Una delle prime cose che si notano di una spiaggia è il suo colore, ed è anche una delle prime cose che si raccontano al ritorno di una vacanza. Ma perché il colore della sabbia è elemento così importante? Interviste fatte in diversi paesi del mondo indicano che, nella scelta di una località in cui passare delle vacanze balneari, l’importanza che viene attribuita al colore della sabbia vale, in una scala da 0 a 10, mediamente 6,4. Singolare è che il valore medio attribuito dagli uomini eterosessuali sia 5,4, dalle donne eterosessuali 6,7 e dalle persone omosessuali 7,0. Se poi si mostrano dei campioni di sabbia, tutta delle stesse dimensioni ma di colore diverso, e si chiede di darne una valutazione, si scopre che più i granelli sono chiari e più viene apprezzata. Ma si hanno anche delle distorsioni rispetto a questa tendenza: la sabbia meno gradita è quella “grigio topo”, mentre sedimenti più scuri ma con caratteristiche particolari sono maggiormente apprezzati, come quelli rossi e quelli neri.
Che il colore della sabbia costituisca un’attrattiva turistica lo dimostra Lignano, che nel 1931 aggiunse al proprio toponimo il nome “Sabbiadoro” per fare conoscere al mondo il suo tesoro, costituito da sabbia gialla: un’operazione di marketing ampiamente riuscita!
Ma da cosa dipende il colore della sabbia? Essendo una miscela di minerali e di frammenti di roccia, sono questi che lo determinano, e siccome i nostri occhi non sono microscopi, i colori dei singoli granuli si fondono per darci una tonalità e luminosità uniforme. Il quarzo è uno dei minerali più frequenti, anche perché, essendo particolarmente duro, resiste maggiormente all’abrasione, tanto che alcune spiagge “fossili”, ossia non più alimentate, sono costituite esclusivamente da granuli di quarzo. Vi si trovano poi frammenti di rocce carbonatiche, feldspati, granato, mica, frammenti di conchiglie, scheletri di animali marini, alghe calcaree e microfossili, in quantità estremamente variabili da spiaggia a spiaggia. Il basalto rende nere le spiagge vulcaniche, gli ossidi di ferro quelle rosse, l’olivina quelle verdi, mentre la spiaggia di Budeli, in Sardegna, deve il suo colore rosa ai gusci calcarei di un foraminifero che vive nell’antistante posidonieto. Le strisce nere che si osservano su alcune spiagge sono invece date dalla magnetite che, essendo più pesante, non si mescola con gli altri sedimenti anche se hanno dimensioni simili.
Le spiagge chiare, oltre a piacere per motivi estetici e per il fatto che conferiscono all’acqua del mare un colore più chiaro (e la fanno sembrare più pulita!), riflettono maggiormente la luce del sole (e proprio per questo sono chiare!) e si scadano meno, cosa importante per un uso turistico-balneare dell’arenile. Al contrario, le spiagge nere delle isole vulcaniche sono certamente affascinanti, ma non vi si può camminare sopra! E non siamo solo noi a sentire il calore della sabbia: anche gli animali che vi vivono sopra, dentro o che solo vi seppelliscono le uova sono estremamente sensibili. Dalle uova delle tartarughe marine nascono maschi o femmine in funzione della durata dello sviluppo, che dipende proprio dalla temperatura della sabbia: con temperature di circa 29°C i sessi sono bilanciati, ma se la sabbia è più calda nascono prevalentemente femmine, mentre con la sabbia più fredda emergono più maschi, fino a che non nascono solo individui di un solo sesso. Ecco dunque che cambiare il colore di una spiaggia con un ripascimento artificiale può minacciare la sopravvivenza di una popolazione. E pensiamo a un povero gambero che, attraverso millenni di selezione naturale, è riuscito a replicare il colore della sabbia e la sua granulosità: se gli cambiamo lo sfondo, un predatore lo vedrà e se lo mangerà in un secondo!
È comunque vero che i ripascimenti artificiali costituiscono il sistema più sostenibile per la difesa dei litorali dall’erosione, e quindi è necessario trovare un compromesso, dato che la sabbia di colore identico a quella naturale non sempre è reperibile. Purtroppo il nostro occhio, che pure riconosce circa 8 milioni di colori diversi, è un pessimo strumento di misura ed è necessario arrivare a una quantificazione del colore per poter decidere di quanto discostarsi da quello naturale senza impatti sul paesaggio e sull’ambiente costiero nel suo insieme. Le “Linee guida per la difesa dei litorali“, formulate dal Tavolo nazionale sull’erosione costiera costituito presso il Ministero dell’ambiente e coordinato da Ispra, danno indicazioni sul metodo da utilizzare per determinare il colore e suggeriscono dei limiti entro i quali accettare un sedimento per il ripascimento artificiale. Questo metodo, già utilizzato in Toscana, ha dimostrato di essere in grado di garantire che, dopo un ripascimento artificiale, i bagnanti, e forse anche le tartarughe, non si accorgano del cambiamento.
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