Opinioni

Balneari, dalla Corte Ue una nuova pagina per la riforma delle concessioni

Considerazioni sulla sentenza della Corte di giustizia europea in materia di demanio marittimo

A pochi giorni dalla lettura della sentenza della Corte di giustizia europea nella causa C-348/22 tra Autorità garante della concorrenza e del mercato e Comune di Ginosa in materia di concessioni demaniali marittime, è possibile svolgere alcune considerazioni preliminari sia sul contenuto della decisione, sia su ciò che ci si può – o sarebbe più corretto dire “si deve” – attendere dal legislatore (rinviando alle riviste giuridiche di settore l’approfondimento tecnico delle questioni di diritto europeo e di diritto della navigazione contenute nella pronuncia, numerose e di sicuro interesse). La sentenza si pone in un rapporto di continuità aperta con la sentenza “Promoimpresa” del 14 luglio 2016, unico precedente nella giurisprudenza europea che si era occupato del tema delle concessioni demaniali marittime a uso turistico ricreativo, su rinvio del Tar Lombardia.

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Le concessioni sono autorizzazioni a cui si applica la Bolkestein

Innanzitutto, è definitivamente confermato l’orientamento che inquadra le concessioni demaniali in oggetto quali “autorizzazioni” ai sensi della direttiva stessa: si sottolinea così il reale contenuto che la concessione demaniale marittima ha assunto nel tempo nel nostro ordinamento, andando a coincidere, almeno per le attività balneari, con l’autorizzazione stessa all’esercizio dell’impresa. In altri termini, la concessione della spiaggia (e, sarebbe più corretto dire, della specifica spiaggia, non essendo affatto sostituibile per un’impresa la propria collocazione territoriale) è elemento imprescindibile e presupposto necessario per lo svolgimento dell’attività balenare del singolo imprenditore.
La Corte chiarisce, dunque, la piena applicabilità della direttiva “Bolkestein” al settore delle concessioni demaniali a uso turistico ricreativo, superando ogni diverso inquadramento; e aggiunge, andando oltre quanto già affermato nella sentenza “Promoimpresa”, che la direttiva si applica a tutte le concessioni di occupazione del demanio marittimo, anche se riguardino una situazione i cui elementi rilevanti rimangono tutti confinati all’interno di un solo Stato membro. Dunque, specifica la Corte, possono avere interesse transfrontaliero certo anche le concessioni interne allo Stato membro, specificando il concetto già affrontato nella precedente pronuncia (non in modo sorprendente, ma nel solco di una costante giurisprudenza europea, che attribuisce significato di mercato rilevante anche ai rapporti che si svolgono all’interno di uno Stato membro). Il punto, con riferimento a questo specifico mercato, non è in verità pienamente condivisibile, essendo certamente presenti nel panorama interno – e ci si riferisce sia alle concessioni per stabilimenti balneari che a quelle per ormeggi – numerose concessioni la cui rilevanza è francamente solo locale, per conformazione del territorio o in quanto insite in aree di poco rilievo turistico o con problematiche strutturali e ambientali.

La sentenza poi afferma – e il punto sarà senza dubbio oggetto di dibattito anche dottrinale – che l’articolo 12 della direttiva “Bolkestein” è norma direttamente applicabile, una volta superata la precondizione della scarsità della risorsa naturale (su cui torneremo tra breve). Dall’esame del testo della direttiva, la Corte desume infatti che sono enunciati in modo incondizionato e sufficientemente preciso sia l’obbligo per gli Stati membri di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali, sia il divieto di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività. E dunque, ritiene direttamente applicabile la norma. Ma anche questo punto non sembra così convincente, se solo si considera che l’articolo 12 contiene prescrizioni oggettivamente generali e di principio, quindi di difficile diretta applicazione (almeno in quanto non esaustive), soprattutto in un mercato molto variegato come quello italiano.

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Lo Stato deve verificare la scarsità della risorsa

Il punto di maggiore interesse della sentenza è però senza dubbio quello relativo all’esame della condizione, prevista dall’articolo 12 della direttiva 123/2006/CE, della cosiddetta scarsità della risorsa naturale. Già nella sentenza “Promoimpresa” la Corte Ue aveva sottolineato come tale verifica dovesse essere svolta in via preliminare, e che solo in caso di accertamento della scarsità della risorsa naturale, sarebbe divenuta conseguentemente necessaria l’organizzazione delle selezioni per la scelta del concessionario. Si è da tempo rilevato (v. Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2/2011, pag. 392) che la direttiva non contiene alcuna definizione del concetto, e che sarebbe stata più condivisibile un’interpretazione riferita alle risorse esauribili (per esempio le cave); in tal caso, infatti, appare del tutto corretta una selezione per la scelta del soggetto che potrà trarne utilità sino al loro esaurimento o la maggiore utilità per un tempo rilevante (o per il tempo più rilevante).

La sentenza “Promoimpresa” si era limitata a porre la verifica della scarsità della risorsa naturale in capo al giudice nazionale, senza sviluppare ulteriormente il punto. Invece, il ragionamento della più recente pronuncia del 20 aprile scorso va molto oltre: a parere della Corte, il diritto dell’Unione europea non osta a che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili sia valutata combinando un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del Comune in questione. In questo modo la Corte pone in capo allo Stato membro la verifica della scarsità della risorsa naturale, individuando due distinte attività e fasi: la scelta dei criteri da applicare (obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati) e l’applicazione di un approccio nazionale o territoriale o la combinazione di entrambi. È dunque lo Stato membro a dover effettuare non solo la ricognizione della risorsa, ma anche – e preliminarmente – a dover scegliere quale approccio utilizzare, potendo conferire alle esigenze territoriali un consistente valore nella ponderazione. Si tratta di un ragionamento particolarmente significativo che ha, a mio giudizio, tre evidenti pregi: il primo è quello di restituire allo Stato membro un ruolo di primo piano, tenendo conto della pianificazione territoriale e delle scelte di politica del turismo; la seconda è che il punto potrebbe essere figlio, in un’ottica di applicazione del principio di proporzionalità, della obiettiva constatazione della rilevanza del tema delle concessioni demaniali marittime per soli sette Stati membri, con la conseguente necessità di riconoscere agli Stati interessati una maggiore compartecipazione alle decisioni (conformemente alla sussidiarietà in materia di turismo); il terzo è relativo al fatto che la pronuncia sembra effettuare e indirizzare verso un contemperamento tra libera concorrenza e altri interessi insistenti sul demanio (per esempio la tutela dell’ambiente e dell’occupazione).

L’articolo 49 resta una questione aperta

Ancora, la sentenza non opera alcuna valutazione in ordine all’articolo 49 del Codice della navigazione che, come noto, disciplina la sorte dei beni non amovibili alla cessazione della concessione. In merito a ciò, la Corte rileva che pende altro rinvio e si limita a questa sola considerazione. Sul punto vale la pena di sottolineare come l’articolo 49 non riguardi alcun indennizzo al concessionario uscente, relativo al valore dell’impresa costituita sul demanio, ma solo e soltanto la sorte dei beni non amovibili realizzati sul demanio. È evidente come la norma rispondesse a un’esigenza di equa regolazione dei rapporti tra le parti alla scadenza della concessione, e come fosse parte dell’originario impianto previsto dal Codice in rapporto al diritto di insistenza previsto dal secondo comma dell’articolo 37, oggi abrogato. In altri termini, la scelta del Codice era volta all’individuazione di un concessionario affidabile (per la più proficua utilizzazione del bene demaniale) a cui veniva attribuita preferenza, a pari condizioni, nella riassegnazione della concessione stessa e che, a fronte di un consistente periodo concessorio, avrebbe lasciato al demanio la proprietà di quanto costruito, ove inamovibile. E, dunque, non sembra che l’articolo 49 possa avere rilievo di contrasto con la disciplina europea.

Peraltro è la legge 118/2022 (e non l’articolo 49 del Codice della navigazione) che prevede, in maniera innovativa, tra i criteri di selezione anche l’attribuzione al concessionario uscente di un indennizzo per il valore dell’impresa costruita sul demanio, e semmai, dunque, si porrà un problema di coordinamento tra tali due discipline.

La Bolkestein si applica anche alle concessioni ante-2009

Infine, il punto 73 della pronuncia si limita, in attuazione dei principi della giurisprudenza Denkavit, a precisare che l’interpretazione della Corte è retroattiva, quindi si applica anche ai rapporti sorti o costituiti prima della pronuncia. L’applicazione della direttiva 123/2006/CE a tutte le concessioni, ribadita con estrema chiarezza dalla pronuncia, deriva dalla loro indubitabile limitatezza nel tempo, di talchè al loro rinnovo di applicherà la selezione prevista dalla direttiva stessa.

Il punto si allinea a quanto già ampiamente chiarito nella sentenza “Promoimpresa” in punto al legittimo affidamento, su cui peraltro si giudicavano concessioni precedenti all’entrata in vigore della direttiva. Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 92 e 93 delle conclusioni, una giustificazione fondata sul principio della tutela del legittimo affidamento richiede una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti. Una siffatta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione.
E dunque la norma si applica, e a parere della Corte direttamente e senza alcun limite temporale a tutte le concessioni demaniali marittime a uso turistico ricreativo; concessioni che, sia nell’impianto del Codice della navigazione che in attuazione dei principi generali, non possono che avere durata limitata sia poiché non è possibile immaginare un diritto perpetuo di un privato su un bene pubblico, sia in considerazione del fatto che neppure il diritto di insistenza era invero un automatismo (bensì una semplice preferenza).

Un nuovo percorso per la riassegnazione delle concessioni demaniali marittime

La pronuncia della Corte Ue quindi, assai più delle attese, contiene una serie di elementi di notevole interesse e disegna un nuovo percorso in cui lo Stato membro (e i territori) avranno un ruolo determinante. La prima osservazione è relativa alle considerazioni già formulate sulla scarsità della risorsa: si ricorderà che tale questione era stata data per sussistente e presupposta dalle sentenze n. 17 e 18 dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato dell’11 novembre 2021, o almeno assodata secondo dati che, ora, potrebbero trovare smentita nelle scelte statali, risultando così indebolito l’impianto stesso della sentenza. Dalle scelte che saranno operate sulla scarsità della risorsa dipendono, dunque, una serie di conseguenze. Provando a delineare il quadro attuale, si può immaginare che la scelta dei criteri di valutazione della scarsità e la materiale esecuzione della stessa richiederanno un certo periodo di tempo, durante il quale, in assenza di un provvedimento normativo che definisca i tempi, permarrà una consistente incertezza sul mercato delle concessioni.

Il secondo elemento di interesse è la natura della mappatura, che, a mio parere, dovrà essere necessariamente “dinamica”, ossia una volta effettuata una prima volta, a prescindere dai suoi risultati, dovrà prevedere meccanismi di successiva verifica periodica, poiché fotograferà una situazione temporale precisa (che nel tempo subirà mutamenti). Ancora, ci si deve interrogare sulla sorte dei titoli rilasciati al 2033 e ormai consolidati da un notevole lasso di tempo: poiché la scarsità della risorsa naturale è un presupposto in assenza del quale non sono necessarie selezioni, cosa accade ai titoli già rilasciati (per i quali il Consiglio di Stato prima e la legge ordinaria dopo hanno indicato la nuova scadenza al 31 dicembre 2023), considerando che potrebbero mutare i presupposti? Peraltro, convivono attualmente sul mercato la disciplina prevista dall’articolo 37 del Codice della navigazione, con selezioni basate sul principio dell’utilizzo maggiormente proficuo del bene demaniale, e la legge 118/2022, attualmente priva dei necessari decreti attuativi; tema invero già affrontato dal Consiglio di Stato nella sentenza 11664/2022, ove ha affermato che in linea generale, l’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE richiede di esperire procedure selettive «tra i candidati potenziali» che presentino «garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda(no), in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento», le quali sono riscontrabili in quella disciplinata dall’articolo 37 del Codice della navigazione poc’anzi richiamato. Al medesimo riguardo va dato atto della sopravvenuta legge n. 118 del 5 agosto 2022 (“Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021”), che nel dare attuazione ai principi espressi dall’adunanza plenaria ha introdotto, all’articolo 4, i criteri per valutare le offerte di concessione, i quali si prestano quindi a essere utilizzati anche in chiave comparativa rispetto a potenziali concorrenti della ricorrente nel presente giudizio nell’ambito della procedura ex articolo 37 del Codice della navigazione. Come ci contempereranno queste due diverse discipline nelle more della verifica della scarsità della risorsa naturale?

Poiché – e la sentenza è chiarissima e indiscutibile sul punto – l’applicazione di un meccanismo di selezione più concorrenziale è imprescindibile a parere della Corte, e non può ragionevolmente sostenersi che gli attuali concessionari possano conservare, di diritto e senza scadenza alcuna, un’esclusiva a occupare il demanio, occorre ragionare nuovamente sulla durata delle concessioni, alla luce della obiettiva nuova pagina scritta dalla Corte. Si appalesano dunque due forti esigenze, accanto alla necessaria scelta sulla mappatura: la prima è quella della definizione di un quadro certo della durata delle concessioni attualmente vigenti in attesa dello svolgimento della stessa, che, per come indicata dalla Corte, presuppone scelte di metodo di non poco conto e un considerevole tempo di attuazione (anche considerando i decreti attuativi necessari all’attuazione della legge 118/2022); la seconda, che abbiamo più volte caldeggiato, è quella di una riforma più complessiva e ampia, almeno della parte demaniale del Codice della navigazione, per regolare in modo coordinato la materia, tenendo conto delle diverse attività insistenti sul demanio (ancora una volta non valorizzate) e del suo effettivo assetto attuale.

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Cristina Pozzi

Avvocato e professoressa di diritto comunitario dei trasporti all'Università di Parma, è stata membro del comitato per la riforma delle concessioni demaniali marittime a uso turistico ricreativo istituito presso il Mipaaft nel 2018.
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