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Il canone non è l’unico costo sostenuto dagli stabilimenti balneari

I concessionari di spiagge hanno molte altre spese pubbliche da affrontare, che sono obbligatorie e specifiche di questo settore, e che spesso vanno a beneficio dell'intera collettività. Quando si parla del tema bisognerebbe tenere conto di queste voci, altrimenti si fanno discorsi superficiali.

Molti pensano che i titolari degli stabilimenti balneari italiani paghino solo il canone come onere pubblico per poter gestire la spiaggia che hanno in concessione dallo Stato. La colpa di questa falsa credenza è soprattutto della stampa italiana, che ogni estate pubblica articoli sensazionalistici basati tutti all’incirca su questa affermazione: “Gli stabilimenti balneari pagano canoni molto bassi e fanno guadagni stratosferici“. E per dimostrare l’assunto, si fanno esempi di questo tipo: “Il Bagno Roma paga 2000 euro di canone e guadagna 500 mila euro a stagione“, “Il Bagno Milano paga 1000 euro di canone e un ombrellone costa 1500 euro a stagione“, “Con l’affitto di un solo ombrellone per tre mesi, lo stabilimento si ripaga il costo dell’intero canone annuale“, eccetera eccetera.
I dati citati in questi articoli sono veri, ma vengono accostati in modo capzioso per arrivare a delle conclusioni errate, che inducono l’opinione pubblica a pensare che i titolari di stabilimenti balneari siano una categoria di privilegiati, pagando affitti molto bassi allo Stato per lucrare su un bene pubblico. Ebbene, non è affatto così.

Confrontare il canone demaniale con il fatturato di uno stabilimento balneare è un ragionamento parziale e superficiale. I titolari delle concessioni di spiagge, infatti, pagano il loro “affitto” allo Stato non solo attraverso il canone, bensì con molte altre spese obbligatorie da affrontare per poter mantenere il proprio titolo concessorio. Queste altre spese non vengono mai citate o, peggio, non sono a conoscenza di giornalisti e opinione pubblica. Non si tratta dei normali costi che caratterizzano qualsiasi azienda (tasse, personale, attrezzature, eccetera), bensì di altri oneri pubblici specifici degli stabilimenti balneari, che nessun altro tipo di impresa deve sostenere.

In questo articolo cercheremo di fornire un quadro completo della situazione, per dimostrare che gli stabilimenti balneari hanno voci di costo molto importanti a fronte di fatturati in gran parte modesti: salvo alcune imprese d’eccellenza, quelle sempre citate dai giornalisti per i loro servizi sensazionalistici (i vari Twiga e affini, che però rappresentano solo l’1% del settore), la maggioranza dei circa diecimila stabilimenti balneari italiani è infatti composta da piccole e medie imprese a gestione familiare. Che peraltro non sorgono tutte nelle zone di alta valenza turistica prese sempre come esempio (Versilia, riviera romagnola, Capri, eccetera), ma anche in coste più marginali e con giri d’affari molto più ristretti, che non vengono mai prese in esame perché i paragoni non sarebbero altrettanto d’effetto.

Premessa: lo squilibrio dei canoni

Prima di iniziare, è doverosa una premessa: fino a pochi giorni fa c’era una situazione di grande disparità sui canoni delle concessioni balneari, tra chi pagava cifre molto basse e chi invece ne pagava di molto alte. Ora, invece, il recente “decreto agosto” all’articolo 100 ha per la prima volta introdotto un maggiore equilibrio, aumentando il canone minimo a 2500 euro all’anno (in precedenza era di 362,90 euro) ed eliminando gli elevati canoni Omi calcolati per le circa trecento imprese pertinenziali, a cui erano state applicate cifre di centinaia di migliaia di euro all’anno, che avevano generato molti contenziosi e purtroppo portato diverse imprese al fallimento. Abbiamo illustrato il provvedimento nel dettaglio in questo articolo: “Canoni balneari minimi alzati a 2500 euro: il governo mette più equilibrio nel demanio marittimo“.

Dunque, un primo passo è già stato fatto per aumentare gli introiti statali dai canoni sulle concessioni balneari, che in precedenza ammontavano a 103 milioni di euro all’anno e che ora, grazie a questa misura, saranno di circa 31 milioni di euro in più (la stima è contenuta nella relazione tecnica dell’articolo 100 del “decreto agosto”). È probabile che il governo non si fermerà qui, e una volta terminata l’emergenza sanitaria lavorerà a una riforma organica dei canoni necessaria da tempo per stabilire delle cifre più calmierate a seconda della valenza turistica. Ma per farlo, occorre tenere in considerazione tutti gli altri costi pubblici sostenuti dagli stabilimenti balneari, che andiamo ora a elencare.

Tasse sui rifiuti

I titolari degli stabilimenti balneari pagano delle tasse sui rifiuti molto elevate. L’imposta, infatti, viene calcolata su tutta la superficie della spiaggia in concessione, e per tutto l’anno nonostante si tratti di imprese in prevalenza stagionali. Ciò significa due cose:

  • i titolari di stabilimenti balneari pagano le tasse sui rifiuti anche per l’immondizia prodotta da tutti i clienti che frequentano la spiaggia;
  • i titolari di stabilimenti balneari pagano le tasse anche per i rifiuti portati dal mare, che sono molto ingenti soprattutto durante le mareggiate.

Le tasse sui rifiuti (Tari, Tarsu, eccetera) per gli stabilimenti balneari vanno dai 2000 ai 15000 euro annui, a seconda delle dimensioni dell’area in concessione.

Pulizia della spiaggia

Connessa ai rifiuti c’è la pulizia della spiaggia, che rappresenta un obbligo di legge per i titolari di stabilimenti balneari. Per poter avere una spiaggia in concessione, occorre garantirne la pulizia costante e chi non rispetta tale obbligo rischia la decadenza del titolo (a stabilirlo è il Codice della navigazione, che regolamenta la gestione del demanio marittimo). Questo vale anche quando lo stabilimento è chiuso: quindi, in estate i titolari delle imprese balneari affrontano costi molto importanti per la pulizia quotidiana della spiaggia (tra macchine puliscispiaggia, carburante e ruspe che la mattina all’alba portano via i mucchi di rifiuti, prima che arrivino i turisti), mentre d’inverno è a carico dei concessionari di spiaggia lo smaltimento dell’ingente quantità di materiale che si arena durante le mareggiate. Tale materiale, peraltro, viene trattato come rifiuto speciale – dunque molto costoso da smaltire – in quanto è un gran miscuglio di legna, plastica, metallo e ogni altro tipo di cosa trasportata dalle onde.

È importante sottolineare che la pulizia della spiaggia rappresenta un servizio pubblico che i balneari svolgono al posto dello Stato e a beneficio dell’intera collettività, in un ambiente naturale molto importante e prezioso. Le spiagge, infatti, appartengono al demanio, perciò dovrebbe essere lo Stato (o i Comuni per suo conto) a farsi carico della loro pulizia; invece i tratti di litorale in concessione vengono affidati ai privati anche a fronte della garanzia che il gestore si faccia carico di tenerlo pulito. E i balneari lo fanno egregiamente: basta confrontare il livello di pulizia di una spiaggia in concessione con l’elevata sporcizia che contraddistingue molte spiagge libere, spesso abbandonate a loro stesse, senza che nessuno si occupi di pulirle.

Servizio di salvamento

Oltre alla pulizia, un altro servizio pubblico che i balneari svolgono per la collettività è quello del salvamento. Anche in questo caso, si tratta di un obbligo di legge: per poter avere la spiaggia in concessione, il gestore deve farsi carico anche delle spese per il servizio di salvataggio, che sono molto importanti dal momento che richiedono un personale altamente qualificato (in grado cioè di effettuare il soccorso in mare, la rianimazione e l’utilizzo del defibrillatore). Di nuovo, si tratta di un costo che i balneari sostengono a beneficio dell’intera collettività: se una persona sta annegando, il bagnino di salvataggio le salva la vita a prescindere dal fatto che si tratti del cliente di uno stabilimento balneare oppure del frequentatore di una spiaggia libera adiacente.

Lo stipendio di un marinaio di salvataggio in Italia è in media di 1500 euro al mese, a cui vanno sommati i costi delle attrezzature necessarie (torrette di avvistamento, defibrillatori, imbarcazioni, abbigliamento, attrezzatura varia).

Iva più alta

Pochi sanno che gli stabilimenti balneari sono le uniche imprese turistiche a pagare l’Iva ordinaria al 22%. Tutte le altre (alberghi, campeggi, eccetera) hanno infatti l’aliquota agevolata al 10%.

Imu

I titolari di concessioni balneari lavorano su un suolo pubblico, ma le strutture sono di loro proprietà e pertanto i manufatti sono soggetti al pagamento dell’Imu. Anche in questo caso, si tratta di un costo importante di cui non si tiene mai conto, quando giornalisti e opinione pubblica fanno i conti in tasca ai balneari.

Imposte locali sui canoni

Infine, i canoni degli stabilimenti balneari sono sempre più alti rispetto alle cifre richieste dallo Stato. Alle somme pubblicate sui giornali, infatti, ci sono da aggiungere le imposte regionali e comunali sui canoni, che sono diverse a seconda della località. Per esempio, in Puglia i canoni sono maggiorati del 10%, in Toscana del 25% e in alcuni Comuni della Campania si arriva addiritura al +150%.

Duna invernale e difesa dall’erosione

Questa voce di costo la mettiamo in fondo, perché non rappresenta un obbligo, ma è comunque un costo molto importante di cui si fanno carico i balneari in molte parti d’Italia. Stiamo parlando della duna di sabbia che ogni inverno viene eretta per evitare che le mareggiate danneggino le strutture in riva al mare: si tratta di un’opera che protegge innanzitutto gli stessi stabilimenti balneari, è vero, ma negli ultimi anni – con il fenomeno dell’innalzamento del mare che genera mareggiate sempre più violente – la duna invernale ha funzionato anche come barriera di protezione per gli edifici residenziali, in quanto le onde hanno superato gli stabilimenti per invadere i lungomari. Senza la duna, i danni sarebbero stati più gravi e molti appartamenti o negozi ai piani terra delle località costiere sarebbero stati allagati.

Oltre alla duna, i balneari talvolta si fanno carico parzialmente anche delle opere di ripascimento o di difesa dall’erosione costiera: sono sempre lavori che vanno a beneficio non solo degli stabilimenti, bensì dell’intera collettività. Si tratta di cifre di svariati milioni di euro, trattandosi di opere di edilizia marittima altamente qualificata, solo in parte coperte con fondi pubblici.

Conclusione: lo Stato è il responsabile dei canoni

C’è un’ultima cosa necessaria da ricordare per concludere il discorso. È lo Stato, e non la categoria dei balneari, a decidere ogni anno l’importo dei canoni. Dunque è lo Stato ad avere in mano il potere di alzarli o abbassarli. Anche in questo caso, spesso i giornalisti parlano dei “canoni bassi” come se fosse un privilegio di lobby, mentre in realtà le stesse associazioni di categoria denunciano da tempo la situazione di squilibrio sui canoni, chiedendo un riordino che è parzialmente arrivato solo pochi giorni fa con il “decreto agosto”, come abbiamo sottolineato all’inizio di questo articolo. Ma purtroppo la stampa italiana, quando parla di canoni (e non solo), è solo in grado di trattare l’argomento in modo superficiale o scandalistico. Mentre invece le questioni sono sempre più complesse rispetto a come le percepiamo da quotidiani e tg.


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Alex Giuzio

Caporedattore di Mondo Balneare, dal 2008 è giornalista specializzato in economia turistica e questioni ambientali e normative legate al mare e alle spiagge. Ha pubblicato "La linea fragile", un saggio sui problemi ecologici delle coste italiane (Edizioni dell'Asino, 2022), e ha curato il volume "Critica del turismo" (Grifo Edizioni 2023).
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