Cosa succede quando si innalza il livello del mare

Questo articolo fa parte di "Granelli di sabbia"

Divagazioni su processi, forme e tematiche ambientali della spiaggia. Una rubrica a cura del GNRAC.

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Il delta del fiume Ombrone, in Toscana, dove all'innalzamento del livello del mare si somma una forte subsidenza.

Il livello del mare si sta alzando sempre più velocemente e potrebbe presto sfiorare tassi analoghi a quelli toccati quando si stavano sciogliendo le calotte glaciali dopo avere raggiunto la loro massima espansione, circa 18.000 anni fa, che portò a un innalzamento di quasi 130 metri in 12.000 anni. La causa è sempre la stessa: il riscaldamento dell’atmosfera che innesca la fusione dei ghiacci continentali e l’espansione termica dell’acqua marina. Si parla di variazione eustatica (dal greco “eu” che significa “bene, buono”; anche se per noi non è affatto buono!), nel senso che riguarda in modo uguale tutti i mari del mondo, essendo questi collegati fra di loro. Gli addetti ai lavori per una variazione positiva parlano di “sea level rise” (SLR).

Alcuni millenni addietro, dopo timidi tentativi di difesa dei villaggi e dei campi coltivati, le popolazioni costiere dovettero arretrare e la memoria di quel “diluvio universale” è presente nella cultura di diversi popoli, anche se non tutti costruirono barche su cui caricare coppie di animali. Una simile risposta oggi non è possibile, perché sulle coste si è insediata una gran parte della popolazione mondiale e vi sono estese aree agricole, molte strutture produttive e importanti vie di comunicazione. Le coste hanno offerto infatti grandi opportunità per l’insediamento delle attività antropiche, grazie alla loro morfologia, al clima, alla possibilità che offrono per scambi culturali e commerciali e, perché no, per lo sviluppo di attività ricreative. Tutto ciò nonostante siano esposte ad alluvioni da terra e da mare, a eventi ondosi eccezionali e a tsunami, per non parlare degli attacchi delle flotte nemiche e delle incursioni di predoni di vario genere.

Come reagiscono le coste all’innalzamento del mare

La storia degli ultimi millenni ci fa capire che le fasce costiere verranno sommerse, ma anche che la sabbia presente sui fondali, o che costituisce le spiagge e le dune, può venire spinta dal mare che avanza e andare a limitare i danni prodotti da questo fenomeno. Le isole-barriera che orlano la costa atlantica degli Stati Uniti e quella della Germania e dell’Olanda si sono formate proprio così, durante l’ultima risalita eustatica. È comunque evidente che un innalzamento significativo stravolgerà completamente il paesaggio costiero.

E le spiagge spariranno? Nonostante questi processi siano avvenuti molto recentemente e le pianure costiere e le piattaforme continentali siano state oggetto di molti studi, non abbiamo un modello che ci dica con buona approssimazione come reagiranno le nostre coste. Prendere una carta topografica e colorare di blu tutte le aree che hanno una quota inferiore al livello che prevediamo venga raggiunto dal mare in un determinato anno è un esercizio che può attrarre l’attenzione dei media, ma che dimostra quanto ancora limitate siano le nostre conoscenze in questo campo. Proprio in questi giorni, alcuni ricercatori assai autorevoli hanno pubblicamente contestato questo approccio, facendo esplicito riferimento a un lavoro pubblicato sulla rivista Nature Climate Change che afferma che circa il 50% delle spiagge del mondo sparirà prima del 2100.

Ovviamente, le strutture che abbiamo costruito lungo i litorali non consentiranno alla spiaggia e alla duna di arretrare, e in questi casi, se non ci spostiamo, la spiaggia verrà persa, a meno di costosi interventi di difesa e ripascimento. Ma dove il litorale è in condizioni naturali, il sistema arretrerà, anche se non sappiamo esattamente come. Certo è che oggi, dopo un innalzamento del livello del mare di quasi 130 metri, le spiagge esistono ancora, seppur diverse da come erano 18.000 anni fa; e non si vede perché, con un ulteriore sollevamento di uno o due metri, dovrebbero sparire.

Nella mancanza di modelli complessi che descrivano l’evoluzione del profilo della spiaggia in risposta al “sea level rise”, tutti fanno riferimento, pur dubitandone della validità, alla regola proposta da Per Bruun nel 1962, secondo la quale si dovrebbe verificare un innalzamento dei fondali nella fascia in cui i sedimenti sono mossi dalle onde (entro la profondità di chiusura dei profili batimetrici ripetuti negli anni) pari alla variazione eustatica (“regola di Bruun”).

La regola di Bruun: se il livello del mare s’innalza di una certa quantità, si ha un identico sollevamento del fondale con materiali che, in assenza di nuovi apporti sedimentari, vengono erosi dalla spiaggia e dalla duna.

Dato che i nostri fiumi non sono più in grado di rifornire in modo adeguato le spiagge, i sedimenti necessari per tale innalzamento verrebbero presi dalle dune e dal retroterra, determinando un arretramento della linea di riva molto maggiore di quello che non si avrebbe su di un profilo rigido. Se la profondità di chiusura è posta a un chilometro da riva, un innalzamento del livello del mare di 10 centimetri (e dalla metà del 1800 a oggi è stato il doppio!) può essere compensato da 100 metri cubi di sabbia per ogni metro di costa (circa 10 camion!). A parità di esposizione al moto ondoso, le spiagge ripide, nelle quali la profondità di chiusura è più vicina a riva, dovrebbero soffrire meno.

Purtroppo lungo le nostre coste, oltre al “sea level rise” bisogna considerare la subsidenza, dovuta a cause naturali (compattazione di sedimenti deposti di recente) ma anche all’estrazione di acqua nelle pianure costiere e di idrocarburi sulla piattaforma continentale. E la subsidenza, in alcune aree, è stata fino a oggi ben superiore all’innalzamento eustatico. Che avesse ragione Noè?

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