Sarei un pazzo se non fossi contento del prolungamento delle concessioni balneari al 2033, come pare voglia accusarmi il senatore Maurizio Gasparri nella sua risposta pubblicata da Mondo Balneare al mio articolo uscito nei giorni scorsi sul quotidiano Il Tirreno. Tuttavia ritengo che non esista nessun salvatore degli imprenditori balneari, specie tra coloro che nel 2009 hanno abrogato l’articolo 37 del Codice della navigazione che ci garantiva il diritto di insistenza.
Dopo quella scelta sciagurata, la politica ha saputo darci una proroga al 2015 approvata dal governo Berlusconi, poi spostata al 2020 durante il governo Monti. In seguito, col governo Gentiloni c’è stato l’unico tentativo serio di riforma organica del settore, portato avanti dai deputati Tiziano Arlotti e Sergio Pizzolante e mai arrivato a termine perché parte della categoria si opponeva al disegno di legge, soltanto perché non si assicurava un periodo transitorio di trent’anni. Infine, il primo governo Conte ha varato un’estensione al 2033, fortemente voluta dall’allora ministro del turismo Gian Marco Centinaio, senza mai nemmeno iniziare il riordino delle concessioni demaniali marittime su cui si era formalmente impegnato.
Procedure certe per il rinnovo delle concessioni, riconoscimento del valore commerciale e della professionalità, riordino dei canoni con abrogazione degli Omi: questi sono i tre punti prioritari che occorre affrontare per dare sicurezze agli imprenditori balneari. Fino a oggi, invece, la politica ha saputo mettere solo delle toppe senza mai risolvere il problema. Poi, se bisogna dare delle pagelle a chi ha avuto il merito di farci ottenere delle proroghe, su questo riconosco l’impegno del senatore Gasparri rispetto a un Calenda qualsiasi. Ma mai nessuno ha saputo o voluto affrontare la questione nella sua complessità. Questo volevo far capire con il mio articolo sul Tirreno.
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