La crisi di governo avviata ieri, culminata con le dimissioni del premier Mario Draghi poi respinte da Mattarella, ha dimostrato che le tensioni interne alla maggioranza potrebbero portare all’imminente caduta dell’esecutivo. La questione riguarda da vicino i titolari di stabilimenti balneari, dal momento che compromette la riforma delle concessioni demaniali marittime contenuta all’interno del disegno di legge sulla concorrenza: il testo è stato approvato lo scorso maggio in Senato e deve passare al voto della Camera il prossimo 27 luglio, ma la fine anticipata del governo Draghi potrebbe far slittare l’approvazione del ddl, se non addirittura farla saltare.
Lo scenario che si sta prospettando somiglia a quello di cinque anni fa, quando il precedente tentativo di riforma delle concessioni balneari, passato alla storia come “ddl Arlotti-Pizzolante” dal nome dei due deputati che lo firmarono, fu approvato alla Camera ma non fece in tempo a essere votato in Senato a causa del termine della legislatura. Allora una parte di imprenditori esultò perché si evitarono le gare delle concessioni previste da quel provvedimento, mentre altri percepirono la mancata approvazione come un’occasione persa per chiudere nel migliore modo possibile una vicenda che si trascinava già da molti anni.
La situazione odierna, tuttavia, è ancora peggiore. Attualmente sulle concessioni balneari vige la legge 145/2018 approvata dal primo governo Conte, che detta le linee guida per istituire le procedure di riassegnazione delle concessioni (a cui stava appunto lavorando il governo Draghi, dal momento che il precedente esecutivo non ha mai portato a termine l’impegno). Tuttavia quella legge è stata privata della sua parte più importante, ovvero la proroga delle concessioni al 2033, annullata lo scorso novembre dal Consiglio di Stato in quanto si trattava di un rinnovo automatico agli stessi titolari, e perciò contrario al diritto europeo. Al suo posto, Palazzo Spada ha fissato il 31 dicembre 2023 come termine ultimo per riassegnare le concessioni tramite gare pubbliche, e ciò significa che a prescindere dall’esito della riforma Draghi, i titoli scadranno comunque fra meno di un anno e mezzo ed entro allora dovranno per forza essere stati oggetto di evidenze (a meno che la sentenza del Consiglio di Stato non venga riformata dopo l’esito del ricorso in Cassazione, ma l’ipotesi pare piuttosto remota alla luce della giurisprudenza consolidata sul tema).
Il riordino delle concessioni balneari, insomma, non è un passaggio obbligato: anche se non dovesse essere approvato il ddl concorrenza, in base alla sentenza del Consiglio di Stato i Comuni sarebbero comunque costretti a istituire le procedure di evidenza pubblica entro la fine del prossimo anno; anzi la situazione sarebbe ancora più pericolosa, dal momento che in assenza di linee guida nazionali, ogni amministrazione dovrebbe fare per conto suo, in un contesto di totale anarchia e conseguente disparità di trattamento. La riforma delle concessioni, in sostanza, serve solo a stabilire dei criteri uniformi e a legiferare su aspetti importanti per la materia ma inesistenti nella normativa attuale, come per esempio gli indennizzi per i concessionari uscenti o i punteggi premianti in fase di gara per chi vanta esperienza professionale nel settore; ma non è affatto un atto dovuto. La stessa funzione aveva cinque anni fa il ddl Arlotti-Pizzolante, che rispetto all’attuale riforma Draghi, conteneva condizioni molto più favorevoli per gli attuali concessionari – molte di queste ora ormai impossibili da ottenere, sia perché nel frattempo la sentenza del Consiglio di Stato ha ristretto le strade giuridiche percorribili, sia perché l’attenzione mediatica sulla questione balneare si è fatta più importante e nell’opinione pubblica si è fomentata un’accesa avversione contro la categoria, influenzando l’azione politica che guarda più al consenso delle masse che alla tutela di una lobby piccola e frammentata.
Con il termine perentorio fissato dal Consiglio di Stato, l’attuale legislatura rappresenta l’ultima occasione possibile per approvare una riforma delle concessioni. Purtroppo è accaduto che a occuparsene si sia trovato un presidente del consiglio ostile ai balneari, che non ha ascoltato né recepito le richieste della categoria; tuttavia l’eventuale governo che arriverà dopo di lui non avrà il tempo per fare di meglio, anche se lo volesse (e non è scontato). Per questo, la caduta del governo Draghi rappresenta forse più un’incognita che una soluzione per la categoria dei balneari, i quali rischiano di perdere l’ultima opportunità per ottenere qualche legittima forma di tutela temporanea. Oltretutto, per chiederla c’è oggi l’importante possibilità di protestare alleandosi con le altre categorie oggetto del ddl concorrenza: al contrario del ddl Arlotti-Pizzolante che riguardava solo il demanio marittimo, infatti, la riforma Draghi va a legiferare su un’ampia serie di materie tra cui tassisti, ambulanti, portuali, concessioni idroelettriche e rifiuti, con cui è possibile costituire una voce comune per negoziare condizioni più favorevoli. Che in questo momento non sono l’esclusione perenne dalle gare, del tutto irrealistica con un governo così nemico, bensì il riconoscimento di diritti reali come il legittimo affidamento e il valore aziendale. Poi, una volta usciti da questa fase di pericolo ed emergenza con qualche minima sicurezza in tasca, ci saranno eventualmente il tempo e le condizioni per lavorare su soluzioni più definitive come la sdemanializzazione delle aree su cui insistono i manufatti (e non più, si spera, seguendo gli slogan privi di senso come il “no alla Bolkestein”). Ma per arrivarci occorre essere consapevoli che il mancato riordino immediato del demanio marittimo rischia di far arrivare le concessioni alle gare senza alcun paracadute.
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