Dove finisce la spiaggia?

Questo articolo fa parte di "Granelli di sabbia"

Divagazioni su processi, forme e tematiche ambientali della spiaggia. Una rubrica a cura del GNRAC.

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La spiaggia di Fetovaia, all’Isola d’Elba, delimitata da due lunghi promontori aggettanti su alti fondali, che impediscono gli scambi sedimentari con l’esterno, è una piccola unità fisiografica.

Sul pianeta Terra vi è un’infinità di confini, alcuni ben visibili anche dallo spazio, come per esempio quello che delimita la Striscia di Gaza, caratterizzata da un tessuto urbano strettissimo, oppure quello che separa gli Stati Uniti dal Canada, che segue spesso bruschi cambiamenti dell’uso del suolo. Altri confini, invece, sono sfumati e di difficile identificazione e definizione, come quello della zona costiera, che non si sa mai quanto al largo si spinga e quanto entri all’interno.

Anche i limiti della spiaggia sono difficilmente identificabili, ma almeno ci sono delle definizioni che ci dicono dove andare a cercare i suoi confini, sia in senso perpendicolare alla linea di riva sia lungo la costa. La spiaggia vera e propria va dal piede della duna, o dalla base di una struttura antropica (casa, strada, ferrovia) fino a dove le onde riescono a modellare il fondale. Questo punto viene chiamato “profondità di chiusura“, perché qui si raccordano, ossia “chiudono”, i profili batimetrici effettuati in tempi diversi.

Se questo accade, è evidente che, oltre quel punto, le onde non sono in grado di spostare i granelli di sabbia, sia verso riva che verso il largo. Questa profondità è determinata dalle caratteristiche del moto ondoso che colpisce i diversi tratti di litorale, e avrà un valore tanto maggiore quanto più “grosse” saranno le onde. Nei nostri mari va da una profondità di circa 10 metri nelle coste più esposte, a quella di qualche metro nei tratti più riparati.

Per calcolare la profondità di chiusura si fa riferimento all’onda che nell’arco dell’anno medio viene superata per almeno dodici ore. Ovviamente, allungando il tempo di osservazione potrà capitare di dover considerare una mareggiata “eccezionale” che influenzerà la statistica e sposterà la profondità di chiusura verso il largo. Con la variazione climatica in atto, e la maggiore frequenza di eventi estremi, la profondità di chiusura si allontanerà sempre più da riva.

Siccome le onde spostano la sabbia sia ortogonalmente sia trasversalmente alla costa, è chiaro che una struttura (per esempio un porto) che si spinge oltre queste profondità, non consente lo scambio di sedimenti fra un lato e l’altro del litorale. Ecco trovato un limite longitudinale della spiaggia! Il più delle volte questo limite è naturale, e corrisponde a un promontorio che si protende molto verso il largo, e alla cui base la profondità dell’acqua è superiore alla profondità di chiusura.

Un tratto di costa compreso fra due promontori non può quindi scambiare sedimenti con i tratti di costa adiacenti. Può trattarsi di un piccolo golfo (come nel caso delle “pocket beach“) o di una spiaggia lunga centinaia di chilometri, ma la sabbia non può uscirne fuori. Ciò prende il nome di “unità fisiografica” ed è l’orizzonte entro il quale viene gestito il litorale, almeno da punto di vista della dinamica costiera. Se si deve realizzare un’opera di una certa importanza in un qualsiasi punto del litorale, si deve valutare l’impatto che potrebbe avere sull’intera unità fisiografica a cui questo punto appartiene.

spiaggia
La spiaggia compresa fra il Promontorio del Circeo (da cui è presa la foto) e il porto di Terracina (sullo sfondo ai piedi delle colline) potrebbe corrispondere a una unità fisiografica, ma, mentre i fondali antistanti il promontorio superano la profondità di chiusura, quelli davanti al porto, di circa 4 metri, consentono il passaggio, seppur ridotto, della sabbia fine.
La definizione delle unità fisiografiche e delle celle gestionali secondo le “Linee guida per la difesa della costa dai fenomeni di erosione e dagli effetti dei cambiamenti climatici” (documento elaborato dal Tavolo nazionale sull’erosione costiera di MATTM-Regioni con il coordinamento tecnico di ISPRA).

Possono però esservi strutture che, pur non spingendosi fino alla profondità di chiusura, come i piccoli porti o i pennelli, limitano gli scambi sedimentari lungo la riva e possono dare luogo a celle litoranee entro le quali deve essere valutato anche ogni piccolo intervento.

Talvolta si trovano lungo la costa dei punti che possono separare un’unità fisiografica in due sotto-unità, sebbene gli scambi sedimentari siano possibili anche se rari. È il caso di un delta a cuspide che si protende in mare, che può dividere le onde incidenti creando un punto di divergenza tale per cui i sedimenti si allontanano dalla foce in due direzioni diverse. Ciò non toglie che con onde molto oblique e corte, che non riescono a disporsi parallelamente alla costa, vi possano essere scambi sedimentari, seppure modesti, fra i due lati del delta.

Un altro limite di cella, e talvolta anche di unità fisiografica di secondo ordine, è dato dal fenomeno opposto, ossia dalla convergenza delle onde che superano un ostacolo, come per esempio un’isola. In questo modo si crea, nella zona riparata, una convergenza che intrappola i sedimenti impedendo loro di muoversi liberamente lungo quella spiaggia che, nonostante tutto, non ha interruzioni da parte di strutture naturali o artificiali.

La conoscenza dei limiti delle unità fisiografiche, e dalle sue suddivisioni, si acquisisce con studi di vario tipo: dall’analisi del moto ondoso (calcolando l’energia che ha per trasportare i granelli di sabbia in un verso o nell’altro) alle analisi sedimentologiche (osservando la variazione delle dimensioni della sabbia), oppure con l’analisi petrografica, che ci consente di sapere quali fiumi alimentano un determinato tratto di litorale e, quindi, da direzione da cui arrivano i sedimenti. Ma se la sabbia è chiusa in gabbia e non può uscirne fuori, perché le spiagge sono in erosione?

Ciò accade perché la sabbia non può scappare, ma può muoversi all’interno e quindi allontanarsi da una parte e accumularsi dall’altra; avremo così settori in erosione e settori in avanzamento. Ma possiamo avere che anche tutto lo stock sedimentario di una unità fisiografica si riduce se non continuamente alimentato dai fiumi o dall’erosione delle falesie. Il fatto è che, sfregando l’uno con l’altro, i granelli di sabbia si usurano e le particelle finissime che si staccano viaggiano in sospensione e si allontanano dalla costa. Comunque anche il granello originario, quando diventa molto piccolo, può superare la profondità di chiusura strusciando o saltellando sul fondo.

In definitiva, le spiagge hanno dei confini, ma i sedimenti possono attraversarli: basta farsi piccoli piccoli e non avere la pretesa di farsi chiamare “sabbia”, bensì, con un po’ di umiltà, “limo” o “argilla”!

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