Il problema delle proroghe delle concessioni balneari italiane può risolversi solo attraverso una ragionevole trattativa Italia-Europa che apra a una riforma sistemica sulla gestione del demanio marittimo. Altrimenti, in un momento assai delicato per il settore, il legislatore italiano, che a parole dimostra di tenere tanto alla categoria degli imprenditori balneari, nei fatti continuerà solo a danneggiarli. È infatti sotto gli occhi di tutti la grande confusione e incertezza che queste leggi-proroga stanno ingenerando per il loro non allineamento al quadro comunitario.
Forse consapevole di ciò, il legislatore italiano in occasione della legge di bilancio 2019 (legge 145/2018) si era prefissato che attraverso un dpcm da adottarsi nel maggio successivo, si sarebbero dovuti fissare i termini e le modalità per la generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime, facendo tesoro della ricognizione degli investimenti effettuati e delle tempistiche di ammortamento connesse. Un nobile obiettivo, in linea anche con il principio del “caso per caso” introdotto dalla Corte di giustizia europea nel 2016 per tutelare la buona fede dei concessionari virtuosi. Ma anche questa preannunciata iniziativa è caduta nel vuoto.
È ora di sfilare la testa da sotto la sabbia, rompendo il silenzio su scelte legislative che, seppur apprezzabili, rischiano di portare al baratro un’intera categoria. Ritengo di poter dire questo, perché non mi sembra ragionevole che in uno Stato di diritto ci si possa trovare dinanzi:
- ad amministrazioni periferiche che di fatto si rifiutano di applicare norme nazionali, addirittura temendo di esporsi a conseguenze anche di natura penale che potrebbero derivare dall’applicazione di leggi dello Stato;
- ad amministrazioni che applicano senza indugio le medesime leggi dello Stato pensando alle stesse conseguenze pure di natura penale che potrebbero derivare dalla loro non applicazione;
- ad amministrazioni che addirittura riducono motu proprio il termine di proroga previsto da leggi dello Stato preannunciando il rigetto delle relative istanze, ma dichiarandosi al contempo disponibili a concederle per due o tre anni, e solo a fronte della rinuncia del privato a beneficiare della durata quindicennale prevista dalla legge dello Stato;
- a Regioni che danno ai comuni rivieraschi indicazioni applicative diverse a seconda dell’interpretazione data alle norme;
- ad autorità inquirenti che sequestrano strutture balneari, nel pieno esercizio dell’attività e nonostante le difficoltà ingenerate dal Covid-19, sul presupposto che la concessione sia scaduta e che le proroghe ex lege siano illegittime (la mia mente va ai casi del Lido Nettuno di Corigliano Calabro e dei Bagni Liggia di Genova);
- a Tar italiani, al Consiglio di Stato e alla Corte di Cassazione che, seppur con qualche titubanza, già da anni bacchettano le scelte legislative di proroga automatica;
- all’Agcom che, da ultimo, è intervenuta in relazione alle proroghe disposte su Piombino.
Insomma, un gran caos che non credo possa addirsi a uno Stato che voglia definirsi di diritto e che può passare inosservato solo agli occhi di chi non vuol vedere. E che certo non può risolversi con l’ostinazione a difendere una norma solo perché acrobaticamente riproposta dal legislatore italiano, affermando che né l’art. 1 commi 682 e 683 della legge di bilancio 2019, né l’art. 182 della legge 77/2020, né l’art. 100 della legge 126/200 sono passati al vaglio delle autorità giurisdizionali italiane. Non ritengo che con queste premesse la giustizia italiana possa giungere a conclusioni differenti, salvo che nel frattempo il quadro comunitario non muti.
La volontà della politica, sia di maggioranza sia di opposizione, sembra chiara ed è quella di aiutare 30.000 imprese che rappresentano l’eccellenza del turismo made in Italy in un momento di crisi che il mondo sta attraversando. Allora, quale momento migliore per prendere il toro per le corna e avviare quella riforma sistematica del demanio marittimo da anni, sempre preannunciata in ogni norma che affronta tematiche demaniali? Tuttavia la politica continua ad assistere passivamente a quanto accade, rischiando di avvitarsi definitivamente su se stessa perseverando nell’errore che sta affondando un comparto.
Dinanzi a questo orizzonte d’incertezza spettrale, anche gli imprenditori più virtuosi hanno paura di continuare a esserlo, seppur stretti dalla necessità di far fronte a corposi investimenti per ricostruire strutture dilaniate dal maltempo oltre che dalla crisi pandemica. Con questi presupposti, come si può continuare a investire ingenti somme su beni non propri, sotto la manna della precarietà e nella consapevolezza che da un momento all’altro ci si possa trovare senza titolo e senza nemmeno un diritto al rimborso per quanto esborsato per tenere fede a obblighi concessori che, se elusi, portano alla perdita del titolo per altri motivi?
La politica ha il dovere civico di aiutare con i fatti la categoria dei balneari e chi è un buon imprenditore non deve aver paura di un ragionevole cambiamento che caverà definitivamente fuori dal limbo l’intero comparto. La storia spiega che ottenere una proroga sulla base di tali presupposti, a 10, a 20 o a 30 anni, è solo una vittoria di Pirro se non proprio una condanna a morte. Penso nell’immediato a un tetto di proroga temporale fisso che tenga conto dell’emergenza mondiale che la società vive e che, quindi, potrebbe ragionevolmente ancorarsi alle decisioni assunte a livello centrale dall’Europa con strategie emergenziali che hanno addirittura condotto recentemente alla sospensione dei parametri di Maastricht per i quali verosimilmente ci saranno ulteriori proroghe. Insomma, un tetto di proroga fisso in base a dati oggettivi anche pandemici, e un altro variabile non superiore a una durata massima pure da stabilire e da far parametrare nel pratico alle amministrazioni concedenti in base ai piani di ammortamento degli investimenti effettuati.
La scelta potrebbe altresì essere compatibile con il mercato interno, sotto forma di aiuti indiretti alla categoria per ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali e dagli eventi eccezionali del momento. Ritengo si tratti di una possibile soluzione, anche in linea con scelte legislative di altri Stati europei che hanno già passato il vaglio comunitario in periodi non emergenziali. Diversamente, tutti gli apprezzabili sforzi profusi non solo dal legislatore italiano, ma anche da autorevoli europarlamentari (penso a Campomenosi, Casanova, Vuolo, Borchia, Conte, Rinaldi, Adinolfi, Cozzolino) continueranno a cadere nel vuoto.
Resto convinto che solo un ragionevole e condiviso percorso con l’Europa possa dare certezze alla categoria a cui, così continuando, non rimane lunga vita, tenuto anche conto che agli occhi dell’Europa (allo stato abbastanza tollerante) le scelte interne di buona volontà nei confronti della categoria potrebbero apparire come atti di prepotenza legislativa con conseguente irrigidimento da parte della stessa.
In conclusione, questo tipo di legiferazione indubbiamente non giova al comparto che, in assenza di un orizzonte certo, fisiologicamente diventerà sempre più prudente a esprimere il meglio di sé, aprendo le porte a colossi imprenditoriali esteri che entreranno a gamba tesa nel mercato italiano, magari grazie alla legislazione, anche fiscale, più blanda e di favore che regna in quei mercati, a volte pure connotata da minore trasparenza.
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