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Spiagge all’asta o no? Il pasticcio Destinazione Italia

Il piano del governo Letta per attirare investimenti esteri includeva le evidenze pubbliche delle concessioni demaniali. E anche se il riferimento è stato eliminato nel giro di 24 ore, rimangono alcune perplessità.

di Alex Giuzio

accessori spiaggia

Che le spiagge italiane siano il dessert preferito delle grandi multinazionali estere, è cosa nota. Così come sono noti i continui tentativi dei vari governi di istituire le evidenze pubbliche delle concessioni demaniali marittime quasi di soppiatto, infilandole in fretta e furia in un decreto legge, e senza confrontarsi preventivamente con i soggetti interessati. Ma mai era successo, prima d’ora, che uscisse una bozza di legge pronta a mandare le spiagge all’asta, salvo cancellare l’intero capitolo nel giro di 24 ore.

Eppure, una settimana fa è successo anche questo. Il 19 settembre alcune testate nazionali, tra cui Il Sole 24 Ore e RaiNews24, hanno riportato online alcune indiscrezioni sul piano "Destinazione Italia", redatto da alcuni tecnici del governo Letta per attirare investimenti esteri nel nostro paese. Grande rilievo è stato dato alle concessioni balneari, che secondo quanto riportato dai quotidiani sarebbero state fatte oggetto di una maxi liberalizzazione in linea con quanto imposto dalla direttiva europea "Bolkestein". Dopo la proroga al 2020 del governo Monti, l’avvio di nuove gare sarebbe servito, secondo i media, a unire l’ultile al dilettevole: non solo si sarebbe sanata la posizione italiana a Bruxelles evitando nuove multe, ma si sarebbero anche invogliati gli investitori esteri che sulle nostre spiagge hanno da tempo messo gli occhi e la gola.

Tali anticipazioni sono state confermate il giorno dopo su molti quotidiani nazionali. Naturalmente, nessuno ha pensato alla grave ingustizia perpetratat a 28 mila piccoli imprenditori italiani che su quelle stesse concessioni hanno investito notevoli cifre, nonché al pericolo di attirare grandi imprese sulle coste italiane col relativo rischio di omologazione del turismo e distruzione della tipicità. Tantomeno lo ha pensato il premier Letta mentre esibiva orgogliosamente il suo piano durante la conferenza stampa di presentazione.

Immediata è stata la rabbiosa reazione delle associazioni balneari: i sindacati Sib-Confcommercio, Fiba-Confesercenti e Cna Balneatori hanno sottolineato, tramite le parole dei rispettivi presidenti Riccardo Borgo, Vincenzo Lardinelli e Cristiano Tomei, che «pur trattandosi di linee strategiche, affrontare problematiche di tale rilevanza economica e sociale valutandone solo gli aspetti economici – come si fa nel piano Destinazione Italia – è riduttivo e fuori dalla realtà. Tanto più che, tornando a parlare genericamente di gare, si rischia di ricreare un clima irrespirabile al quale non potremo che reagire con durezza e determinazione». Pur ammettendo di conoscere il piano Destinazione Italia solo per sommi capi, i sindacati hanno espresso incredulità per avere saputo di questa decisione a pochi giorni dall’incontro con il sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta, fissato per questo giovedì proprio per discutere la riforma del demanio marittimo (vedi notizia precedente).

I commenti di sdegno sono arrivati, oltre che dai sindacati e dai comitati balneari, anche dall’Anci tramite le parole del delegato al demanio marittimo Luciano Monticelli, da alcuni rappresentati di enti locali e da alcuni politici nazionali. Finché lo stesso Baretta non ha smentito la questione, affermando che «dalla bozza di decreto Destinazione Italia è stato eliminato ogni riferimento ad aste per concessioni demaniali» e rimandando al tavolo tecnico di giovedì per la concertazione con le associazioni di categoria e l’Anci. Le rassicurazioni di Baretta sono state confermate dalla senatrice Manuela Granaiola (Pd), che in seguito a un colloquio col sottosegretario ha dichiarato che «si sta costruendo una sostanziale unità d’intenti intorno alla soluzione delle concessioni demaniali marittime per uso turistico-balneare. Un’unità che è propedeutica a trovare le condizioni per una soluzione ragionevole».

Qualche perplessità tuttavia rimane, sia per il metodo infimo con cui si è tentato di istituire le evidenze pubbliche delle spiagge, sia perché, segnala il vicepresidente del Sindacato italiano balneari Giancarlo Cappelli, «anche se è stata cancellata la definizione “concessioni balneari” e si parla solo di “beni del demanio pubblico”, sotto la voce "Patrimonio demaniale, misura 24" si dice che “i beni del demanio pubblico possono essere valorizzati ulteriormente, aprendo di più alla concorrenza”. Cosa si intende con questo? Rivedere i criteri di assegnazione dei beni e la durata dei contratti, prevedendo gare pubbliche? Vuol dire quello che temiamo noi?».

La costante vigilanza dei balneari e delle loro associazioni è di nuovo riuscita a evitare lo sfacelo di 28 mila piccole imprese senza un confronto preventivo con il governo. Ma gli inghippi continuano a essere dietro l’angolo, e dopo un’estate di sin troppa tranquillità, l’inizio dell’autunno ha fatto capire che si sta per aprire una nuova stagione di lotta.

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