Il governo non si è ancora messo al lavoro sulla riforma delle concessioni balneari e i titolari degli stabilimenti sono drammaticamente preoccupati per il loro futuro. Con i titoli in scadenza il 31 dicembre 2023 per effetto della legge sulla concorrenza, è più che mai urgente varare un provvedimento organico che definisca i criteri con cui riassegnare la gestione delle spiagge, ma per ora sembra che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni stia brancolando nel buio. Lo dimostra il fatto che ad oggi non c’è nemmeno il nome di un referente ufficiale sulla questione: inizialmente si pensava al ministro del mare Nello Musumeci, a cui però non è mai stata formalmente data nessuna delega; poi la palla è stata presa dal ministro degli affari europei Raffaele Fitto, che tuttavia, dopo avere avviato un tavolo con le associazioni di categoria, si è sfilato in polemica con la decisione di approvare la proroga di un anno delle concessioni. E così, in questo momento non si sa nemmeno se ci sia qualcuno che sta lavorando a una proposta seria di provvedimento. Sul tema finora si sono susseguite svariate dichiarazioni (alle molteplici della ministra al turismo Daniela Santanchè si sono aggiunte le più recenti dei ministri dell’agricoltura Francesco Lollobrigida e delle imprese Adolfo Urso), ma nessun atto concreto.
Il timore è che il governo voglia attendere il 20 aprile, quando la Corte di giustizia europea si dovrà pronunciare su una serie di importanti questioni in materia di concessioni balneari, stabilendo dei principi giuridici imprescindibili per la riforma. Ma da più parti arrivano pressioni a non attendere passivamente fino a tale data: tra queste c’è la posizione del senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che anche ieri ha sollecitato ad «avviare subito la mappatura delle coste italiane ai sensi delle norme varate nella legge sulla concorrenza e con le esigenze sottolineate nel corso della discussione al decreto milleproroghe». In quest’ultimo provvedimento, infatti, è stato rinviato dal 27 febbraio al 27 luglio il termine per effettuare una ricognizione del demanio marittimo al fine di verificare la quantità di spiagge ancora concedibili: la richiesta unanime delle associazioni balneari è quella di garantire la concorrenza richiesta dall’Europa mettendo a bando i tratti di spiagge libere per avviare nuove imprese e al contempo tutelare i balneari storici riconoscendone la continuità, la professionalità, l’esperienza e gli investimenti. Ma per fare tutto ciò, i tempi stringono e occorre combattere anche contro le ingerenze dei tribunali.
Eclatante, a questo proposito, è stata la recente bocciatura della proroga di un anno da parte del Consiglio di Stato, non tanto per le ragioni, bensì per i tempi e per i modi. Nella sua celebre sentenza in adunanza plenaria che ha annullato la precedente proroga al 2033, Palazzo Spada aveva già ribadito che i rinnovi automatici ai medesimi concessionari sono in contrasto col diritto europeo e che non sarebbero stati accettati ulteriori rinvii successivi al 31 dicembre 2023, pertanto era prevedibile che la proroga al 2024 sarebbe caduta alla prima sentenza amministrativa. Ma è comunque sbalorditiva la celerità con cui i giudici hanno cassato la misura, appena cinque giorni dopo la sua approvazione. E anche le modalità sembrerebbero state poco ortodosse: come ha evidenziato il presidente del Tar Lecce Antonio Pasca in un’illuminante intervista, infatti, «l’articolo 34 comma 2 del Codice del processo amministrativo prevede espressamente che “in nessun caso il giudice si può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati“. Mi chiedo se sia ammissibile un pronunciamento del giudice, con riferimento a poteri legislativi non ancora esercitati». Ma tant’è: se sulle concessioni balneari i tempi della giustizia contrastano nettamente con la sua notoria lentezza, è segno che sulla questione i riflettori sono puntati con un certo accanimento. Per questo, a maggior ragione occorre che il governo smetta di adottare misure tampone e soprattutto di fare promesse illusorie, per dedicarsi finalmente al provvedimento strutturale che un intero settore economico attende da troppo tempo.
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