Opinioni

Concessioni balneari: da Ciampi a Meloni, 20 anni di impasse. Ma una soluzione c’è

Tra norme incostituzionali e rinvii, sulla gestione delle spiagge si è arrivati a una situazione kafkiana. Ma uscirne è ancora possibile.

Per oltre quindici anni mi sono occupato di demanio marittimo e concessioni con finalità turistico-ricreative, prima come direttore del consorzio Cogi – che ideò, propose e si aggiudicò la realizzazione del Sistema informativo del demanio marittimo (Sid) – e poi come presidente della società di scopo alla quale venne affidata la realizzazione, l’avviamento e un breve periodo di gestione del Sid stesso. Sulla base di tale esperienza, non posso esimermi dal giudicare come kafkiana la situazione a cui si è arrivati oggi in Italia sulla gestione delle concessioni balneari.
In questo articolo, oltre a percorrere una breve cronologia normativa, documenterò la verità sul come e quando siamo arrivati al caos in corso, chi sono i responsabili, e soprattutto come uscire dall’impasse con una soluzione semplice e veloce che non scontenti nessuno. Un ulteriore rinvio, se praticabile, farebbe infatti perdere la faccia non solo al governo, ma a tutti gli italiani.

Le concessioni costiere e quelle interne non sono assimilabili

Innanzitutto, occorre fare una precisazione. Le concessioni demaniali marittime sono gestite a livello nazionale con un unico sistema informativo geografico (GIS), basato su una nuova cartografia catastale in scala 1:1000. Le concessioni demaniali fluviali e lacuali sono archiviate su 14 distinti database (DBMS), gestite con applicativi diversi e non intercomunicanti; la cartografia contenuta nel contratto è costituita da piccoli estratti delle carte catastali e dalla posizione sulle carte topografiche regionali in scala 1:5000.

Entrambe le procedure di infrazione contestate dall’Unione europea contro l’Italia (sia quella chiusa nel 2010 che quella avviata nel 2020) fanno riferimento ad articoli di legge inerenti il demanio marittimo e non quello fluviale o lacuale. Inoltre, non risultano contestazioni nel merito delle procedure utilizzate dalle Regioni per il rilascio delle concessioni.

Come si è arrivati all’attuale situazione

Le anomalie italiane sulla gestione delle concessioni balneari iniziarono con la legge 494/1993, che snaturò gli articoli 36 e 37 del Codice della navigazione.

  • la preferenza, prevista dall’articolo 37 a seguito del confronto tra le domande concorrenti, venne assegnata alle «precedenti concessioni rispetto alle nuove istanze» senza nessuna valutazione di merito;
  • le concessioni di durata non superiore al quadriennio, ma che per il tipo di occupazione dovevano essere rilasciate «per atto pubblico» (articolo 36), vennero equiparate a quelle rilasciate «per licenza», allora consentita solo per le attrezzature spostabili e di facile sgombero.

L’applicazione congiunta dei due articoli impedì ad altri candidati l’accesso a tutte le concessioni, sebbene fosse già noto che il fattore discriminante degli “impianti” (fabbricati) non fosse la tecnica costruttiva (nel 1941, epoca di stesura del Codice della navigazione approvato l’anno successivo, i prefabbricati in conglomerato cementizio non erano ancora diffusi) bensì il loro aspetto giuridico, economico e commerciale (v. circolare del Ministero dei trasporti e della navigazione n. 97 del 1996). Dato che la scelta senza il confronto tra gli operatori impedisce la concorrenza, e che questa è tutelata dalla Costituzione (articolo 117, comma 2), l’articolo di legge risultante era palesemente incostituzionale, come è stato riconosciuto oltre 28 anni dopo nell’articolo 1 della legge 118/2022.

Con la legge 88/2001, che modificava la legge 494/1993 approvata sette anni prima, la quale a sua volta aveva modificato il secondo e il terzo comma dell’articolo 37 del Codice della navigazione, la sfrontatezza arrivò all’apice: la durata delle concessioni in essere veniva prolungata da quattro a sei anni e alla scadenza veniva rinnovata automaticamente per altri sei anni «e così successivamente ad ogni scadenza». La stranezza formale era per evitare al richiedente l’imbarazzo di scrivere nella domanda “in eterno”, dato che doveva obbligatoriamente indicare la durata (articolo 6 del Regolamento per l’esecuzione del Codice della navigazione).
Da notare che la legge non modificò gli articoli del Regolamento, successivo al Codice, che si riferivano alla scadenza delle concessioni: articolo 6 comma 1 (durata della concessione), articolo 9 comma 2 (durata e competenza amministrativa), articolo 24 (limiti temporali), articolo 25 (cessazione di diritto).

Con questa modifica, al primo rinnovo tutte le concessioni avrebbero dovuto essere rifatte «per atto pubblico», approvate con decreto del direttore marittimo, come stabilito dall’articolo 9 del Regolamento (non modificato) e corredate dalla relazione tecnica firmata da un professionista abilitato. Né il ministro delle finanze Vincenzo Visco né quello dei trasporti e navigazione del tempo, quel Pier Luigi Bersani che qualche anno dopo si intesterà «lenzuolate di liberalizzazioni», contestarono il provvedimento che, ostacolando l’ingresso di altri operatori, impediva palesemente la concorrenza. Trascorsero quasi quindici anni fin quando, in conseguenza delle modifiche apportate al Codice della navigazione nel 1993 con l’introduzione del cosiddetto “diritto di insistenza”, la Commissione europea comunicò la prima procedura d’infrazione (n. 498/2008). Nel 2010 venne abolito il diritto di insistenza ma, per giustificare la proroga fino al 31 dicembre 2015, il governo dell’epoca si impegnò a «rivedere il quadro normativo». La Commissione europea dichiarò chiusa la procedura d’infrazione, in quanto nessuno le fece notare che nel frattempo un altro governo aveva approvato la legge 88/2001.

Con strategie simili a quella del 2010, i vari successivi governi hanno tentato di prorogare le concessioni fino al 2033 (legge 221/2012, legge 145/2018, legge 34/2020, legge 126/2020), fin quando a fine dicembre 2020 la Commissione europea ha comunicato la seconda procedura d’infrazione 418/2020. Inoltre, a seguito di due ricorsi che vertevano sulla proroga delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, nel 2021 il Consiglio di Stato ha sentenziato la nullità delle proroghe stabilite fino al 2033; tuttavia, consapevole dell’impatto conseguente l’immediata cessazione, ha ritenuto di dichiararle valide fino al 31 dicembre 2023.

Per chiudere il contenzioso aperto dalla seconda procedura d’infrazione, con la legge 118/2022 approvata durante il governo Draghi sono stati abrogati tutti i commi inerenti la proroga al 2033, contenuti nelle leggi 145/2018, 77/2020 e 126/2020, ed è stata confermata la scadenza di tutte le concessioni alla fine del 2023 come stabilito nella sentenza del Consiglio di Stato. Il termine “mappatura” utilizzato nel titolo dell’articolo 2 della legge 118/2022 ha fatto supporre ai concessionari che il governo volesse realizzare i rilievi topografici delle concessioni demaniali fluviali e lacuali (quelle marittime sono infatti già contenute nel Sid, in esercizio dal 2007), che avrebbero richiesto alcuni anni. Ma il termine “mappatura” non viene mai ripreso nel testo, dove si chiarisce che si intende solo estrarre alcuni dati essenziali all’identificazione del bene e delle concessioni da duplicare nel nuovo sistema informativo (Siconbep) per poterlo interconnettere agli altri sistemi. Per quanto riguarda le concessioni marittime, è un lavoro che richiede pochi giorni.

Anche questa volta, comunque, il governo si è impegnato a svolgere un’attività che la Commissione europea non aveva richiesto per annullare l’infrazione, ovvero «riordinare e semplificare la disciplina in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive» (articolo 4 legge 118/2022). Come nel gioco dell’oca, la situazione attuale è la stessa di quella del 2010, quando l’attuale presidente del consiglio era il ministro per la gioventù: e la normativa in vigore è tornata a essere nella versione originale del 1941.

Uscire dall’impasse sulle concessioni balneari: una soluzione chiara e realizzabile in tempi brevi

In entrambe le lettere di messa in mora relative alle procedure d’infrazione, la Commissione europea chiede esclusivamente «l’applicazione di una procedura di selezione che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento». Ebbene, “procedura selettiva” non vuole dire l’affidamento nelle forme tipiche dei contratti d’appalto della pubblica amministrazione. La pubblicizzazione della domanda di concessione, avviata su iniziativa di parte, e l’eventuale concomitanza di più domande di concessione, come è indicato nel Codice della navigazione e com’è in uso in tutte le regioni per le concessioni lacuali e fluviali, prefigurano una situazione rispondente ai principi di libera concorrenza richiesti dalla Commissione europea (si vedano le sentenze del Consiglio di Stato n. 688/2017 e 7837/2020).

Una eventuale gara d’appalto dovrebbe contenere, per ogni concessione, almeno il progetto definitivo delle strutture, predisposto dalle amministrazioni comunali, lasciando ai concorrenti il confronto su quello esecutivo. Senza considerare che la misura del canone non è oggetto d’offerta, bensì è stabilita in base alla valenza turistica, ossia alla redditività, che i Comuni attribuiscono alla zona e agli importi unitari stabiliti dalla legge per le varie categorie, aggiornati annualmente dagli indici Istat (v. legge 296/2006, articolo 1, comma 251). Inoltre, l’aspetto prioritario non è l’importo incassato dallo Stato, bensì l’interesse pubblico.

Se da un lato i concessionari sono stati al riparo della concorrenza per trent’anni per effetto di provvedimenti illegittimi, dall’altro occorre riconoscergli la qualità del servizio svolto, i sacrifici, gli investimenti fatti, la professionalità acquisita e gli indiscussi risultati ottenuti. Come ho cercato di documentare, non c’è alternativa a una procedura selettiva; e anche l’invocata scarsità del bene è strettamente vincolata alla domanda: ne consegue che, se la “scarsità” venisse presa in considerazione, verrebbero penalizzati i concessionari ubicati nelle zone dove le attività turistiche sono più sviluppate. Occorre perciò trovare una soluzione che, nel rispetto delle regole della concorrenza, gratifichi i concessionari e possa essere adottata entro la scadenza del 2023. In sostanza, è urgente individuare una soluzione “win-win”, dal momento che le gare creerebbero il caos e dall’altra parte un’ulteriore proroga farebbe perdere la faccia a tutti, non solo al governo.

A mio parere il nuovo decreto, atteso entro il 27 febbraio 2023, dovrebbe:

  1. Chiarire l’articolo 2 della legge 118/2022 nel merito del nuovo sistema informativo.
  2. Abrogare l’articolo 4 della legge 118/2022, in quanto contiene solo indicazioni ovvie oppure illogiche e contrastanti, nonché foriere di ricorsi. Si vedano per esempio le indicazioni già obbligatoriamente contenute nei piani comunali di spiaggia e nelle circolari del ministero, riguardanti il valore delle imprese e degli investimenti e la professionalità acquisita, in contrasto con l’invocata partecipazione prevalente o totale giovanile e di piccole imprese familiari con prevalente fonte di reddito derivante dalla concessione. Persino le comunità LGBTQ+ potrebbero presentare ricorso per discriminazione, in quanto la parità di genere indicata è solo tra uomini e donne. Inoltre l’affidamento a terzi, se concesso, dovrebbe essere limitato solo ad attività secondarie e non “anche secondarie”, e l’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante”, è un ostacolo alla concorrenza.
  3. Rivedere diversi commi del Codice della navigazione e del Regolamento per l’esecuzione (entrambi hanno oltre settant’anni), sia per evitare interpretazioni difformi rispetto alla lettera, sia per adeguarli alle tecnologie ormai di uso consolidato e diffuso.
  4. Fissare la durata delle concessioni a 10 anni (eccetto per le opere d’interesse dello Stato) in relazione ai coefficienti di ammortamento stabiliti dal decreto ministeriale del 31 dicembre 1988 (10% fabbricati e strutture leggere, 20% attrezzature).
  5. Eliminare il conferimento dei beni allo Stato alla scadenza della concessione (articolo 49 del Codice della navigazione), salvo per opere importanti valutate dall’intendenza di finanza e indicate nell’atto. Ovvero, la zona assegnata deve rimanere libera da ogni manufatto prima che si insedi il nuovo concessionario (si veda l’articolo 32 del Regolamento). Un eventuale trasferimento degli impianti e delle attrezzature al concessionario subentrante costituirà una trattativa privata tra le parti.
  6. Valutare le richieste concorrenti (articolo 37 del Codice della navigazione) sulla base di parametri e valori prestabiliti, per esempio la compatibilità ambientale, la maggiore fruibilità e rilevanza sociale, il migliore utilizzo economico e quindi l’importo risultante del canone. A parità di punteggio, la commissione esaminatrice potrebbe chiedere di migliorare le offerte sui punti ritenuti più qualificanti.
  7. Riconoscere al concessionario uscente, in analogia a quanto previsto a favore del promotore nel Codice dei contratti pubblici, di poter adeguare la sua proposta a quella ritenuta migliore, con eventuale riconoscimento di un importo predefinito per le spese sostenute dal vincitore per la predisposizione della proposta. Il diritto di prelazione, ampiamente utilizzato nell’assegnazione delle concessioni regionali e nelle vendite di beni pubblici, è “conforme ai principi generali posti a favore della concorrenza” (Tar Lombardia, sentenza n. 2106/2019). Per assicurare l’invocata trasparenza delle assegnazioni, oltre ad aggiungere al Sid un profilo di accesso per il pubblico che consenta di visualizzare un set predefinito di dati multimediali per tutte le coste, all’ingresso delle concessioni potrebbe essere esposto un codice ottico (QR) o installato un tag a radiofrequenza (NFC) per ottenere, attraverso un qualunque smartphone, l’accesso immediato a uno specifico dataset della concessione (intestatario, scadenza, uso e consistenza delle attrezzature, canone, ecc.) e segnalare eventuali difformità.

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Umberto De Angelis

Si è occupato per oltre quindici anni di demanio marittimo, prima come direttore del consorzio Cogi, che ideò, propose e si aggiudicò la realizzazione del Sistema informativo del demanio marittimo, e poi come presidente della società di scopo alla quale venne affidata la realizzazione, l'avviamento e un breve periodo di gestione del Sid.