Anche la Sicilia dovrà rispettare la sentenza del Consiglio di Stato che ha fissato al 31 dicembre 2023 la scadenza di tutte le concessioni balneari in essere. Sono dunque state smentite le recenti dichiarazioni dell’assessore regionale al territorio Toto Cordaro, che aveva dichiarato di voler ignorare la pronuncia di Palazzo Spada poiché, rivendicando l’autonomia sul demanio marittimo consentita dal regime a statuto speciale, «la Regione Sicilia è l’unica ad avere esteso le concessioni balneari con una norma».
Invece, pare proprio che ciò non basterà: una comunicazione inviata nei giorni scorsi dagli uffici regionali a tutti i concessionari balneari siciliani informa infatti che «fatte salve le successive verifiche che saranno effettuate dall’amministrazione, la concessione di demanio marittimo continua ad avere efficacia solo fino al 31 dicembre 2023».
Ma i balneari del territorio non ci stanno: l’Associazione turistica balneare siciliana ha infatti replicato inviando una lettera alla Regione per sostenere che «la sentenza del Consiglio di Stato ha evidenziato l’inapplicabilità dell’estensione automatica del titolo concessorio già rilasciato. Il concessionario della Regione Sicilia non ha avuto un’estensione automatica del proprio titolo: al contrario, la Regione ha sottoposto il rilascio dell’estensione a un nuovo iter istruttorio e ha obbligato il concessionario anche al pagamento dei “diritti fissi” di 250 euro». Le ragioni dei balneari siciliani si basano insomma su una sfumatura giuridica: la sentenza del Consiglio di Stato afferma infatti che il tacito rinnovo delle concessioni è contrario al diritto europeo, ma la Regione Sicilia per prolungare le concessioni al 2033 non ha effettuato un tacito rinnovo, bensì ha emanato un decreto con tanto di nuova registrazione all’Agenzia delle entrate dopo un nuovo iter istruttorio che ha posto l’obbligo di presentare nuova documentazione, Durc e garanzia del canone fino al 2033.
Il presidente dell’associazione Antonello Firullo ha già annunciato battaglia in tribunale: «Ognuno di noi ha investito migliaia di euro pensando di poter ammortizzare la spesa di qui al 2033. Questa interruzione lede i nostri diritti e ci provoca un danno che qualcuno dovrà risarcire». Il contenzioso, insomma, arriverà molto probabilmente in tribunale. Come d’altronde accade da anni su tutto ciò che riguarda il demanio marittimo, dal momento che manca una legislazione chiara a livello nazionale.
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