La Regione Lazio avrebbe bocciato l’ipotesi di una rideterminazione della durata delle concessioni balneari fino a un massimo di vent’anni, in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare. Si tratta del cosiddetto "atto formale", legge dello Stato che alcuni imprenditori balneari stanno adoperando come salvagente per tutelarsi dalle eventuali evidenze pubbliche minacciate dall’applicazione della direttiva europea Bolkestein.
Ma secondo Federbalneari, associazione che ha sempre portato avanti la soluzione dell’atto formale, non si tratta affatto di bocciatura: «Il rinnovo non è bocciato – afferma il presidente Renato Papagni – perché la domanda non può qualificarsi come rinnovo e né tantomeno proroga della concessioni; tecnicamente si tratta una domanda proveniente dalle imprese balneari di rideterminazione della durata della concessione sulla quale scelta del titolare dovrà passare necessariamente attraverso meccanismi di evidenza pubblica, in funzione di un programma di investimenti, così come disciplinato dalla legge 296/2006 in combinato disposto con l’art.18 del Regolamento di esecuzione al Codice della navigazione. La differenza sostanziale con gli istituti del rinnovo o della proroga è legata al diverso titolo abilitativo che il concessionario richiede all’Amministrazione, ma Roma Capitale, da tempo, omette di rispondere a tale richiesta».
Secondo quanto riportano i quotidiani locali (fonte), la Regione Lazio, vista la complessità della normativa sull’atto formale, ha ritenuto opportuno richiedere un parere sulla questione alla propria avvocatura. Parere che è arrivato a firma del segretario generale dell’ufficio legislativo Andrea Tardiola, il quale cita una sentenza della Corte costituzionale del 2010 affermando che, rispetto agli investimenti finanziari posti a fondamento della richiesta, «si segnala che la giurisprudenza sembrerebbe avere consolidato il proprio ordinamento secondo il quale non vi è alcun affidamento da tutelare con riguardo alla esigenza di disporre del tempo necessario all’ammortamento delle spese sostenute per ottenere la concessione, perché al momento del rilascio della medesima il concessionario già conosceva l’arco temporale sul quale poteva contare per ammortizzare gli investimenti, e su di esso ha potuto fare affidamento».
La richiesta di “rideterminazione della durata”, prosegue Tardiola, «su una concessione già in essere, costituirebbe una proroga a tutti gli effetti». Che secondo l’avvocato rappresenterebbe una violazione della Costituzione, in quanto in «contrasto con i vincoli derivanti» dall’ordinamento dell’Unione europea «in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza».
In altre parole, rideterminando la durata delle concessioni «si produrrebbe un rinnovo automatico della stessa in grado di determinare una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione del principio di concorrenza». E la giurisprudenza, aggiunge, «non sembrerebbe nemmeno propensa a sostenere una valutazione caso per caso degli investimenti e anche dell’eventuale livello occupazionale interessato dal sistema», in quanto la tutela della concorrenza e l’adeguamento ai principi comunitari, come sancito dalla Corte costituzionale sempre nella sentenza del 2010, sono prevalenti a ogni altro interesse.
Una netta presa di posizione, insomma, che dimostra le larghissime maglie della normativa sull’atto formale, che può essere un salvagente solo se adeguatamente concordato come sta avvenendo in Toscana (vedi notizia).
Ma, come detto, non la pensa allo stesso modo Federbalneari: che ha presentato ricorso e che spiega in un comunicato: «Sono i concessionari che hanno fatto richiesta di evidenza pubblica presentando istanza di rideterminazione del canone, che potrà avvenire attraverso procedura pubblica di gara. La richiesta da parte dei concessionari di Federbalneari, dunque, riprende e non contrasta il diritto comunitario, fornendo una trasposizione delle norme europee verso gli istituti normativi attualmente in vigore che disciplinano le concessioni balneari nel nostro ordinamento. La Regione Lazio, dunque, non considera l’unica disciplina che norma il sistema concessorio, ovvero il Regolamento di esecuzione del Codice della navigazione che nel suo art.18, tuttora in vigore, prevede l’istanza di rideterminazione come forma di evidenza pubblica, rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità imposti dalla Comunità europea. Non è dunque nella natura del concessionario sfuggire a ogni forma di pubblicità. Tale domanda, infine, si trova in linea con i principi di libera concorrenza su cui si ispira l’ordinamento giuridico dell’Unione europea: ciò che infatti propongono i concessionari balneari è proprio una prospettiva di sviluppo, ammodernamento delle aziende e dell’ambiente in cui operano con operazioni di pubblica utilità in cui tutti gli operatori sono chiamati a competere per offrire una migliore offerta territoriale».
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