Norme e sentenze

Il demanio è un bene strumentale dell’impresa balneare

Da una recente ordinanza del Consiglio di Stato l'ulteriore certezza: nessun esproprio può avvenire senza indennizzo

Con l’ordinanza n. 8184 del 6 settembre 2023, la settima sezione del Consiglio di Stato ha fornito alla Corte di giustizia dell’Unione europea alcuni chiarimenti sulle questioni sottese alla domanda di pronuncia pregiudiziale di cui alla precedente ordinanza della medesima sezione del 15 settembre 2022, n. 8010. È utile premettere che entrambe le ordinanze afferiscono a un contenzioso inerente alla determinazione della misura del canone demaniale marittimo. Secondo l’amministrazione comunale, tale canone avrebbe dovuto essere determinato applicando i cosiddetti coefficienti Omi anche alle opere realizzate dal concessionario sulla superficie demaniale, in quanto tali opere sarebbero state incamerate ai sensi dell’articolo 49 del Codice della navigazione.

Nel contestare gli assunti dell’amministrazione concedente, l’operatore balneare ha denunciato davanti al giudice amministrativo il contrasto tra l’articolo 49 del Codice della navigazione con i trattati, e cioè con il diritto primario dell’Unione europea (articoli 49 e 56 del TFUE). Infatti, in tema di concessione di giochi e scommesse, nella sentenza Laezza (Corte di giustizia europea, terza sezione, 28 gennaio 2016, C-375/14) è stato affermato che lo spoglio dei beni di un concessionario senza indennizzo è contrario agli articoli 49 e 56 del TFUE, i quali garantiscono le libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi. Nello specifico, al punto 44 della sentenza Laezza, la Corte di giustizia Ue ha
osservato che «gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una disposizione nazionale restrittiva, quale quella in questione nel procedimento principale, la quale impone al concessionario di cedere a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività per scadenza del termine della concessione, l’uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco, qualora detta restrizione ecceda quanto è necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito da detta disposizione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare».

I principi della sentenza Laezza appaiono invero applicabili anche alle concessioni demaniali marittime. Infatti, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, i medesimi concessionari sono titolari di un diritto di superficie, che ha ad oggetto i beni da loro realizzati sul sedime demaniale (si veda la sentenza del Consiglio di Stato, sesta sezione, 13 gennaio 2022, n. 229).

pouf Pomodone

Con la citata ordinanza n. 8010 del 15 settembre 2022 la settima sezione del Consiglio di Stato, condividendo il dubbio interpretativo illustrato dall’operatore balneare, ha perciò posto alla Corte di giustizia europea il seguente quesito pregiudiziale: «Se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo».

Il quesito formulato nell’ordinanza n. 8010/2022 esprime una posizione del Consiglio di Stato del tutto originale. La settima sezione non ha invocato l’articolo 49 del TFUE soltanto a tutela della proprietà superficiaria del concessionario, ma anche a tutela del «complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare» e cioè della sua azienda (cfr. articolo 2555 del Codice civile). Da qui il dubbio di rilevanza unionale circa la compatibilità con il diritto eurounitario dell’incameramento senza indennizzo di tale complesso di beni.

Il primo precipitato di ordine generale che consegue da tale impostazione interpretativa, è l’affermazione del principio secondo cui sul demanio marittimo insiste un’azienda privata. Il che vale per tutti i concessionari, incamerati (i cosiddetti pertinenziali) e non incamerati. Il secondo precipitato è che l’apprensione di tali beni non può avvenire per mano dello Stato senza indennizzo.

La causa pregiudiziale ha assunto il numero di ruolo C-598/22. Con decisione assunta l’11 luglio 2023, la Corte unionale ha sospeso il procedimento, formulando una richiesta di chiarimenti al giudice a quo, che sono stati forniti dalla settima sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 8184 del 6 settembre 2023. Come si ricava da tale ordinanza, tra i chiarimenti richiesti dalla Corte di giustizia europea vi è quello di precisare l’epoca in cui sarebbe avvenuto l’incameramento dei beni di proprietà del concessionario. Ciò anche al fine di verificare l’applicabilità o meno della direttiva Bolkestein al rapporto di cui è causa.

Nel rispondere a tali quesiti, la settima sezione ha affermato che «in forza dell’articolo 49 del Codice della navigazione, la devoluzione al demanio marittimo avviene automaticamente alla scadenza della concessione, cosicché il procedimento per l’incameramento delle pertinenze demaniali non ancora acquisite ha carattere meramente ricognitivo e dichiarativo». La settima sezione ha tuttavia precisato che tale meccanismo appare lesivo dei diritti del concessionario. Nello specifico, i giudici hanno osservato che «sulla base di questo meccanismo, che opera con effetto automaticamente costitutivo del diritto in favore dello Stato al cessare dell’efficacia della concessione, le conseguenze sul piano della tutela dei diritti sono cruciali». Ciò in quanto da un lato la devoluzione dei beni del concessionario a favore dello Stato avviene «a titolo oneroso e senza alcun indennizzo», e dall’altro lato rende «l’accesso alla giustizia […] così difficile da divenire praticamente impossibile».

Secondo la settima sezione del Consiglio di Stato, l’automatismo della devoluzione non consente all’operatore economico privato «di rendersi conto di qual è il momento preciso in cui si produce l’effetto sfavorevole nella sua sfera giuridica». Del resto – osserva sempre l’ordinanza – l’articolo 49 del Codice della navigazione omette di «prevedere uno strumento, anche amministrativo, per determinare e accertare in modo congruo, adeguato, ragionevole e proporzionato l’effettiva consistenza delle opere che vengono acquisite al patrimonio dello Stato». Inoltre, secondo la settima sezione, l’articolo 49 del Codice della navigazione violerebbe i principi di certezza giuridica e di effettività della tutela, in quanto: «a) manca un provvedimento formale ed espresso da impugnare sullo stato di consistenza delle opere che si perdono in capo al privato e si acquistano da parte dello Stato; b) perché rappresenta un principio giuridico generale quello secondo cui l’oggetto di ogni rapporto giuridico, sia che esso abbia la propria fonte nel negozio, nel contratto o nell’atto amministrativo, dovrebbe caratterizzarsi per la possibilità di essere determinato fin dalla sua origine o comunque di esserlo in seguito, determinabile, con un ragionevole grado di certezza; c) perché la chiarezza sullo stato di consistenza delle opere da acquisire non è una questione che riguarda solo il concessionario uscente e lo Stato, ma tutti gli operatori economici che aspirano a divenire concessionari, in quanto la entità del canone dipende concretamente dagli incrementi che via via subisce nel tempo il bene demaniale».

Nel rilevare che nella vicenda al suo esame, la devoluzione si era verificata anteriormente all’entrata in vigore della direttiva Bolkestein, la settima sezione del Consiglio di Stato ha quindi ribadito che il dubbio interpretativo, sollevato con l’ordinanza n. 8010/2022, va scandagliato alla luce dell’articolo 49 del TFUE. A conferma dell’applicabilità dell’articolo 49 del TFUE a tutela dei diritti del concessionario, la settima sezione VII ha osservato che la concessione demaniale di cui è causa «presenta un “interesse transfrontaliero certo” in quanto la risorsa materiale è scarsa e il mercato di riferimento, caratterizzato dall’impiego strumentale del bene per la prestazione di servizi dietro remunerazione, attrae gli investimenti sia degli operatori economici nazionali, sia di quelli degli altri Stati membri, divenendo il bene demaniale, nella sostanza, uno degli elementi dell’azienda e, dunque, dell’impresa economica». Pertanto – conclude l’ordinanza – «al di là del fatto che nel giudizio principale l’operatore economico ricorrente sia un’impresa italiana, nulla sarebbe mutato se invece si fosse trattato di un operatore di un altro Stato membro, essendo il diritto positivo applicabile il medesimo».

Quest’ultimo passaggio è rilevantissimo. Nella precedente ordinanza, la n. 8010 del 2022, il Consiglio di Stato aveva illustrato il dubbio interpretativo circa la compatibilità dell’articolo 49 del Codice della navigazione con gli articoli 49 e 56 del TFUE, affermando che l’incameramento attinge «opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare». Nell’ordinanza n. 8010/2022 è stata quindi censurata la compatibilità con il diritto unionale della fonte normativa statale (e cioè l’articolo 49 del Codice della navigazione), nella parte in cui dispone l’incameramento a titolo gratuito di beni immobili realizzati dal concessionario e appartenenti all’azienda balneare. Nell’ordinanza n. 8184/2023 la settima sezione del Consiglio di Stato ha invece precisato che anche la risorsa demaniale è «uno degli elementi dell’azienda e, dunque, dell’impresa economica». Non soltanto i beni realizzati dal concessionario, ma anche la superficie e/o eventuali pertinenze demaniali sono cioè beni facenti parte dell’azienda balneare. Si tratta di un’affermazione di principio fondamentale per sostenere – ovviamente in altra sede – l’ingiustizia della perdita del bene demaniale che gli attuali concessionari subiranno all’esito del corrente periodo transitorio.

L’azienda balneare non può in effetti esistere senza il bene demaniale di cui l’imprenditore balneare è titolare sin da prima che entrasse in vigore la direttiva 2006/123/CE “Bolkestein”, e cioè prima del 28 dicembre 2009, come ricordato dalla settima sezione anche nell’ordinanza n. 8184/2023. Da qui a nostro avviso l’ingiustizia, in ossequio al diritto unionale primario, della perdita del bene demaniale e quindi del compendio aziendale senza indennizzo e senza causa di pubblica utilità (cfr. articolo 17 della Carta di Nizza).

Ai punti dal 86 al 89 della sentenza Commissione / Ungheria (Corte di giustizia Ue, grande sezione, 21 maggio 2019, C-235/17), la Corte di giustizia europea ha del resto osservato che una privazione del diritto di proprietà o limitazioni al suo esercizio sono consentite purché ricorrano cause di pubblico interesse e sia al contempo rispettato il principio di proporzionalità di cui all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza. Non possono tuttavia ascriversi tra le ragioni di pubblico interesse “motivi di natura puramente economica”; detti motivi non potrebbero «costituire ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare una limitazione di una libertà fondamentale garantita dal Trattato» (punto 121 della sentenza Commissione / Ungheria). Ciascun imprenditore balneare è perciò legittimato a contestare le fonti statali che conculcano i loro diritti di cittadinanza europea, privandoli dei beni aziendali (sia quelli sorti sul demanio, sia il bene demaniale stesso), in difetto di una causa di pubblica utilità e di un indennizzo giusto, che tenga cioè conto sia del valore venale pieno dell’azienda, sia della sua capacità di produrre redditi futuri.

Un principio compatibile col diritto europeo

L’affermazione dei diritti dei concessionari e la richiesta di una loro tutela rafforzata non si pone invero in contrasto con i principi desumibili delle sentenze Promoimpresa (Corte di giustizia europea, quinta sezione, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15) e AGCM (Corte di giustizia europea, terza sezione, 20 aprile 2023, C-348/22); né tantomeno con quelli desumibili dall’ordinanza n. 8184/2023 della settima sezione del Consiglio di Stato.

L’articolo 49 del TFUE è una disposizione polisemica. La libertà di stabilimento, nel caso esaminato nell’ordinanza n. 8184/2023, è stata invocata per contestare l’accessione gratuita dei beni del concessionario. Il Consiglio di Stato, sia con l’ordinanza n. 8010/2022 sia con quella n. 8184/2023, ha affermato che la vicenda del concessionario di Castiglioncello oggetto del contenzioso ricada sotto l’ombrello protettivo dell’articolo 49 del TFUE, in quanto sorta anteriormente all’entrata in vigore della direttiva Bolkestein. È noto che l’articolo 49 del TFUE imponga altresì il rispetto del principio di trasparenza nell’assegnazione delle concessioni demaniali marittime, ma l’enunciazione di tale principio non va faticosamente ricercata nell’ordinanza n. 8184/2023, che nulla dice al riguardo. È invece sufficiente rileggersi i punti 62-66 della sentenza Promoimpresa. Al punto 65 è stato osservato: «Qualora siffatta concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza a un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di
imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione. Una siffatta disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 TFUE
».

Il rispetto del principio di trasparenza non è tuttavia una monade, ma è parte di un complesso sistema di principi che albergano anch’essi nel medesimo articolo 49 del TFUE. Come affermato sempre dalla Corte di giustizia europea nella sentenza Promoimpresa, anche il rispetto del principio di trasparenza può essere derogato allorché ricorrano motivi imperativi di interessi generali. Ai punti 71-73 della sentenza Promoimpresa è stata in particolare affermata la doverosità della tutela delle posizioni consolidatesi anteriormente alla dichiarazione che «i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo dovevano essere soggetti a obblighi di trasparenza» (punto 73). In casi del genere – è precisato al punto 71 della sentenza Promoimpresa – la disparità di trattamento, che consegue a fonte interne volte a garantire la stabilità del rapporto concessorio, «può essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, in particolare dalla necessità di rispettare il principio della certezza del diritto».

La certezza del diritto – è stato ricordato anche dalla settima sezione del Consiglio di Stato nell’ordinanza n. 8184/2023 – è un valore di rilevanza unionale, a cui fa da corollario il principio di rispetto del legittimo affidamento. Dall’articolo 49 del TFUE il formante unionale ha quindi ricavato sia il principio di trasparenza sia quello di rispetto del legittimo affidamento. Quest’ultimo però potrà derogare al primo, sempreché ne sia dimostrata la sussistenza. Ebbene, nel caso di concessioni demaniali sorte anteriormente all’affermazione del principio di trasparenza (Corte di giustizia Ue, sesta sezione, 7 dicembre 2000, Telaustria Verlags GmbH, C-324/98), può essere fondatamente sostenuto che esse siano meritevoli di protezione, configurandosi come rapporti pluriennali di durata infinita la cui stabilità era garantita dall’articolo 37 del Codice della navigazione. Da tale disposizione, che attribuiva al concessionario uscente un diritto di preferenza nel caso di pluralità di domande di concessione aventi a oggetto il medesimo bene demaniale, la prassi e la giurisprudenza nazionale avevano ricavato un vero e proprio diritto di insistenza. L’articolo 37 del Codice della navigazione ha quindi fatto maturare in capo ai concessionari una espérance légitime al rinnovo, che è essa stessa un bene meritevole di protezione ai sensi dell’articolo 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato il 20 marzo 1952 e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848. Infatti, nella decisione della Corte EDU del 23 settembre 2014 “Valle Pierimpiè Società Agricola S.p.a. c. Italia”, è stato affermato che è un bene, ancorché immateriale, l’aspettativa al rinnovo di una concessione amministrativa di un bene pubblico, allorché detta aspettativa abbia una base legale e cioè sia garantita dalla legge. Nel caso delle concessioni demaniali non può dubitarsi della legittimità (o meglio: della legalità) di tale aspettativa, poiché – come detto – riposava su una fonte normativa primaria e su di un’univoca ermeneusi sia in sede amministrativa, sia in sede giurisdizionale.

A ben vedere, dunque, tale legittima aspettativa è divenuta parte del patrimonio di ciascun operatore balneare, riconducibile al genus di “bene” soggetto alla tutela del citato primo protocollo addizionale, così come affermato nella citata sentenza Valli Pierimpiè. A ciò si aggiunga che, nella decisione 12 giugno 2003 “Lallement c. Francia” (§§ 18-
24), la Corte EDU ha affermato la necessità di garantire protezione anche a quei beni che costituiscano uno «strumento di lavoro» per chi ne è titolare; in altri termini, va protetto anche il diritto di sfruttamento di un bene che consenta al suo titolare di conseguire redditi futuri. Un bene strumentale all’esercizio di un’impresa non può quindi essere sottratto al suo titolare, salvo che non ricorrano esigenze di pubblica utilità e dietro pagamento di giusto indennizzo.

Anche le concessioni demaniali, anteriormente alla soppressione del diritto di insistenza, si atteggiavano come uno strumento di lavoro in grado di garantire redditi futuri per un periodo di tempo infinito. Inoltre, il rispetto della concorrenza non costituisce una causa di pubblica utilità. Pertanto la soppressione “retroattiva” dei rapporti concessori in essere, senza indennizzo e in difetto di una causa di pubblica utilità, configura un illecito annichilimento dello strumento di lavoro del concessionario.

Conclusioni

De iure condendo, il legislatore potrebbe stabilire un quadro regolatorio che distingua le concessioni in essere al 31 dicembre 2009 in base alla data in cui è sorto il rapporto concessorio (unitariamente inteso). De iure condito, i concessionari sono legittimati a invocare il rispetto del legittimo affidamento in sede giurisdizionale così da scongiurare l’ablazione a titolo gratuito dei beni (demaniali e non) che compongono le aziende balneari di cui sono titolari.

Come detto, la tutela de qua si sorregge sull’articolo 49 del TFUE, sull’articolo 17 della Carta di Nizza e sull’articolo 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; né tale bisogno di tutela contrasta con il principio di trasparenza, sancito dalla sentenza Telaustria Verlags dell’8 dicembre 2000, quando il rapporto concessorio sia sorto anteriormente a tale sentenza.

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Ettore Nesi

Avvocato amministrativista del Foro di Firenze, è specializzato in diritto degli enti locali, contenzioso elettorale, edilizia e urbanistica, espropriazioni, contratti e appalti pubblici, servizi pubblici.