L’estensione delle concessioni balneari fino al 2033 non ha risolto tutti i problemi che hanno i titolari degli stabilimenti. I quindici anni disposti dal governo danno la possibilità di tornare a investire e a respirare, affrontando la situazione in maniera più distesa rispetto a quando la scadenza dei titoli era nel 2020, ma ciò non significa che ora ci si può sedere e dimenticarsi degli altri problemi.
In questi giorni tutti gli imprenditori del settore sono giustamente alle prese con i preparativi per l’apertura di stagione, godendosi la meritata serenità dopo tanti anni di incertezza. Ma senza voler sembrare dei guastafeste, vogliamo ricordare che non bisogna abbassare la guardia. Il prolungamento di quindici anni non è infatti un traguardo, bensì un punto di partenza per potersi occupare di molte altre questioni in sospeso. Che vanno risolte subito.
Il decreto promesso dov’è?
Tra gli esponenti del governo, dopo la positiva congiuntura di forze che ha portato all’approvazione dei quindici anni, in materia di concessioni balneari tutto tace. Eppure entro il 30 aprile – tra meno di un mese – il presidente del consiglio è tenuto a varare un decreto ("dpcm") che istituisca i princìpi generali per la riforma organica del settore balneare, da attuare nei successivi due anni. A prevederlo è la stessa legge di bilancio che ha esteso le concessioni di quindici anni, rimandando a un secondo momento la soluzione a tutti gli altri urgenti problemi del settore.
Nessun ministro ne ha più parlato pubblicamente, e invece è importante rispettare questa scadenza e dare il via a una riforma generale di cui il settore continua ad avere bisogno, al netto della nuova durata delle concessioni che resta un orizzonte insufficiente per le imprese. Il governo deve infatti chiarire alcuni aspetti controversi contenuti nella legge di bilancio (come il "parternariato pubblico-privato") e definire le modalità per attuare altri importanti concetti (tra cui la mappatura delle spiagge libere e di quelle in concessione, necessaria per stabilire definitivamente la non scarsità della risorsa). Ma soprattutto si deve decidere cosa accadrà dopo il 2033, trovando un difficile compromesso tra Lega e Movimento 5 Stelle che predicano due scenari diversi.
Confidiamo che, nonostante il silenzio pubblico dimostrato nelle scorse settimane, i tecnici del governo abbiano lavorato tra i muri dei ministeri per rispettare la scadenza che lo stesso esecutivo si è dato. E magari sarebbe il caso di sottoporre una bozza di questo decreto alle associazioni di categoria, per ricevere le loro osservazioni prima di approvarlo.
I quindici anni vanno applicati
Tornando all’estensione di quindici anni, va poi ricordato che la maggior parte dei Comuni deve ancora applicare la legge, mettendo per iscritto la nuova scadenza sui vari titoli concessori. E sappiamo che anche in questo campo ci sono diverse difficoltà: non tutte le Regioni hanno diramato le loro circolari esplicative ai Comuni, e non tutti i Comuni hanno agito celermente nel rispondere alle istanze dei concessionari che chiedono l’immediata estensione. Tra questi, ce n’è addirittura qualcuno che si oppone, giudicando la legge illegittima.
Al fine di evitare l’applicazione dei quindici anni a macchia di leopardo come è avvenuto sinora, il ministro al turismo Gian Marco Centinaio aveva promesso nei giorni scorsi di varare un decreto attuativo del governo (vedi notizia). Tuttavia non sappiamo quando tale decreto arriverà, né se coinciderà con il dpcm per iniziare la riforma generale del settore. E dagli esponenti del governo, a cui abbiamo chiesto delucidazioni, non abbiamo ricevuto risposta.
La scusa di chi dice che "non c’è fretta" non può reggere: è vero che le concessioni hanno comunque durata fino al 31 dicembre 2020, ma è altrettanto vero che bisogna validare subito il prolungamento fino al 2033, al fine di consentire di pianificare gli investimenti fermi da troppo tempo. La questione va insomma risolta con la massima celerità.
L’ingiustizia dei canoni
L’altro problema più urgente resta quello dei canoni, attualmente in una situazione di profonda disparità. Da un lato ci sono le cifre troppo basse, che danno facile occasione ai giornali e ai politici "nemici" di gridare allo scandalo, mettendo ingiustamente in cattiva luce tutta la categoria (anche se i nemici non dicono mai tutta la verità, come abbiamo dimostrato in questo video). Dall’altro lato ci sono le cifre abnormi dei pertinenziali, che proprio ieri hanno protestato a Roma per denunciare la situazione insostenibile in cui si trovano.
Tutto ciò rende necessaria un’immediata riforma dei canoni, che vada a equilibrare la faccenda. Il problema è che il dpcm da varare entro aprile non è tecnicamente lo strumento adatto a mettere mano a una questione economico-finanziaria come quella dei canoni. Occorre dunque un provvedimento straordinario del governo, almeno sotto forma di un emendamento inserito in un altro decreto. E occorre farlo subito, almeno per tamponare l’emergenza dei pertinenziali in attesa della prossima legge di bilancio, prevista per la fine del 2019, con la quale – come ha promesso nei giorni scorsi su La7 il ministro Centinaio – si metterà mano definitivamente alla materia dei canoni demaniali marittimi.
La piaga dell’erosione costiera
Infine c’è il problema ambientale dell’erosione: molte località costiere sono ormai al collasso e gli stabilimenti balneari sono le prime vittime di questa grave emergenza. Anche ieri c’è stata una nuova mareggiata di scirocco che ha provocato alcuni danni sul litorale adriatico, a causa delle onde che negli ultimi anni sono sempre più violente, per la combinazione tra surriscaldamento globale (che provoca tempeste più forti) e innalzamento dei mari.
Il governo Conte deve prendere seriamente in considerazione di lavorare a una strategia nazionale di difesa delle coste. Non solo per tutelare il settore balneare, che è una componente fondamentale dell’economia turistica italiana, ma anche per salvare il nostro ricco e pregiato ambiente costiero.
La strada è ancora lunga
Come abbiamo visto, i problemi del settore sono ancora tanti (e abbiamo parlato solo dei principali). Gli operatori balneari devono insomma restare in allerta ancora per un po’, godendosi giustamente quel minimo di certezza data dalla scadenza del 2033, ma allo stesso tempo restando attivi per pretendere un’immediata soluzione a tutte le altre urgenti difficoltà.
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