Cuspidi: quando anche la linea di riva fa le onde

Questo articolo fa parte di "Granelli di sabbia"

Divagazioni su processi, forme e tematiche ambientali della spiaggia. Una rubrica a cura del GNRAC.

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Se a qualcuno venisse in mente di tassare le concessioni balneari sulla base della lunghezza della linea di riva che su cui si affaccia ciascun stabilimento, la tassa cambierebbe da un giorno all’altro, e sulle spiagge troveremmo più avvocati che bagnini. Raramente infatti la linea di riva è un segmento di retta o un arco di circonferenza o di parabola; il più delle volte presenta un andamento sinuoso nel quale si susseguono creste e cavi, la cui spaziatura può andare da meno di un metro a qualche centinaio di metri. Le più piccole (fino a circa 50 metri) prendono il nome di cuspidi, mentre le più grandi vengono definite “sand waves” (onde di sabbia) o più semplicemente mega-cuspidi. La classificazione fatta sulla base della distanza fra le varie punte, o fra i cavi, non è rigida, mentre i processi che le formano sono assai diversi, anche se complessi e ancora oggetto di discussione.

Sono le cuspidi quelle che stimolano maggiormente il dibattito fra i ricercatori e, forse, anche la curiosità di chi cammina lungo la riva del mare, che si trova a fare un percorso ondeggiante o, se procede a diritto, a superare in continuazione dossi e buche. Osservando il flusso dell’acqua su di una battigia caratterizzata da cuspidi, si capiscono bene i processi che vi avvengono: l’acqua che risale sulle punte viene in parte dirottata verso i cavi, dove il flusso di ritorno (“back wash”) è più intenso e tende a scavare. Ma se la baia si approfondisse troppo, lascerebbe il promontorio esposto a una maggiore energia delle onde, che tenderebbero a smantellarlo; inoltre, con l’aumento dell’acqua che torna in mare convogliata nel cavo, verrebbe ostacolata la risalita l’onda successiva, che quindi non potrebbe continuare a scavare. È così che i promontori non diventano troppo aggettanti e i golfi troppo profondi: il sistema si stabilizza.

I flussi divergenti sulle punte asportano in prevalenza le particelle più fini, che vengono trasportate nei cavi per poi finire in mare. I sedimenti presenti sulle creste divengono così più grossolani e favoriscono l’infiltrazione dell’acqua, tanto da ridurre ulteriormente il flusso di ritorno, mentre la sabbia fine presente nei cavi è meno permeabile e favorisce il deflusso. Nelle spiagge miste di sabbia e ghiaia questi processi sono più evidenti, e abbiamo promontori di ghiaia che racchiudono baie di sabbia.

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Nelle spiagge miste, sabbia + ghiaia, le punta sono in ghiaia, mentre nei cavi si ritrova la sabbia. In questa immagine si vede come una serie di cuspidi minori si affianchi, lato mare, a una con spaziatura maggiore (foto scattata a Marina di Cecina).

Anche se non è semplice trovare una correlazione fra le caratteristiche delle onde incidenti e la forma delle cuspidi, è evidente che questa cambia al variare delle condizioni meteomarine e, di conseguenza, la lunghezza della linea di riva è diversa da un giorno all’altro: il concessionario sarebbe soggetto alle bizzarrie del tempo.

Come si formano le cuspidi

Come funziona il sistema e come si possa giungere a una sua stabilizzazione, se non cambia lo stato del mare, lo abbiamo capito osservando per qualche minuto il flusso e riflusso delle onde; ma quale è il meccanismo che dà inizio allo sviluppo delle cuspidi? La spiegazione non è semplice, come è dimostrato anche dal fatto che (per il momento) sono due le teorie sviluppate per spiegarne la formazione; teorie che spesso vengono poste in contrapposizione, ma che potrebbero anche associarsi per meglio descrivere quanto avviene in prossimità della riva.

La prima teoria prende in considerazione le “edge waves” (onde di margine) che, a differenza delle onde che vediamo avvicinarsi a riva con le creste parallele alla costa, le hanno ortogonali; in pratica, quando osserviamo il mare dalla spiaggia, ci passano davanti. Sono onde lunghe e molto basse, tanto che è quasi impossibile vederle, e sollevano e abbassano la superficie del mare con una oscillazione che è massima vicino alla battigia e che si annulla rapidamente procedendo verso il largo.

Onda stazionaria con nodi, dove l’ampiezza è zero, e antinodi, dove è massima. Nel caso delle “edge waves” l’ampiezza si riduce da riva verso il largo.

La loro formazione è assai complessa, e si spiega in modo approssimativo con il fatto che le onde riflesse dalla spiaggia, allontanandosene, vengono rifratte, ruotano e tornano indietro: l’interferenza delle onde che hanno lo stesso periodo genera un’onda stazionaria, lunga e bassa, con creste e cavi ortogonali a riva. È su questa superficie debolmente ondulata che viaggiano le onde che noi vediamo, e se abbiamo davanti una cresta della “edge wave”, l’acqua risale maggiormente sulla battigia, mentre nel cavo avviene l’inverso. Lo stesso fenomeno può avvenire con le onde riflesse dai promontori.

Essendo onde stazionarie, i nodi (dove l’ampiezza si annulla) e gli antinodi (dove l’ampiezza è massima) rimangono sempre nella stessa posizione: nei primi si sviluppano i promontori, nei secondi le baie.

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In blu la superficie del mare modellata dalle “edge waves” su di una spiaggia con pendenza regolare: nei punti in cui l’acqua risale maggiormente (*) si formeranno le insenature.

L’altra spiegazione ipotizza una auto-organizzazione del sistema, con i processi che abbiamo appena descritto: la formazione delle cuspidi partirebbe da una qualche irregolarità della spiaggia, che poi si amplificherebbe e si propagherebbe ai settori vicino, fino a stabilizzarsi in un sistema con una spaziatura proporzionale all’ampiezza della risacca.

Anche se nessuno proporrà una tassazione come quella che abbiamo ironicamente ipotizzato all’inizio, il concessionario potrebbe trovarsi comunque a lottare con le cuspidi: dovrebbe disporre gli ombrelloni in file ondulate e cambiarne la disposizione ogni giorno, per averli sempre a cinque metri dalla linea di riva?

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