È stata fissata per il prossimo 24 ottobre l’udienza, davanti alla Corte di cassazione a sezioni unite, in merito al ricorso presentato dal Sib-Confcommercio per annullare le sentenze dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato che hanno disapplicato la proroga delle concessioni balneari al 2033, contenuta nella legge 145/2018, e fissato il termine di scadenza dei titoli vigenti al 31 dicembre 2023.
«Si tratta di sentenze fortemente criticate dal mondo accademico (qualche autorevole giurista l’ha definita persino “inquietante”) e certamente subita dalla parte rilevante della stessa giustizia amministrativa», afferma il presidente del Sib Antonio Capacchione. «È stato detto e ripetuto: il Consiglio di Stato, con queste sentenze in un eccesso di giurisdizione, si è sostituito al legislatore, alla Corte costituzionale e persino alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Era pertanto non solo opportuno, ma financo doveroso la loro impugnativa davanti all’organo giudiziario superiore, costituito dalla Corte di cassazione a sezioni Unite. Lo abbiamo fatto con il convinto patrocinio di autorevoli giuristi come la professoressa Maria Alessandra Sandulli e il professore Romano Vaccarella».
«Con questo ricorso abbiamo impedito che queste decisioni diventassero definitive», prosegue Capacchione. «Lo abbiamo quindi fatto nell’interesse di tutti i balneari italiani, indipendentemente dalla organizzazione in cui si riconoscono, e sono intervenute in giudizio, a sostegno delle nostre ragioni e motivazioni, anche la Regione Abruzzo e Assonat».
Conclude il presidente del Sindacato italiano balneari: «Siamo fiduciosi nell’accoglimento del ricorso, stante la pluralità, fondatezza e gravità dei vizi denunciati. Ciononostante, sappiamo perfettamente che la soluzione della questione balneare non spetta ai giudici, bensì al governo e al parlamento, che hanno il dovere di rivendicare la propria potestà legislativa in merito mettendo in sicurezza il settore. Come chiediamo insistentemente da tempo, ci aspettiamo che ciò avvenga con l’abrogazione della “legge Draghi” (la legge 118/2022 sulla concorrenza, NdR) che, sostanzialmente, ha trascritto quanto deciso dal Consiglio di Stato. Sarebbe grave se ciò non avvenisse.»
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