La sua opposizione al disegno di legge del governo sulle spiagge è totale, tanto che si è rifiutato persino di proporre modifiche, chiedendone piuttosto lo stralcio e la totale fuoriuscita delle concessioni balneari dall’applicazione della direttiva Bolkestein, che ne imporrebbe le gare. Fabrizio Licordari, presidente di Assobalneari Italia – Federturismo Confindustria, dopo l’approvazione del ddl n. 4302 alla Camera dei deputati ribadisce la ferma contrarietà circa la decisione di istituire le evidenze pubbliche per le spiagge: «Negli ultimi mesi abbiamo lavorato in trincea, senza clamore né pubblicità – rende noto Licordari – per rallentare l’iter del provvedimento affinché mancassero i tempi per la sua approvazione entro la fine di questa legislatura, e abbiamo avuto buoni risultati: considerando che si voleva approvare questo testo prima dell’estate e invece si è arrivati a fine ottobre, questa è la vittoria di una importante battaglia che ora continuerà in Senato».
Al presidente di Assobalneari Italia, che la scorsa estate a causa di suoi impegni di lavoro («di mestiere gestisco in prima persona uno stabilimento balneare») non ha potuto partecipare al nostro ciclo di interviste rivolte ai presidenti di tutte le associazioni di categoria, rivolgiamo ora qualche domanda per capire il suo orientamento sulla riforma del governo.
Fabrizio Licordari, qual è la posizione di Assobalneari Italia in merito al disegno di legge n. 4302 sul riordino delle concessioni demaniali marittime?
«Siamo del tutto contrati ai contenuti di questo provvedimento e auspichiamo che non venga mai approvato in via definitiva. Anzi, per chiarezza nei confronti dei vostri lettori, c’è da fare subito una distinzione: Sib-Confcommercio, Fiba-Confesercenti, Oasi-Confartigianato e Cna Balneatori, pur con diverse posizioni, sono favorevoli a questo disegno di legge, poiché pur proponendo degli emendamenti correttivi, ne accettano comunque il presupposto iniziale, ovvero la certificazione delle evidenze pubbliche. E questo sarebbe il primo provvedimento legislativo in tal senso, dopo decenni di storica amministrazione basata su norme certe dello Stato italiano.
Assobalneari Italia e tutta la filiera turistica appartenente a Confindustria, invece, insieme alle associazioni Itb Italia e Donnedamare, rifiuta completamente questo provvedimento: la nostra unica richiesta è stata infatti quella di abrogarlo in toto, perché riteniamo sia un errore irreparabile accettare le evidenze pubbliche per le imprese italiane».
Perché vi opponete a questo disegno di legge?
«Prima di tutto, attribuire una delega in bianco a pochissime persone (il governo) per decidere delle nostre sorti mi sembra una follia. La materia deve essere affrontata con l’iter di una legge parlamentare. Ma soprattutto, con le evidenze pubbliche si decreta di fatto la fine dell’attuale sistema balneare italiano, legittimando il possibile esproprio di trentamila piccole aziende familiari. Tutto il resto dei contenuti – dal valore commerciale alla professionalità – sono solo metodi per indorare la pillola di quello che in realtà è un piano portato avanti da una specifica area politica per consentire a qualcuno di mettere le mani sulle nostre aziende e godere dei risultati frutto dei sacrifici altrui. Francamente lo ritengo inaccettabile. Abbiamo ricevuto in origine un’area in concessione i cui elementi caratterizzanti erano aria, sabbia e sole, e in decenni di duro lavoro abbiamo costruito un sistema che funziona e che è diventato appetibile per i grandi gruppi economici; e oggi il governo, come se fossimo in un’economia tipica dei paesi dell’est prima del muro di Berlino, sta costruendo un sistema per legalizzare l’esproprio delle nostre imprese. Ma si tratta di un progetto irresponsabile e abbiamo tutte le ragioni dalla nostra parte».
Quali sarebbero tali ragioni?
«Innanzitutto, c’è una grave disparità di trattamento in materia di concorrenza rispetto al resto dell’Unione europea. Siamo infatti l’unico paese che sta mandando le imprese balneari all’evidenza pubblica, lo stesso paese che ha sviluppato un sistema turistico unico al mondo. E oggi che Spagna e Portogallo ce lo stanno copiando con delle normative favorevoli, il nostro governo sciaguratamente lo sta uccidendo. Nella penisola iberica, infatti, sono state istituite proroghe da 30 a 75 anni».
I relatori del disegno di legge, Tiziano Arlotti e Sergio Pizzolante, rispondendo a queste osservazioni hanno sempre sostenuto che le situazioni di Spagna e Portogallo sono diverse rispetto all’Italia…
«Ho più volte ascoltato le argomentazioni dei “relatori alle aste” ed è chiarissimo che non hanno la benché minima volontà di aiutarci, anzi! La loro conoscenza delle leggi spagnola e portoghese in materia di demanio marittimo è molto superficiale e soprattutto strumentale e può essere propinata solo a chi non conosce davvero i testi di legge e soprattutto i regolamenti attuativi di questi. A dimostrazione di quanto affermo, gli stessi uffici legislativi della Camera dei deputati, su richiesta dei componenti delle commissioni VI e X, hanno fornito un’approfondita documentazione sulla normativa di Spagna e Portogallo dalla quale si evince chiaramente che questi due paesi hanno tutelato le loro aziende balneari (vedi notizia, NdR). D’altronde, sia il governo che i parlamentari di maggioranza si rifiutano sistematicamente di approfondire i punti chiave che potrebbero farci fuoriuscire dalla direttiva Bolkestein, proprio perché i loro intenti sono altri. Nel 2013, tra l’altro, Assobalneari Italia ha fondato Efebe (Federazione europea degli stabilimenti balneari) insieme alle associazioni di Spagna, Portogallo e Francia, con cui c’è un continuo scambio di informazioni, quindi parliamo della situazione degli altri paesi con cognizione di causa».
Quindi secondo Assobalneari è possibile che le spiagge oggi siano escluse dall’ambito di applicazione della Bolkestein ed evitino le evidenze pubbliche?
«Assolutamente sì, e la stessa Bolkestein offre delle possibili vie di uscita. Mi riferisco alla scarsità delle risorse, che sulle spiagge italiane non sussiste poiché almeno la metà dei nostri 7375 chilometri di costa non è in concessione e può essere assegnata per costruire nuove imprese prima di mettere a gara quelle esistenti; e ancora al principio dell’interesse transfrontaliero certo e al fatto che siamo concessionari di beni e non di servizi. Dunque non dovremmo rientrare affatto nell’ambito di questa direttiva, ma è evidente che manca la volontà politica di tutelare le nostre aziende, da parte di chi oggi ha la responsabilità di governare l’Italia. È stata indicativa, per non dire ridicola, l’audizione in commissione dell’Agenzia del demanio (vedi notizia, NdR), i cui rappresentanti non sapevano neanche il numero e la superficie delle spiagge assegnate in concessione, i contenziosi e il reale gettito».
Entro marzo si terranno le nuove elezioni politiche a causa della scadenza naturale della legislatura. Al di là dei contenuti del provvedimento, ritiene che il governo possa fare in tempo a esercitare la delega nei pochi mesi che gli rimangono?
«Lo ritengo molto improbabile, e per questo trovo irresponsabile la corsa a cui stiamo assistendo, con l’obiettivo di attribuire delle deleghe a un governo che ha i giorni contati. Tra l’altro il proponente del ddl, cioè l’ex ministro agli affari regionali Enrico Costa, si è anche dimesso, per cui credo che debba essere il prossimo parlamento a occuparsi del futuro delle concessioni balneari italiane. Questo ci potrà consentire, nell’imminente fase pre-elettorale, di confrontarci con tutte le forze politiche al fine di responsabilizzare chi dovrà sedersi sui seggi parlamentari a partire dalla prossima primavera e con l’obiettivo di ottenere degli impegni concreti».
Così non c’è il rischio che i balneari diventino ostaggio della campagna elettorale, con promesse che nessuno sarà in grado di mantenere?
«In realtà è molto facile capire chi predica bene e razzola male. Sono infatti noti i nomi e cognomi di chi finora ha lavorato a favore della nostra categoria e chi invece ha remato in senso opposto. Tutti sono molto bravi a dire che il comparto delle imprese balneari non può essere distrutto, ma poi nella pratica sappiamo chi ci ha garantito prima il rinnovo automatico delle concessioni e poi la proroga fino al 31 dicembre 2020, combattendo allora contro il governo ultra-europeista di Monti. Senza questa proroga, le nostre aziende sarebbero già state facili prede dei primi arrivati. Dall’altra parte, invece, conosciamo bene le parti politiche che vogliono istituire le evidenze pubbliche delle spiagge e che per questo sostengono il disegno di legge del governo».
Cosa pensa della proposta delle associazioni Sib-Confcommercio, Fiba-Confesercenti e Oasi-Confartigianato di inserire nella prossima legge finanziaria i capisaldi del ddl sulle concessioni balneari, al fine di prevenire la possibilità che quest’ultimo non vada in porto (vedi notizia)?
«La logica di questa proposta è chiara e non mi stupisce: Sib, Fiba e Oasi, essendo favorevoli a questo ddl, stanno facendo di tutto per portarlo avanti, chiedendo persino di infilarle in un provvedimento che esulerà dal confronto parlamentare e si ridurrà, come avvenuto in questi ultimi anni, a un voto di fiducia complessivo. Ma questo smaschera la loro posizione, che a mio parere non è più nemmeno condivisa dalla maggior parte dei loro associati – per non parlare dei tanti che sono già usciti da questi sindacati perché in disaccordo con le posizioni dei loro ex dirigenti. La realtà è che tali sigle non riempiono nemmeno più le sale come una volta e ciò dovrebbe portare i loro vertici a un po’ di sana autocritica».
Le accuse dei suoi colleghi contro di lei, invece, riguardano la volontà di portare avanti le idee di una sola parte politica…
«Guardi, ho girato l’Italia a fare riunioni e incontri. Non ho trovato un collega, nemmeno uno, che mi abbia manifestato il desiderio di approvare questo disegno di legge. E il mio compito non è andare a convincere i colleghi delle mie posizioni, bensì al contrario è quello di raccogliere e portare avanti le indicazioni di tutta la mia base associativa. Quello che fa Assobalneari Italia è portare la politica verso le proprie posizioni, e non il contrario. Questo significa ragionare da imprenditori, e per questo guardiamo, com’è normale che sia visto che non siamo masochisti, con più simpatia a chi condivide il nostro pensiero e allo stesso tempo chiediamo al prossimo governo di andare a Bruxelles a contrattare una strada diversa per le imprese balneari, in un momento di debolezza dell’Europa in cui i trattati vengono sistematicamente ignorati dai singoli paesi.
Inoltre, le nostre posizioni sono suffragate da una struttura ben più rappresentativa, quella di Federturismo-Confindustria, grazie alla quale abbiamo costituito una filiera di tutte le imprese legate per vari motivi al demanio marittimo (campeggi, porti turistici, nautica, alberghi, eccetera, vedi notizia) con l’obiettivo di opporci al testo. La nostra è l’unica posizione coerente, e lo dimostra il fatto che, mentre ci opponiamo al ddl del governo, appoggiamo la legge della Regione Liguria che vuole istituire una proroga di trent’anni. Non so invece come possano i miei colleghi sostenere entrambe le proposte, che vanno in direzioni contrarie. È come se tifassero per due squadre avversarie contemporaneamente».
A proposito della legge ligure: essendo la competenza statale, non c’è il rischio che venga impugnata?
Quella della Regione Liguria è una presa di posizione politicamente molto forte, portata avanti dalla sua giunta con l’obiettivo di tentare concretamente di restituire certezze alle imprese liguri e al contempo dare un forte segnale politico al governo, ma anche a tutti gli imprenditori delle altre Regioni. Ricordo che in Liguria sono favorevoli ai provvedimenti anche quelle forze politiche che in parlamento ci stanno mandando all’evidenza pubblica».
In definitiva, qual è l’appello di Assobalneari Italia in questi giorni di discussione del provvedimento?
«Chiediamo responsabilità a tutti i componenti delle forze politiche, in maniera trasversale: i senatori riflettano bene prima di votare questo disegno di legge e pensino alle ricadute che il loro gesto potrebbe avere sulle trentamila imprese balneari italiane e sull’economia che esse producono. Non siate superficiali, ma studiate bene le leggi di Spagna e Portogallo per capire come sia sufficiente la volontà politica per tutelare i propri interessi nazionali. L’Italia non deve essere da meno e non può fare la fine della Grecia, svenduta al migliore offerente. Far rientrare le imprese balneari in una direttiva in cui non c’entrano nulla è un disegno perverso, lo stiamo denunciando da cinque anni, ma siamo inascoltati perché il governo ha altri intenti. Per questo, tutti i balneari devono essere coscienti che il nostro problema si può risolvere solo con la volontà politica di chi sarà al governo con la prossima legislatura, e che dobbiamo essere pronti a ripetere una manifestazione come quella del 2012 a Bologna anche sotto il Senato, quando il testo verrà esaminato per una sua approvazione alla quale noi ci opporremo come abbiamo già fatto alla Camera dei deputati».
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