Opinioni

Mario Tozzi, sui balneari sbagli e ti spieghiamo perché

Il noto divulgatore televisivo ha affrontato il tema con una serie di post un po' troppo superficiali, e anche alcune inesattezze a cui rispondiamo

Credevamo che il primo post di Mario Tozzi contro i balneari fosse uno scivolone. Ma poi pare che il geologo e divulgatore televisivo ci abbia preso gusto, continuando ormai da tre giorni a sparare quotidianamente contro la categoria sulla sua pagina Facebook. D’altronde è quasi diventata la moda dell’estate: attaccare i balneari con argomenti falsi e faziosi, che a forza di essere ripetuti sui media – senza purtroppo un’adeguata risposta da parte dei diretti interessati – sono diventati delle credenze popolari («Ripetete le bugie una, due, tre, quattro volte, e vedrete che diventeranno verità», diceva già Machiavelli). E chi è in cerca di visibilità e di like, vince sempre facile quando scrive un post contro i balneari. Chi invece li difende, è sempre in minoranza (talvolta incompreso anche da una parte dei balneari stessi, e lo sappiamo sulla nostra pelle, ma questa è un’altra storia). Se però la disinformazione è ormai purtroppo normale nelle chiacchiere da bar o sui social, non si può invece accettare quando proviene da un autorevole studioso. E perciò vale la pena rispondergli, perché a difendere i balneari ci crediamo davvero, nonostante tutto.

Cominciamo quindi dalla storia ormai vecchia e ampiamente smentita, ma ancora purtroppo radicata, dei “100 milioni di canoni demaniali per 15 miliardi di ricavi”, raccontata in un post di Tozzi: è semplicemente falsa. La cifra sui ricavi proviene da uno studio di Nomisma risalente al lontano 2004 e ripreso ancora oggi in modo errato dai media, poiché era riferito non solo agli stabilimenti balneari in senso stretto, bensì all’intero indotto delle località turistiche costiere (dunque comprendendo anche alberghi, ristoranti e altre attività). In realtà il vero indotto degli stabilimenti balneari, sempre secondo Nomisma, è di 2,1 miliardi di euro e non 15. Certo, la cifra è ancora lontana dagli incassi dei canoni, e qui toccherà ripetere la solita frase che diciamo da tempo: il canone demaniale non è l’unico costo di una concessione balneare. A questo vanno infatti aggiunte altre spese di cui il privato concessionario si fa carico al posto dello Stato, per mantenere la spiaggia pulita e sicura. Attenzione: non si tratta dei normali costi di gestione di qualsiasi impresa, bensì di spese pubbliche previste dal contratto di concessione con lo Stato, che vanno a beneficio della collettività e dei beni comuni.

Nei litorali di Spagna e Grecia che piace tanto citare a Tozzi, la spiaggia viene pulita dalle amministrazioni locali e i bagnini di salvataggio sono dipendenti pubblici, quindi questi costi sono a carico dei contribuenti. In Italia invece ricadono sull’imprenditore privato, che è obbligato a farsene carico per poter avere la spiaggia in concessione. In sostanza, il nostro Stato ha deciso di affidare ai privati la gestione delle spiagge, chiedendo loro di occuparsene a fronte di un canone calmierato e in cambio della possibilità di ottenere un profitto. Si può essere d’accordo o meno con questa impostazione, ma è così che funziona dal secondo dopoguerra (il Codice della navigazione, che ha stabilito tutto questo, è del 1942). E se non si è d’accordo non bisogna prendersela con “i balneari”, bensì con chi ci governa. Poi, certo, nessuno nasconde che i canoni sono comunque generalmente bassi e possono essere senz’altro alzati. Ma anche in questo caso, è lo Stato italiano che non lo ha mai fatto, a fronte della disponibilità più volte espressa da parte delle associazioni di categoria. In definitiva, calcolare la differenza fra costo del canone e fatturato incassato è un discorso superficiale e capzioso, poiché non tiene conto delle altre spese né della situazione storica che giustifica questi canoni. Per chi è interessato ad approfondire tutte le spese di una concessione balneare, rimandiamo a un nostro articolo del 2020 in cui le spieghiamo più nel dettaglio: “Il canone non è l’unico costo sostenuto dagli stabilimenti balneari” (come si vede, chi vuole informarsi bene prima di esprimersi, ha la possibilità di farlo facilmente in rete).

Passiamo a un altro tema più volte ripreso dal noto geologo, quello delle “spiagge che sono di tutti” e che “dovrebbero essere libere”. Nei suoi post, Tozzi sembra trasmettere l’idea che i 7500 chilometri di coste italiane siano tutti in concessione e a pagamento, mentre nel resto d’Europa i litorali siano tutti liberi e gratuiti, ma non è così. Innanzitutto, secondo il “Rapporto Spiagge” di Legambiente, circa il 50% delle spiagge italiane è attualmente non in concessione (e a dirlo è un’associazione ambientalista, non balneare!); e in secondo luogo, non è obbligatorio usufruire dei servizi di uno stabilimento balneare: chi non vuole o non può pagare l’affitto di un ombrellone e lettino, può portarseli da casa propria e piantarli in spiaggia libera, così come per fare il bagno esiste il diritto all’accesso libero e gratuito alla battigia garantito dalla legge 296/2006. Sappiamo però anche che le spiagge libere sono spesso sporche, prive di servizi e pertanto semideserte anche d’estate, mentre gli stabilimenti balneari sono sempre pieni: non sarà mica che i turisti preferiscono la comodità, la pulizia e i servizi?

Ma gli argomenti toccati da Tozzi nei suoi post quotidiani contro i balneari sono molteplici, e le risposte non finiscono qui. C’è per esempio il tema delle strutture di difficile rimozione, anche in questo caso, consentite legittimamente dallo Stato in tempi non sospetti, quando c’era meno sensibilità ambientale (e questo solo nelle regioni dove il turismo balneare di massa è arrivato prima, come Romagna, Veneto, Toscana e Lazio: nelle altre, invece, gli stabilimenti balneari hanno per lo più strutture amovibili che scompaiono a settembre). Perciò prendersela oggi con gli stabilimenti in muratura non ha senso, perché sono conseguenze di scelte urbanistiche fatte ottant’anni fa. Oppure c’è la delicata questione delle gare pubbliche, che si invocano dopo anni di proroghe e rinnovi automatici, ma che rischiano di essere l’ennesima scusa in nome del libero mercato, per permettere ai più forti (ovvero i grandi gruppi economici multinazionali) di impadronirsi dell’ennesimo pezzo di patrimonio pubblico italiano, rendendo la situazione ancora peggiore di prima. Insomma, i tasti toccati da Tozzi sono tanti, e dispiace che un autorevole studioso abbia affrontato l’argomento in un modo così superficiale, cadendo nella trappola divisiva e polarizzatrice dei social. Ma per rimediare, se si vuole, c’è sempre tempo: basta anche solo un altro post su Facebook.

PS. Subito dopo il primo post sui balneari, abbiamo scritto a Tozzi per invitarlo a un confronto pubblico più approfondito sulla questione, ma per il momento non ci ha risposto.

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