Chi ha avuto la fortuna di nuotare nell’acqua calma di una laguna racchiusa da un atollo corallino, mente fuori imperversa una mareggiata, non potrà non essere affascinato dall’idea di proteggere le spiagge con una barriera simile: un reef artificiale. Ma chi ha avuto quella fortuna saprà anche che non è facile riprodurre quello che fa la natura, e quelle strutture che chiamiamo reef sono, ovviamente, tutt’altra cosa.
L’argomento merita di essere analizzato in modo meno superficiale, per capire quanto ci si avvicini alle Seychelles buttando un po’ di scogli o di blocchi prefabbricati in mare.
Già l’espressione “reef artificiale” è usata per descrivere cosa assai diverse fra di loro, anche se talvolta possono associarsi nelle funzioni. Un reef artificiale è una qualsiasi scogliera sommersa costruita dall’uomo, che può avere la funzione di difesa costiera o di zona di ripopolamento ittico; ma può anche assumere entrambe le funzioni. E forse anche di più, se pensiamo alle strutture realizzate per aumentare la frequenza delle onde su cui fare il surf (ma di queste parleremo in un altro articolo della rubrica “Granelli di sabbia“).
Che attorno agli scogli naturali si addensino i pesci è cosa nota, e lo stesso avviene per i relitti delle navi affondate, tanto da venire usate come mete per escursioni subacquee. Da secoli i pescatori di tutto il mondo hanno buttato in mare oggetti di vario tipo, talvolta costruiti appositamente, per creare delle zone in cui andare a pescare a colpo sicuro. Più recentemente sono stati creati blocchi da calare sui fondali che, oltre a favorire il ripopolamento ittico, ostacolano la pesca a strascico, in particolare vicino alla costa. Lo stesso risultato è stato ottenuto facendo affondare appositamente delle carrette del mare, delle auto, autobus, vagoni ferroviari, e quant’altro si è voluto trasformare da rifiuto in risorsa!
In Italia fu Giovanni Bombace, già direttore dell’Istituto di ricerca sulla pesca marittima del Cnr di Ancona, a convincere i pescatori che i blocchi che proponeva di mettere in mare per impedire la pesca a strascico sotto costa e per il ripopolamento ittico, con il tempo sarebbero tornati a loro vantaggio.

È un’operazione virtuosa, ma siamo sicuri che non vi siano degli aspetti negativi? La prima osservazione è che porre degli elementi fissi su di un fondale mobile, come quello sabbioso o fangoso, richiama specie ittiche diverse, non necessariamente gradite agli indigeni. E un altro problema, segnalato da chi ha studiato l’efficacia di questi reef, è che non sempre favoriscono il ripopolamento: potrebbero, in realtà, essere solo degli attrattori dei pesci, che lascerebbero spopolati altri tratti di mare e che, addensandosi, verrebbero pescati in maggior quantità.
È certo che i reef posti vicino a riva possono essere degli attrattori non solo dei pesci, ma anche dei subacquei, e quindi dei turisti. Ma non è questa la funzione che qui ci preme analizzare, anche se può essere considerata un valore aggiunto. La domanda che ci facciamo è: sono efficaci nella difesa dei litorali dall’erosione?
Se nei reef artificiali inseriamo, come è giusto, tutte le scogliere parallele sommerse o affioranti fatte in scogli, la risposta è più facile, perché abbiamo una casistica enorme e sottoposta a innumerevoli monitoraggi. In modo molto semplicistico possiamo dire che, se sono molto (ma molto) larghe, l’abbattimento dell’energia delle onde è notevole, proprio come nelle barriere coralline, che non sono larghe qualche metro! In questo caso gli effetti collaterali sono limitati o compensabili.
Se vengono costruite con scogli di dimensioni notevoli, come si dovrebbe, di buchi per i pesci ce ne sono a volontà, anche se le cernie non avranno delle villette unifamiliari disegnate secondo le proprie esigenze.
Oggi, almeno in Italia, quando si parla di reef artificiali si fa spesso riferimento a strutture costituite da blocchi costruiti appositamente con la duplice funzione di nursery per i pesci e di difesa costiera. E qui forse le due funzioni potrebbero trovare un buon compromesso: si realizza una scogliera che, per ospitare più pesci, è più trasparente dell’opera in scogli naturali, e contemporaneamente si oppone in modo meno violento alla dinamica del moto ondoso. Infatti, nelle intenzioni dei progettisti dei vari schemi, si accetta una minore dissipazione dell’energia delle onde per lasciare all’acqua la possibilità di tornare verso il largo attraverso i varchi, riducendo quell’innalzamento del livello del mare (piling up) che le scogliere parallele tracimabili tradizionali inducono fra l’opera e la riva.
Reef artificiali costruiti con blocchi prefabbricati si trovano ormai in quasi tutti i paesi che si affacciano sul mare, dato che tutti sono colpiti dall’erosione delle spiagge. Quello che cambia è la forma dei singoli elementi, la loro dimensione, la quantità e il disegno dei fori, e la disposizione geometrica dei vari blocchi sul fondale. Essendo il principio di funzionamento abbastanza intuitivo, sembrerebbe più conveniente progettarsi il modulo in casa che non pagare i diritti d’autore a qualcun altro, ma così non si può trarre vantaggio dall’esperienza accumulata in altre realizzazioni; cosa che talvolta ha un valore superiore al costo del modulo!

In genere vengono fatti più allineamenti, paralleli fra di loro e con i blocchi sfalsati; e sulla geometria del reticolo che si va a costruire influisce anche la forma dei singoli blocchi.

Come per tutte le strutture sommerse o affioranti, l’escursione di marea è un fattore di cui tenere conto, in particolare se oltre alla difesa della spiaggia ci sta a cuore anche la difesa del paesaggio, perché questi moduli belli non sono! In giro per il mondo se ne trovano da sommersi a discreta profondità, più con funzione biologica che non ingegneristica, a emersi anche in alta marea, ovviamente con funzione inversa.
Uno dei problemi principali è la stabilità dei vari elementi e la facilità con la quale si possono riparare o riposizionare. Rispetto alle difese in massi naturali, che se uno scoglio ruota funzionano nello stesso modo, e se si abbassano possono essere “rifioriti” con poco impegno, questi elementi devono stare nella posizione e nella scacchiera definita dal progettista per funzionare correttamente. Ecco, quindi, la differenza fra i vari progetti: i blocchi devono essere grandi, pesanti, robusti e stabili. Si è cercato anche di produrre i moduli con stampanti 3D, ma per il momento non si è raggiunta una robustezza che consenta di porli nella zona dei frangenti. Altri progetti cercano di realizzarli facendo precipitare, con un processo di elettrolisi, i sali disciolti nell’acqua di mare su strutture metalliche; appositamente realizzate o dismesse da altre attività, come le piattaforme petrolifere. Ma queste ultime ovviamente non si prestano per la difesa della costa!
Nonostante la notevole diffusione di questi sistemi, il monitoraggio della loro efficacia per la difesa dei litorali non ci consente di esprimere un parere definitivo, anche perché spesso gli studi non sono stati completamente indipendenti. Inoltre, proprio per l’elevata quantità dei diversi moduli e per le applicazioni in differenti contesti, solo per pochi si ha una discreta conoscenza.
A fianco di interventi che hanno dato risultati apparentemente positivi, in altri casi sembra che si siano formate correnti concentrate fra i moduli che portano via la sabbia, e sono stati segnalati anche problemi di sicurezza per i bagnanti. A questo riguardo, cosa che vale anche per altri sistemi di difesa costiera, è opportuno un chiarimento: una cosa sono i progetti innovativi, che hanno superato numerose valutazioni indipendenti, altra cosa sono quelli sperimentali, che è bene fare, ma che prima di applicare su noi stessi è opportuno pensarci due volte.
Per i vaccini c’è l’Ema, per le difese costiere no. Se un consiglio devo darlo, è quello di andare a parlare con chi ha fatto da cavia e chiedergli come sta. Io qualcuno l’ho trovato molto bene … altri no.
Ah, dimenticavo un’altra funzione di alcuni moduli: c’è chi ci fa inglobare le ceneri dei propri cari e chi ne finanzia l’immersione in mare, contribuendo alla realizzazione di un memoriale subacqueo cha aiuta lo sviluppo degli organismi marini. In questo caso, oltre ai moduli tradizionali, vengono usati anche cippi, monumenti e sculture di vario tipo. Non fiori, ma opere… a mare!
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