Faccio seguito all’articolo di Filippo Maria Salvo riferito alla sentenza del Consiglio di Stato n. 1416/20121, il quale ha affermato che detta statuizione giurisdizionale avrebbe smentito quanto affermato dal Tar Lecce in materia di proroga delle concessioni demaniali marittime, ai sensi della legge n. 145/2018. Preliminarmente occorre evidenziare che una corretta interpretazione delle decisioni emesse dagli organi giurisdizionali non può prescindere da una valutazione dall’oggetto della causa e delle domande su cui i giudici amministrativi sono chiamati a rispondere. Ogni commento scevro da tale corretto inquadramento appare frutto di personali forzature che non coincidono con la verità processuale e sostanziale fatta valere in ambito giudiziario. Invero, un fondamentale e basilare principio giuridico consiste nel fatto che deve esistere una esatta coincidenza tra la domanda giudiziale proposta e la decisione del giudice (per gli addetti ai lavori si chiama “principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato”), non essendo possibile che il giudice pronunci ultra petita, ovvero vada oltre quanto richiesto in ambito giurisdizionale. Ripeto, si tratta di un principio che definire elementare sarebbe eufemistico.
Premesso ciò, è necessario ricondurre la questione in termini più aderenti all’esatta portata della decisione dei giudici di Palazzo Spada. Invero, la premessa principale da cui è necessario partire consiste nel fatto che sussiste una fondamentale differenza tra le domande aventi a oggetto il rilascio di una nuova concessione demaniale marittima (che ha formato oggetto del giudizio culminato con la sentenza n. 1416/2021) dalle domande aventi a oggetto la proroga dei titoli concessori già in essere che, viceversa, è stata affrontata dal Tar Lecce in applicazione di quanto sancito dalla legge n 145/2018.
Nella richiamata sentenza n. 1416/2021 non era in discussione la proroga di un titolo concessorio già in essere, bensì la ben diversa circostanza riferita alla domanda di una nuova concessione demaniale marittima. Entrando nello specifico della questione sottoposta al vaglio del massimo giudice amministrativo, si fa presente che la controversia atteneva alla domanda proposta a un Comune salentino con la quale un cittadino aveva chiesto il rilascio di una nuova concessione per l’occupazione di uno specchio acqueo finalizzato alla realizzazione di una darsena – domanda che era stata rigettata per una serie di motivazioni, tra cui la mancata indizione di un bando di gara da parte dell’amministrazione comunale.
Necessaria premessa alla questione trattata consiste nel fatto che la legge della Regione Puglia n. 17/2015 prevede che il rilascio (e non la proroga) delle nuove concessioni demaniali (giammai di quelle già in vigore) debba avvenire all’esito di selezione del beneficiario effettuata attraverso procedura a evidenza pubblica. Viceversa, come è noto, l’articolo 18 del regolamento esecutivo al Codice della navigazione prevede che, nell’ipotesi in cui un cittadino presenti una domanda avente a oggetto il rilascio di una nuova concessione demaniale marittima, si debba avviare un procedimento amministrativo che impone la pubblicazione di detta domanda all’Albo pretorio (il cosiddetto “rende noto”) al fine di acquisire eventuali domande concorrenti e procedere all’assegnazione del bene pubblico al soggetto che fornisca migliori garanzie di ottimale utilizzazione del bene.
In altre parole, la citata legge regionale pugliese sovverte l’ordine riferito alla titolarità di impulso al procedimento in materia di rilascio delle nuove concessioni demaniali; invero, mentre in applicazione del citato articolo 18 del regolamento esecutivo del Codice della navigazione è il cittadino che aziona, su proprio impulso, il procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del nuovo titolo concessorio attraverso la presentazione di una domanda, nel caso di quanto disposto dalla legge regionale pugliese è la pubblica amministrazione che, attraverso la pubblicazione di un bando di gara, decide se e quale area debba essere data in concessione.
Aliis verbis, nel giudizio culminato con la sentenza n. 1416/2021 del Consiglio di Stato non è stato mai posto in discussione che per il rilascio di una nuova concessione demaniale si debba procedere a una gara; bensì è stato solo evidenziato che l’iniziativa per il rilascio di un nuovo titolo concessorio possa avvenire anche a opera del privato cittadino e che il procedimento debba svolgersi secondo quanto previsto dall’articolo 18 del regolamento esecutivo al Codice della navigazione. Nel processo svoltosi innanzi al Consiglio di Stato, pertanto, si è dibattuto in merito alla legittimità della predetta legge regionale nella parte in cui viene sovvertito il diritto di procedere all’assegnazione del bene pubblico (su impulso del privato ovvero su iniziativa della pubblica amministrazione).
I giudici di Palazzo Spada, nella pronuncia n. 1416/2021, hanno sostanzialmente affermato che il rilascio delle nuove concessioni non può prescindere da una gara pubblica e che tale gara debba essere avviata su impulso della pubblica amministrazione. Possiamo, quindi, facilmente notare come sussiste una fondamentale differenza tra il concetto legato alla proroga delle concessioni demaniali previsto dalla legge n. 145/2018, dal concetto legato al rilascio di una nuova concessione demaniale.
Mi auguro che tale specificazione abbia fornito i necessari chiarimenti in merito alla vicenda, onde evitare errate speculazioni che possano fornire un’interpretazione alquanto errata dei principi fatti valere dai giudici di Palazzo Spada nella sentenza n. 1416/2021. La materia riferita alla proroga delle concessioni demaniali ex lege n. 145/2018 presenta profili ben più complessi e articolati rispetto a quella relativa al rilascio di nuovi titoli concessori e parificare le due situazioni (come accaduto nelle notizie di stampa predette) appare non solo riduttivo e fuorviante, ma a mio parere del tutto inconferente ed errato.
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