Oggi, 6 gennaio, forse sentiremo dire più volte che «l’Epifania tutte le feste le porta via». Anche se quest’anno di feste da portare via ce ne sono ben poche e di scherzare non abbiamo molta voglia, la rima ci riporta nel 1348, quando la peste nera, oltre alla metà della popolazione italiana, si portò via molte spiagge del nostro paese.
La peste arrivo dopo tre anni di grandi carestie dovute a condizioni metereologiche eccezionali, che iniziarono nell’autunno del 1345 ostacolando la semina, e proseguirono nella primavera successiva impedendo la maturazione del grano, che fu lasciato a marcire nei campi. La situazione si ripeté anche l’anno seguente, che trovò una popolazione già indebolita, l’assenza delle scorte alimentari e un prezzo del grano alle stelle in tutta Europa; perché quello che accedeva in Italia non era un fatto locale. Fu così che i contadini, che iniziavano a morire di fame, affluirono nelle città sperando nella carità dei signori o delle istituzioni ecclesiastiche e comunali. Fu questo il quadro che vide l’arrivo delle peste nera, che la gente diceva originatasi nel Catai, che nessuno sapeva dove fosse, ma certamente a oriente! I personaggi del Decamerone se ne stavano in lockdown in una villa a Fiesole, sulle colline di Firenze, e Boccaccio scriveva
che l’uno cittadino l’altro schifasse, e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura, e i parenti insieme rade volte, o non mai, si visitassero, e di lontano.
Come la precedente carestia, così la peste nera colpì tutta l’Europa e l’aver trovato la popolazione stremata dalla fame fu certamente una delle cause della sua virulenza. Nell’Europa occidentale morì fra il 30% e il 50% della popolazione, ma in alcuni villaggi si superò anche l’85%. Il primo paese toccato dalla peste fu, anche in quell’occasione, l’Italia, quando nell’ottobre del 1347, delle galee genovesi provenienti dall’Oriente toccarono il porto di Messina. La peste si propagava da una città portuale all’altra a seguito degli scambi commerciali e, in definitiva, della “globalizzazione”; anche se in realtà solo una metà del globo era conosciuta dagli europei. Genova e Venezia furono le prime città continentali a esserne colpite, e il nostro paese fu quello che vide il maggior numero di vittime: forse più della metà della popolazione italiana non arrivò al 1350. Particolarmente grave fu l’impatto sulle genti di Toscana e, come vedremo, sulle sue spiagge.
La peste del Boccaccio fu seguita da altre pestilenze, avversità meteorologiche e guerre che, in un secolo, ridussero la popolazione toscana del 55-60%. La crisi demografica delle campagne, iniziata con la carestia, raggiunse un livello tale che ampie superfici agricole furono abbandonate e vi ricrebbe la macchia. Non si trovavano lavoratori per arare, seminare e raccogliere i magri frutti dei campi, tanto che il costo della manodopera subì un’impennata.
Se le intense precipitazioni degli anni che precedono la peste determinarono alluvioni (di cui due a Firenze nello stesso anno, il 1345), e certamente un apporto di sabbia al mare, con la ricrescita della macchia si ridusse l’erosione del suolo e noi troviamo le tracce di ciò nella configurazione dei delta toscani, l’Arno e l’Ombrone.
Come gli anelli degli alberi ne indicano la velocità di crescita, così i cordoni di spiaggia e le dune segnano la l’espansione dei delta fluviali con linee che convergono alla foce e sempre più prominenti. Quando il fiume riduce il proprio apporto di sabbia, la cuspide viene tagliata, e con essa decapitati questi cordoni. La successiva crescita appoggia il nuovo cordone alla testa (a questo punto direi al collo!) di quelli più vecchi e poi si formano sempre nuove creste via via più appuntite.
I delta dell’Arno e dell’Ombrone, ma anche del Tevere e del Volturno, si erano accresciuti molto con la rinascita sociale, economica e demografica del Basso Medioevo (convenzionalmente dopo l’anno 1000) grazie alla forte espansione delle aree agricole, ma poco dopo l’avvento della peste nera l’apice deltizio di questi fiumi venne rapidamente tagliato. Le foto aeree e quelle da satellite mostrano chiaramente l’effetto della pandemia del 1348, con gli antichi cordoni sabbiosi decapitati. La possibilità di datarne alcuni con le informazioni date da storici e archeologi colloca chiaramente la fase erosiva medioevale della fine del XIV secolo.

Ma l’analisi di questi cordoni ci mostra anche un’altra fase erosiva, correlabile alla caduta dell’Impero Romano di Occidente (476 d.C.). In età romana i nostri delta si erano accresciuti, o meglio ancora si erano formati, quale conseguenza della deforestazione che ha accompagnato la nascita e lo splendore di Roma. L’Impero aveva bisogno di una grande quantità di prodotti agricoli per sfamare una popolazione in crescita e gli eserciti sparsi per mezzo mondo, ma consumava anche moltissima legna per riscaldarsi, costruire case, accampamenti e navi.
Le invasioni barbariche e il parallelo declino di Roma determinarono un forte abbandono delle campagne e una crisi demografica. Già da prima del V secolo si era cercato, con “ricoveri” vari (che allora si chiamavano “immunità”), di ripopolare le campagne, ma la macchia si allargava a… macchia d’olio!
Fulco Pratesi, nel suo bellissimo libro Storia della natura d’Italia, descrive i successivi passaggi che, dal coltivo, al pascolo, al pascolo cespugliato fino alla macchia, segnarono quella che gli storici del paesaggio hanno chiamato la “reazione selvosa”. Ma non bastavano i barbari e un peggioramento del clima, che determinò alluvioni e perdite del raccolto: ci si mise anche la peste bubbonica, importata dall’Egitto nel 543 d.C., a far sì che dagli 8,5 milioni di abitanti del 200 d.C. si arrivasse a soli 4 milioni del 700 d.C. E quale fu la risposta delle spiagge? Anche in quel caso, la cuspide deltizia creatasi nei secoli d’oro venne completamente spianata!
I delta dei fiumi italiani si sono formati negli ultimi 2500 anni e, fino alla metà dell’800, si sono sempre accresciuti eccetto che in questi due momenti, entrambi caratterizzati da un forte calo demografico, a riprova del fatto che i delta e le spiagge che traggono alimentazione dai fiumi, vengono costruiti da chi coltiva la terra nei bacini idrografici.
Speriamo che il Covid-19 non abbia il tempo per lasciare tracce sulle nostre spiagge, anche se alcune, non permanenti bensì “volatili”, le ha già lasciate: la scorsa estate, nelle spiagge deserte, è tornato a nidificare in gran numero il fratino, un piccolo uccello che sverna nel Nord Africa e che ha apprezzato la crisi demografica delle nostre spiagge!
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