di Giannicola Ruggieri
Entropia: “La proprietà di tutte le cose di mettersi automaticamente in disordine” (Wikipedia)
Come ogni anno l’appuntamento con il disordine in materia di concessioni balneari coincide con il periodo che va da ottobre a dicembre, facendo breccia timidamente nelle fasi che precedono l’approvazione della legge finanziaria, per poi trasformarsi in vero e proprio caos a dicembre, all’alba del “Decreto Milleproroghe”. Un’onda d’urto alla quale oramai siamo abituati, una turbolenza che pare volersi arrestare e che, invece, si ripete in maniera ciclica ogni anno.
Questa è la dinamica che ha contraddistinto gli ultimi otto anni nel settore del demanio marittimo, soprattutto ove il tema in gioco risulti la “proroga delle concessioni demaniali a uso turistico ricreativo”.
È interessante notare come, sino a dieci anni fa, la dottrina sviluppatasi intorno a questa branca speciale del diritto della Navigazione fosse viva e pulsante. I grandi demanialisti italiani alimentavano il dibattito senza mai sottrarsi al confronto continuo con le problematiche sul tappeto. Oggi, invece, si assiste silenziosamente all’“Aventino” degli esperti, la cui parola ha perso l’eco di un tempo, sommersa il più delle volte dal rumore caotico delle manifestazioni di piazza e della politica.
In verità un tempo, neanche troppo lontano, solo chi aveva intrapreso il percorso accidentato degli studi osava congetturare. Tutti gli altri tacevano. Ora, invece, chiunque si cimenti con il diritto del demanio marittimo, lo fa senza timidezza, senza molti ossequi, attingendo i propri convincimenti dall’informe paccottiglia reperibile nella rete. Una “nuova sapienza” a disposizione di chiunque, e che trova conforto in una politica spesso troppo avida di consensi.
A dire il vero, quest’anno, la distanza delle discussioni in corso dal mondo delle regole è diventata siderale. Negli altri anni ci si limitava, infatti, a qualche isolata distorsione logico-giuridica, come quando si è sostenuto, da parte di qualcuno, la possibilità di sdemanializzare zone di spiaggia occupate da uno stabilimento senza preoccuparsi che, in termini di stretto diritto, ciò significava asserire un “non senso” (!), ossia che la spiaggia potesse misteriosamente perdere la propria funzionalità agli usi pubblici del mare. Una tesi caduta ben presto nel dimenticatoio, assieme a chi l’aveva sostenuta.
Quest’anno verrà invece ricordato come l’anno della competizione a chi osa di più, a chi calpesta con più forza 70 anni di legislazione demaniale, a chi dimentica più velocemente, a chi non sa e preferisce non sapere. In quest’ottica va letto lo sforzo di chi intende far credere che l’Italia in tema di demanio debba trarre esempio dalla Spagna, una nazione che ha introdotto il concetto di demanio marittimo 50 anni dopo di noi, ripercorrendo alla meno peggio la gran parte dei concetti appartenenti al nostro sistema, e che per il ritardo accumulato nel disciplinare l’uso della spiagge si trova oggi a fare i conti con il più risalente principio di proprietà privata sancito dalla Costituzione spagnola, con una serie di problematiche e casistiche che nemmeno lontanamente possono essere assimilate a quelle italiane.
Dall’altre parte si insiste, invece, nella guerra ai principi contenuti nella direttiva Bolkestein, nonostante la stessa sia stata ampiamente recepita dal legislatore con il decreto legislativo n. 59 del 26/03/2010, che ha definitivamente normatizzato il concetto generale di “attività economica soggetta a regime autorizzatorio”, nel quale rientrano pacificamente tutte le attività espletate sul demanio marittimo, senza distinguere tra attività di prestazione beni o servizi. È proprio il decreto a statuire, agli artt. 15 e 16, che nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori risulti limitato dalla scarsità della risorsa naturale, l’Autorità concedente non possa operare in regime di rinnovo automatico, o accordare al prestatore uscente vantaggi in contrasto con principi di trasparenza, eguaglianza, libertà di concorrenza e stabilimento. Principi che, si badi bene, hanno rango costituzionale ancor prima che comunitario!
Animato è anche il dibattito che chiede di applicare la finanziaria del 2007, nella parte in cui prevede una durata sino a 20 anni delle concessioni turistico ricreative, alle concessioni già esistenti, sulla scorta di un piano di investimenti da realizzarsi, dimenticando che nel 2009 questa tesi fu proposta dalla Regione Emilia-Romagna nella nota legge regionale n. 8/09, e cassata alla velocità della luce dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 180/10, nella quale si asserisce, per chi non lo avesse bene inteso, che “la previsione di una proroga dei rapporti concessori in corso, in luogo di una procedura di rinnovo che «apra» il mercato, è del tutto contraddittoria rispetto al fine di tutela della concorrenza e di adeguamento ai principi comunitari”.
Vi è poi chi, sospinto dall’onda emotiva, chiede di tornare alla legge n. 88/01, quella sul rinnovo automatico delle concessioni di sei anni in sei anni. Una norma che è in aperto contrasto con il fondamentale principio di limitatezza temporale della concessione demaniale (art. 36 del Codice della Navigazione: “L’amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo”), e alla quale si deve la responsabilità di gran parte dei problemi di cui oggi si discute, avendo legittimato di fatto la perpetuazione della durata delle concessioni a tempo indeterminato.
Stesse conclusioni valgono per la legge n. 172/03, che ha contribuito ad accrescere il clima d’incomprensione normativa, specificando come il rinnovo automatico dovesse essere applicato alle sole concessioni turistico-ricreative, lasciando fuori la nautica da diporto, la pesca, l’acquacoltura, da quel momento in poi bollate come “figliastre” del legislatore dell’epoca.
La “mostra delle atrocità”, per citare un vecchio e bellissimo libro di J.G. Ballard, continua con la messa al bando del principio della devoluzione ex art. 49 del Codice della Navigazione, antichissima fattispecie giuridica che mima le dinamiche civilistiche dell’accessione.
Infine, ma con menzione d’onore, i sostenitori delle proroghe a pioggia. Da riconoscersi a tutti, indistintamente. Si parla quindi di 20 anni di proroga, ma anche di 25 o 30. Perchè allora non abbondare in generosità e proporre 40 se non addirittura 50 anni? Ovvio che tali discorsi scoraggerebbero anche lo studioso più risoluto, se non ricondotti in un paradigma di razionalità giuridica, l’unico possibile sulla scorta del quale individuare e costruire quei parametri tecnici oggettivi (questi sì suscettibili di proposte) ai quali agganciare la durata della concessione.
Senza un approccio tecnico, è evidente che qualunque dibattito rischia di scadere ad argomento da salotto, con il rischio tangibile di non trovare un interlocutore attento in nessuna sede istituzionale, né nazionale né europea. L’“entropia demaniale”, dunque, rafforza l’ignoranza e distrae dalle soluzioni, possibili solo ove si abbiano il coraggio e la perizia di interrogarsi sulla genesi storica degli istituti giuridici richiamati per agganciarli alle soluzioni tecniche necessarie per salvaguardare migliaia di operatori. Argomenti che certamente non avranno il fascino della proroga a pioggia per 50 anni, ma che per lo meno saranno supportati da un briciolo di diritto.
Ing. Giannicola Ruggieri – Master in Diritto ed Economia del Mare, Master in Diritto Internazionale del Mare (Università della Valletta – Malta), Docente di demanio marittimo per la scuola di formazione per funzionari di P.A. Trevi Formazione, consulente di P.A. in materia di demanio, consulente demaniale per Demaniomarittimo.com
N.B. La prossima settimana sarà pubblicata la seconda parte dell’articolo, che presenterà un’analisi storica e proporrà alcune soluzioni ai problemi qui appena accennati.
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