L’estensione di quindici anni delle concessioni demaniali marittime ha giustamente tranquillizzato i titolari di stabilimenti balneari, che solo fino a un mese fa dovevano fare i conti con la troppo vicina scadenza del 31 dicembre 2020. Ma tale misura, per quanto opportuna e necessaria, non ha affatto risolto tutti i problemi che affliggono il settore.
Una volta che le amministrazioni comunali avranno reso valida l’estensione, dando risposta positiva alle istanze che gli imprenditori di tutta Italia stanno presentando in questi giorni su consiglio delle associazioni di categoria, il capitolo dei quindici anni sarà chiuso definitivamente. Ma c’è ancora tutto il resto a cui pensare: dal riordino dei canoni alla fiscalità, il settore balneare ha infatti bisogno di una riforma generale che vada al di là del mero rinnovo dei titoli concessori.
Il governo sembra essere consapevole di questo, e infatti nella legge di bilancio 2019, oltre a istituire l’estensione fino al 2033, si è dato appena quattro mesi di tempo per varare un decreto del presidente del consiglio che concretizzasse i principi di una riforma generale del demanio marittimo, da attuare nei successivi due anni. Il problema è che di questi quattro mesi, uno è già passato senza che da nessun esponente del governo sia arrivato un solo accenno all’argomento, e tantomeno un tavolo di lavoro.
Il riordino generale delle concessioni demaniali marittime è già una questione assai complessa da dirimere in così poco tempo, e il fatto che dopo avere varato l’estensione di quindici anni la politica sembra essersi disinteressata agli altri problemi del settore, dovrebbe cominciare a farci preoccupare un po’. Non bisogna infatti pensare che questi quindici anni abbiano risolto tutti i problemi dei balneari, poiché restano aperti ancora molti altri temi:
• La situazione dei canoni resta molto squilibrata, con le imprese pertinenziali che pagano cifre spropositate rispetto ai colleghi tabellari. Si tratta al momento del problema più urgente, che tuttavia non è stato risolto nonostante ci sia stata la possibilità di farlo con il recente decreto Semplificazione (vedi notizia).
• Altrettanto grave è il problema dell’erosione costiera che sta affliggendo tutte le coste italiane, con mareggiate sempre più frequenti e violente che minacciano la scomparsa degli stabilimenti balneari ancora più della famigerata direttiva Bolkestein (ne parleremo in un importante convegno il 25 febbraio alla fiera Balnearia, vedi programma).
• Resta in vigore l’articolo 49 del Codice della navigazione, che stabilisce l’incameramento dei beni al termine della concessione: una grave minaccia per i balneari, oltre che una misura apparentemente in contrasto con il diritto alla proprietà privata garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
• Sono da risolvere altri temi fondamentali come il calcolo oggettivo del valore commerciale dell’impresa balneare e gli squilibri fiscali dell’Iva (al 22% contro il 10% di tutte le altre imprese turistiche) e della Tari (calcolata su base annuale, nonostante si tratti di imprese stagionali, e su tutta la superficie oggetto della concessione).
Insomma, il governo deve lavorare ancora molto per dare certezze definitive al settore balneare e creare così le condizioni per il rilancio di questo comparto turistico, che ha saputo diventare un modello invidiato in tutto il mondo quando c’erano delle condizioni normative più favorevoli. Sarebbe opportuno che il legislatore rispetti la scadenza che lui stesso si è dato, sperando che i prossimi mesi non siano tempo perso come è già avvenuto a gennaio. Ai balneari il compito di tenere alta l’attenzione, pretendendo dalla politica non solo campagna elettorale (che comunque non mancherà, visto il voto europeo di fine maggio), ma soprattutto che si lavori sodo per il bene del settore.
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