di Alex Giuzio
Il concessionario balneare ha il diritto di superficie sugli immobili da lui realizzati sul demanio. È quanto stabilisce una sentenza del Tar Toscana, la numero 328 del 27 febbraio 2015, segnalata dall’avvocato Ettore Nesi che si sta occupando per conto di Cna Balneatori della tutela giuridica delle concessioni demaniali marittime. «La sentenza – spiega Nesi – è frutto di un ricorso effettuato nel 2010», da parte di un concessionario contro il Comune di Isola del Giglio.
Più in dettaglio, la sentenza del Tar Toscana stabilisce che «laddove la concessione demaniale marittima stabilisca di concedere al concessionario il diritto di occupare un’area demaniale marittima allo scopo di mantenere un locale in muratura, viene ad essere costituito in capo al concessionario un diritto reale a immagine del diritto di superficie. Infatti, il diritto di mantenere una costruzione sul suolo altrui è proprio l’oggetto del diritto di superficie, così come delineato dall’art. 952 cod. civ. (“il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al di sopra del suolo una costruzione a favore di altri”), con il risultato che siamo qui in presenza di un atto amministrativo che attribuisce al concessionario il diritto di superficie sugli immobili da questi realizzati sulla superficie demaniale. Ne discende che i suddetti beni sono in proprietà superficiaria del concessionario e non sono quindi di proprietà demaniale, situazione che si è protratta nel tempo, laddove la concessione sia stata successivamente rinnovata senza soluzione di continuità».
La pronuncia del Tar Toscana cambia notevolmente le carte in tavola, proprio nel mese in cui il governo dovrebbe presentare il disegno di legge per la riforma generale del sistema balneare italiano. Secondo quanto stabilisce il Tar, infatti, cadono i principi su cui i tecnici governativi si stanno basando per tentare di assegnare a evidenza pubblica le imprese balneari italiane.
Oltre a ciò, la sentenza ha un diretto effetto sull’incameramento dei beni. Come afferma infatti il Tar Toscana, «la mancanza di proprietà demaniale esclude quindi in radice che si possa parlare di “pertinenze demaniali marittime”, mancando i presupposti di cui all’art. 29 del Codice della Navigazione, che definisce pertinenze del demanio marittimo “le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale”, richiedendo quindi la titolarità della proprietà in capo allo Stato. Ne discende che, nel calcolo del canone demaniale marittimo, l’Autorità concedente non deve tener conto dei beni che sono oggetto del diritto superficiario di cui è titolare il concessionario, non trovando perciò applicazione la disciplina di cui all’art. 1, comma 251, n. 2, riferito appunto alle opere pertinenziali, in luogo di quella di cui all’art. 1 comma 1, n. 1, lett. b) della legge n. 296 del 2006».
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Così commenta Cristiano Tomei, coordinatore Cna Balneatori, che ha diffuso il testo della pronuncia per la massima diffusione: «Si tratta di una storica sentenza che dà ragione ai sindacati, che dal 2007 vanno affermando questi principi, e ai concessionari pertinenziali, che dallo stesso anno stanno tribolando le pene dell’inferno. Adesso vorrei capire se il governo metterà in atto immediati provvedimenti normativi che tengano conto di questa importante sentenza, per non far pagare più canoni demaniali insostenibili e iniqui. Non è possibile che tanti singoli cittadini debbano fare altrettanti ricorsi per affermare un principio di ovvietà, che anche uno scolaro della terza elementare capisce da sé, quando il governo con un semplice rigo di una legge potrebbe ristabilire verità ed equità. Sarebbe sufficiente applicare una legge italiana vigente, per la precisione la 113 del 1983, che dà la possibilità di stabilire un contratto di locazione tra l’ente concedente e il concessionario, in perfetta linea con quanto asserito dai consideranda 14 e 15 della neo direttiva concessioni europea».
Aggiunge Riccardo Borgo, presidente Sib-Confcommercio: «Ancora una volta la giustizia amministrativa dà ragione ai balneari. Infatti, coma già successo con le sentenze del Consiglio di Stato n. 626 e n. 3196 del 2013 e, addirittura, della Cassazione n. 9935 del 2008, è stato ribadito che: 1) sino a quando non viene formalmente incamerato attraverso la specifica procedura prevista dalla legge, il bene è e rimane di proprietà del concessionario che lo ha legittimamente costruito e, di conseguenza, i canoni da applicare devono essere quelli tabellari e non i valori Omi; 2) il Codice della Navigazione dispone l’incameramento dei beni nel momento in cui viene a cessare la concessione, (spirare del rapporto), per cui, visto che le concessioni sono state rinnovate automaticamente e quindi sono tuttora perfettamente vigenti, qualsiasi procedura adottata in tal senso appare illegittima. Tanto pacifico appare ormai il principio che le opere sono di proprietà superficiaria del concessionario, che il Tar Toscana ha condannato il Comune di Isola del Giglio al pagamento delle spese processuali che l’imprenditore ha dovuto sostenere per difendere e far valere i propri diritti. La domanda che ci poniamo è quindi per quale ragione non viene dato seguito generalizzato a una giurisprudenza ormai così consolidata che consentirebbe di risolvere non pochi casi che riguardano l’impossibilità da parte delle imprese di corrispondere canoni insostenibili e che, a causa di ciò, stanno per vedersi revocato il titolo? Quando le sentenze ci sono contrarie, dobbiamo rispettarle immediatamente altrimenti se ne pagano le conseguenze. Quando ci sono favorevoli non succede nulla e le imprese rischiano di morire. Due pesi e due misure inaccettabili. Confidiamo che l’Agenzia del Demanio, finalmente, dia disposizione ai Comuni di applicare la legge in modo corretto e che i Comuni, visto che la materia è di loro competenza e forti della omogeneità delle sentenze, provvedano a emettere ordinativi di introito corretti andando ad attuare le compensazioni che l’errata applicazione fatta in passato rende doverose».
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