichi cordoni dunari del Po disegnano un delta a cuspide, ma con il taglio dei boschi, l’incremento dell’input sedimentario lo ha portato a svilupparne uno a zampa di gallina, come rappresentato nelle carte degli anni ’70. Ora la riforestazione delle montagne, le dighe e l’escavazione di sabbia e ghiaia dagli alvei fluviali lo stanno riportando alla forma originaria.

Per gli stessi motivi, gli altri delta italiani si stanno spianando, con le foci che sono arretrate di anche un chilometro negli ultimi centocinquanta anni. Questo processo è iniziato all’apice deltizio, mentre le spiagge laterali continuavano a crescere grazie ai sedimenti erosi alla foce. Ma il punto di separazione fra avanzamento ed erosione si spostava velocemente, e spiagge che stavano crescendo sono state improvvisamente colpite dall’erosione.

L’erosione dei delta comincia sull’apice e si estende progressivamente alle ali. Su queste, inizialmente può proseguire il processo di crescita, grazie ai sedimenti erosi alla foce; poi, di colpo, arriva l’erosione senza passare da una fase di equilibrio. Una volta che il delta è stato rettificato, sui fondali rimane traccia della sua esistenza.

Anche quello del Nilo, il primo a essere battezzato “delta”, sta morendo, ucciso dalla diga di Assuan! Avendo più “bocche da sfamare”, l’erosione è partita da più punti, creando condizioni drammatiche lungo tutta la costa, con centinaia di chilometri quadri di aree agricole che stanno finendo sott’acqua.

L’erosione di un delta non interessa solo la sua spiaggia emersa, ma anche i fondali antistanti, sebbene le onde agiscano solo fino a una determinata profondità. La parte più profonda del lobo deltizio, dove i sedimenti arrivano grazie a processi indotti dalla gravità, talvolta come vere e proprie frane sottomarine, non viene intaccata. Ecco che, in coste rettilinee, le curve batimetriche più profonde possono disegnare delle bombature che ci dicono che in quel punto un tempo c’era un delta. Questo può avvenire anche quando un fiume cambia percorso e va a sfociare in un altro punto della costa: il vecchio delta viene rasato fino alla profondità alla quale le onde possono muovere i sedimenti. Se passiamo dalla carta nautica a una terrestre, quella crescita ed erosione del delta la ritroviamo nella forma dei cordoni dunari, convergenti verso la vecchia foce e oggi decapitati dall’erosione. C’è chi legge le carte per conoscere il futuro e chi… per conoscere il passato!

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