Norme e sentenze

Estensione concessioni balneari, i giudici fanno chiarezza su evidenze pubbliche

Interessante sentenza del Tar Friuli sull'ammissibilità dell'impugnazione, da parte di un concessionario, dell'avviso pubblicato dall'amministrazione comunale.

Con la recente sentenza n. 13 del 16 gennaio 2021, la prima sezione del tribunale amministrativo per il Friuli Venezia Giulia (presidente Settesoldi ed estensore Ricci) ha affrontato la questione dell’ammissibilità o meno dell’impugnazione, da parte di un concessionario che abbia avanzato domanda di estensione della durata della propria concessione demaniale marittima a uso turistico ricreativo, dell’avviso mediante il quale l’amministrazione concedente pubblica la domanda stessa.
Oltre che per la soluzione fornita dai giudici amministrativi alla specifica questione (soluzione che, per i motivi che dirò, desta qualche perplessità), il provvedimento giurisdizionale in commento risulta molto interessante, dato che la fattispecie concreta posta al vaglio dei giudici fornisce, a mio parere, uno spunto di rilievo nella più ampia, assai dibattuta e attualissima, questione della legittimità dell’estensione della durata delle concessioni de quibus.

Il caso di specie

In data 16 settembre 2020 la società Sbarco dei Pirati srl, titolare di una concessione demaniale marittima in un’area ricadente nel Comune di Lignano Sabbiadoro, ha presentato alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia domanda per il differimento al 31 dicembre 2033 della data di scadenza della concessione. In applicazione di quanto disposto dall’art. 18 del regolamento di esecuzione del Codice della navigazione, la Regione ha pubblicato un avviso relativo alla domanda presentata dalla società, al dichiarato scopo di consentire a chiunque fosse interessato di presentare le osservazioni che ritenesse opportune a tutela dei propri eventuali diritti e delle eventuali domande concorrenti. Tuttavia la stessa società che aveva presentato domanda di estensione ha impugnato l’avviso di pubblicazione, ritenendolo in contrasto con le disposizioni nazionali che hanno disposto l’estensione quindicennale della durata delle concessioni (art. 1, commi 682 e seguenti, legge n. 145/2018 e art. 100, comma 1, d.l. 14 agosto 2020 n. 104, convertito, con modificazioni, con legge 13 ottobre 2020 n. 126) e con quelle cha hanno, in sostanza, vietato alle amministrazioni concedenti l’attivazione e la prosecuzione dei procedimenti a evidenza pubblica per l’assegnazione o il rilascio delle aree oggetto di concessione (art. 187, comma 2, d.l. 19 maggio 2020 n. 34, convertito, con modificazioni, con legge 17 luglio 2020 n. 77).

La Regione si è difesa in giudizio, sostenendo che il procedimento seguito (la pubblicazione dell’avviso ai sensi dell’art. 18 del regolamento esecutivo del Codice della navigazione) consente di rispettare i principi di trasparenza, di pubblicità e di concorrenza statuiti dalla nota sentenza “Promoimpresa” della Corte di giustizia europea del 14 luglio 2016, nonché dalla legge regionale 18 maggio 2020 n. 8, vigente al momento dell’adozione degli atti regionali (anche se oggetto di impugnazione da parte del governo davanti alla Corte costituzionale). Peraltro, nel corso del giudizio (ovvero prima della pubblicazione della sentenza) la Regione ha approvato la legge regionale 30 dicembre 2020 n. 25, la quale, all’art. 11 comma 4, dispone la proroga sino al 31 dicembre 2021 (ovvero per un solo anno) della durata delle concessioni demaniali marittime in essere al fine di consentire alle amministrazioni concedenti il perfezionamento dei procedimenti amministrativi di competenza nel rispetto della normativa vigente.

La sentenza

I giudici amministrativi triestini hanno dichiarato il ricorso inammissibile per carenza di interesse, evidenziando come la circostanza che l’avviso di pubblicazione impugnato fosse finalizzato esclusivamente a verificare la sussistenza di eventuali diverse posizioni soggettive (rispetto a quella della società concessionaria ricorrente) con riferimento allo stesso bene demaniale rendesse inidoneo a ledere la posizione giuridica della società ricorrente.

Tale avviso costituisce, in altri termini, soltanto un atto prodromico a ulteriori, ma soltanto eventuali, determinazioni dell’amministrazione concedente, che potrebbero originare dalle istanze presentate da soggetti terzi: l’assunto è confermato dal fatto che nello stesso avviso è espressamente precisato che, una volta trascorso il termine fissato, la Regione darà ulteriore corso al procedimento amministrativo, eventualmente disponendo una procedura selettiva tra i soli soggetti che presentino istanza concorrente.

Da tutto quanto sopra, a giudizio del Tar di Trieste discende che dalla pubblicazione dell’avviso di una domanda di estensione non deriva necessariamente un impedimento all’estensione della concessione a favore della società (nella specie anche ricorrente), dal momento che da un lato potrebbero mancare domande concorrenti da parte di terzi (e, quindi, mancare del tutto una procedura selettiva) e, dall’altro, che comunque l’eventuale procedura selettiva potrebbe concludersi con il mantenimento del rapporto concessorio in capo all’attuale titolare.

L’arresto giurisprudenziale in commento conclude che «allo stato, dunque, il pregiudizio lamentato appare del tutto ipotetico, dipendendo da un’ulteriore attività amministrativa il cui esito non è ovviamente preventivabile, né attualmente sindacabile».

Il commento

La decisione di rito adottata dai giudici amministrativi (ovvero l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse) lascia, a mio giudizio, ampi margini di opinabilità. Per semplificare, si può sintetizzare l’assunto dei giudici triestini nell’affermazione secondo la quale non vi sarebbe interesse a impugnare un provvedimento amministrativo quando la lesione che da esso si fa discendere sia soltanto potenziale, eventuale e indiretta (e non concreta, attuale e diretta).

Pur con le più ampie riserve dovute alla mancata conoscenza di tutti gli atti e documenti di causa, ritengo che tale conclusione, in astratto certamente inopinabile, non sia corretta nel caso di specie1. Dalla lettura della sentenza, infatti, appare evidente che la doglianza mossa dalla società ricorrente (relativa all’asserita illegittimità della pubblicazione dell’avviso riguardante la sua domanda di estensione) si fonda sull’assunto del carattere automatico e ope legis dell’estensione della durata del titolo concessorio e sul fatto che, per l’effetto, tale estensione costituisce per l’attuale concessionario un vero e proprio diritto, soggetto unicamente alla previa verifica della persistenza in capo a sé dei requisiti soggettivi e oggettivi per la valida costituzione di un rapporto concessorio con l’amministrazione concedente, ma non subordinato a un procedimento che, anche solo potenzialmente, potrebbe sfociare in una selezione pubblica (cioè aperta a terzi).

Dati questi presupposti di fatto, risulta allora decisivo – a mio parere – il consolidato e autorevole orientamento giurisprudenziale secondo il quale «di fronte alla scelta di affidare il contratto mediante una procedura ad evidenza pubblica, viene immediatamente pregiudicato l’interesse ad una proroga del precedente rapporto, per cui il precedente titolare è posto nell’alternativa di partecipare alla nuova gara o appunto di impugnare quest’ultima (Cons. Stato, V, 27 marzo 2019, n. 2020)»2.

In altri termini, il soggetto che ritiene di avere diritto a una proroga del rapporto che ha in essere con l’amministrazione è certamente e immediatamente leso dalla decisione della stessa di procedere, alla scadenza, a una nuova assegnazione mediante una procedura selettiva pubblica (anche se, ovviamente, il concessionario uscente ben potrà parteciparvi e, partecipandovi, risultare addirittura vincitore) ovvero di seguire un procedimento, comunque, difforme da quello ritenuto valido e corretto dall’interessato. La lesione lamentata dal concessionario non è, quindi, tanto quella potenziale e ipotetica di poter “perdere” il contratto a seguito della selezione (o di doverlo “riconquistare” per mezzo di essa), quanto quella di non vedersi riconosciuto il proprio diritto (rectius, quello che ritiene essere un proprio diritto) all’estensione “automatica o per legge” della durata del rapporto, a causa di un iter procedimentale evidentemente in contrasto con tale carattere di automaticità.

Allora, se così è, ritengo francamente che non possano sussistere legittimi dubbi circa il fatto che tale ultimo pregiudizio sia assolutamente concreto, attuale e diretto. Con la conseguenza che il soggetto che di quello specifico diritto domanda tutela giurisdizionale è certamente portatore di un interesse al ricorso e alla decisione dello stesso.

Vi è di più. Quel concessionario non soltanto ha interesse a impugnare la decisione assunta dalla pubblica amministrazione in asserita violazione della posizione giuridica soggettiva detta, ma vi è addirittura immediatamente tenuto: «Sussiste, pertanto, l’obbligo di immediata impugnazione del bando di gara, in applicazione dei consolidati principi della giurisprudenza, secondo cui la contestazione dell’indizione della gara per l’affidamento in concessione di un bene o di un servizio costituisce una delle tassative ipotesi di immediata lesività del bando di gara che deve essere impugnato nel termine di trenta giorni (Cons. di Stato, V, 27 marzo 2019, n. 2020; Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4)»3.

Né le suesposte conclusioni sono, secondo me, superabili con l’assunto che nel caso di specie la procedura selettiva sarebbe soltanto ipotetica ed eventuale ovvero subordinata alla presentazione di domande concorrenti, se è vero, come appare vero, che l’avviso impugnato è stato dichiaratamente pubblicato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 18 del regolamento attuativo del Codice della navigazione. È infatti incontestabile che il procedimento disegnato dalla rammentata normativa delinea una procedura selettiva che prende avvio proprio dalla pubblicazione dell’avviso e che, in caso di domande concorrenti, si innesta nello stesso procedimento, costituendone soltanto una delle possibili ipotesi definitorie.

L’assunto pare confermato anche dalla circostanza che la stessa amministrazione regionale resistente abbia, come detto, espressamente specificato nell’avviso stesso che, una volta decorso il termine fissato per la presentazione di eventuali domande concorrenti, essa darà ulteriore corso a quello stesso procedimento (e non a un procedimento nuovo, diverso e autonomo) mediante una selezione pubblica tra i soli “pretendenti”. In altri termini, la decisione di esperire una procedura selettiva pubblica in caso di più domande concorrenti è già stata definitivamente assunta dall’amministrazione concedente e, quindi, essa è autonomamente impugnabile, anzi, essa deve essere immediatamente impugnata. La necessità dell’impugnazione immediata degli atti laddove si contesti, come nella specie, la possibilità stessa della pubblica amministrazione di indire una gara è ulteriormente confermata dalla considerazione che un autorevole indirizzo giurisprudenziale ritiene inammissibile il ricorso avverso gli ulteriori atti della procedura in mancanza di tempestiva impugnazione del bando4.

Senza dilungarmi ulteriormente su tale (pur interessante) questione, per così dire, prettamente processuale, credo sia invece opportuno rimarcare adeguatamente come la pronuncia in rassegna assuma rilievo anche per altri profili. Essa è infatti rilevante, in primo luogo, per il fatto di decidere una fattispecie in tutto identica a quella che si è presentata o si sta presentando per diverse altre amministrazioni concedenti. Risulta infatti che, oltre al Comune di Lignano Sabbiadoro, diversi altri Comuni che hanno formalizzato l’estensione quindicennale della durata delle concessioni marittime abbiano previamente provveduto alla pubblicazione di un avviso delle relative domande (o “dichiarazioni o manifestazioni di interesse all’estensione”): cito, ma a solo titolo esemplificativo, il Comune di Follonica.

Di interesse ancora maggiore appare, poi, il rilievo che la sentenza si pone all’interno di quel filone giurisprudenziale che sancisce un principio che potrebbe risultare fondamentale e decisivo per la risoluzione della dibattuta e attuale questione della compatibilità o meno dell’estensione quindicennale con i principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza sanciti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 14 luglio 2016. Mi riferisco, per la precisione, all’indirizzo secondo il quale l’obbligo di pubblicità e di trasparenza delle procedure di rilascio e/o di rinnovo delle concessioni marittime (e, per l’effetto, il principio della libera concorrenza) risulterebbero soddisfatti non necessariamente con il ricorso alle (e l’applicazione delle) norme e regole dei contratti pubblici (e, in particolare, al Codice dei contratti di cui al d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 e s.m.i.), ma anche mediante l’attuazione delle previsioni speciali contenute nel Codice della navigazione (art. 37) e nel suo regolamento di attuazione (art. 18). Come noto, infatti, in una vicenda per certi aspetti analoga a quella che ha portato alla sentenza qui in commento e che aveva coinvolto il Comune di Piombino, la quinta sezione del Consiglio di Stato (presidente Franconiero, estensore Bottiglieri) con sentenza n. 7837 del 9 dicembre 2020, nel richiamare alcuni fondamentali precedenti, ha ribadito che «non sussiste un obbligo di legge di procedere all’affidamento delle concessioni demaniali marittime nelle forme tipiche della procedura ad evidenza pubblica prevista per i contratti d’appalto della pubblica amministrazione, e che l’applicabilità del principio della previa definizione dei criteri di valutazione delle offerte alla stessa materia, perché avente ad oggetto beni demaniali economicamente contendibili (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2013, n. 5), va valutata alla luce della norma speciale di cui all’art. 37 del Codice della navigazione, che non la prevede»5.

La ragione dell’assenza di un obbligo per la pubblica amministrazione di indire una tipica procedura a evidenza pubblica, ha aggiunto il massimo giudice amministrativo, «risiede nella fondamentale circostanza che l’art. 37 del Codice della navigazione contempla l’ipotesi di una domanda che perviene dal mercato privato, al contrario dell’ipotesi tipica dei contratti pubblici, in cui è invece l’amministrazione a rivolgersi a quest’ultimo. In altri termini, la concomitanza di domande di concessione prevista dall’art. 37 determina già di per sé una situazione concorrenziale che preesiste alla volontà dell’amministrazione di stipulare un contratto e […] pertanto non richiede le formalità proprie dell’evidenza pubblica, sicché la fissazione dei criteri in questo caso non assolverebbe alla sua funzione tipica di assicurare un confronto competitivo leale, perché verrebbe fatta quando le proposte di affidamento sono già state presentate»6.

I giudici di Palazzo Spada, pertanto, hanno espressamente inteso dare continuità all’indirizzo già espresso, sempre in materia di concessioni demaniali marittime, secondo il quale gli obblighi di trasparenza, imparzialità e rispetto della par condicio imposti all’amministrazione, anche a livello europeo, sono soddisfatti da un efficace ed effettivo meccanismo pubblicitario preventivo sulle concessioni in scadenza, in vista del loro rinnovo in favore del miglior offerente, e ciò all’evidente fine di stimolare il confronto concorrenziale tra più aspiranti; nonché da più consistenti oneri istruttori in ambito procedimentale e motivazionali in sede di provvedimento finale, oneri perciò tali da rivelare tutti gli adempimenti compiuti dall’amministrazione concedente per assicurare l’effettività del confronto delle istanze concorrenti (ivi compresi i preventivi adempimenti pubblicitari) e da far emergere chiaramente i motivi concreti e reali della scelta operata in favore di un soggetto, sempre in applicazione del criterio guida della più proficua utilizzazione del bene per finalità di pubblico interesse, di cui all’art. 37, comma 2 del Codice della navigazione7.

Facendo applicazione di tali principi, i giudici amministrativi di secondo grado hanno avuto modo di chiarire che il procedimento delineato dall’avviso pubblicato dal Comune di Piombino era del tutto legittimo e conforme al procedimento disegnato dagli articoli 37 del Codice della navigazione e 18 del suo regolamento attuativo, essendosi limitato ad ammettere la presentazione di domande private per il rilascio della concessione marittima, senza peraltro imporne la contestualità o la presentazione entro un determinato termine, che è stato fissato soltanto per la presentazione di osservazioni, opposizioni o domande concorrenti (trenta giorni successivi alla pubblicazione della prima domanda), al fine specifico di consentire la definizione del relativo procedimento in tempi adeguati e senza predisporre il benché minimo schema gestionale: per tutte queste ragioni l’avviso pubblicato viene a costituire un mero atto propulsivo, il quale, fatta eccezione per aspetti minimali relativi ai requisiti soggettivi dei richiedenti e per aspetti oggettivi direttamente conseguenti alla natura del bene demaniale (proficua utilizzazione anche in vista dell’interesse pubblico), «non orienta né conforma la platea dei partecipanti e le proposte di gestione. Con l’effetto di lasciare al mercato una libertà di adesione all’avviso che è estranea alla fattispecie in cui è l’amministrazione che a esso si rivolge, fissando con il bando le modalità di partecipazione sotto ogni aspetto, anche temporale, nonché la specifica utilità che si intende ottenere»8.

Esclusivamente per ragioni di sintesi, mi limito in questa sede a richiamare da un lato alcuni contributi del sottoscritto pubblicati in questa rivista sui diversi motivi che potrebbero addursi a sostegno della legittimità delle normative statali che hanno disposto l’estensione al 1° gennaio 2034 della validità delle concessioni marittime e, quindi, l’inesistenza di contrasto tra quelle previsioni e i principi di derivazione eurounitaria; e, dall’altro, le autorevoli statuizioni contenute in diverse sentenze del Tar Puglia in relazione alla non diretta applicabilità nella materia della direttiva Bolkestein, in quanto non contenente disposizioni puntuali e dettagliate, e al conseguente obbligo per le pubbliche amministrazioni di applicare le previsioni nazionali, ad evitare un vero e proprio vuoto normativo della disciplina9.

Ritengo, invece, opportuno rimarcare in conclusione come le amministrazioni concedenti che, nel procedimento di formalizzazione dell’estensione delle concessioni, hanno previsto e concretamente attuato la pubblicazione dell’avviso contenente le relative domande godranno, appunto, di un argomento ulteriore. Esse potranno, in sintesi, sostenere di avere comunque rispettato i principi di pubblicità, trasparenza e concorrenza previsti dalle uniche disposizioni normative applicabili alla materia, in quanto speciali: il Codice della navigazione e il suo regolamento di attuazione.

Note

1. Poiché il principio è assolutamente pacifico in giurisprudenza, ci si limita a richiamare Cons. St., Sez. V, 17 aprile 2020 n. 2464, secondo il quale nel processo amministrativo l’interesse al ricorso «sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende a un provvedimento del giudice idoneo, se favorevole a rimuovere quella lesione […] Il ricorrente, proponendo ricorso in primo grado, aspira al vantaggio pratico e concreto che può ottenere dall’accoglimento dell’impugnativa, dovendosi postulare che l’atto censurato abbia prodotto in via diretta una lesione attuale della posizione giuridica sostanziale dedotta in giudizio; la lesione da cui deriva, ex art. 100 c.p.c., l’interesse a ricorrere deve costituire una conseguenza immediata e diretta del provvedimento dell’Amministrazione e dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, e deve persistere al momento della decisione del ricorso».

2. Così, alla lettera, Cons. St., sez. V, 28 maggio 2020 n. 3364.

3. Cons. St., n. 3364/2020, cit. Il principio è affermato, ex multis, anche da Cons. St., sez. V, 25 novembre 2019 n. 8014; Tar Campania, Napoli, sez. V, 23 settembre 2019 n. 4534; Tar Lazio, Roma, sez. I, 4 ottobre 2017 n. 489.

4. Tra le tante si ritiene opportuno rammentare per chiarezza e completezza T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 12 dicembre 2019 n. 2190: «Nel caso in cui il ricorrente contesti non l’esito della gara, ma la possibilità stessa della gara, il rapporto tra gli atti di indizione della gara ritualmente impugnati e l’aggiudicazione definitiva si pone nel senso di un rapporto di consequenzialità immediata, diretta e necessaria; in sostanza l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono da compiere nuove e ulteriori valutazioni discrezionali in merito alla scelta di affidare il servizio mediante gara pubblica con la conseguenza che, da un lato, l’immediata lesività del bando ne impone l’altrettanto immediata impugnazione, precludendo la sua omissione il gravame avverso gli ulteriori atti della procedura; dall’altro, non occorre impugnare gli atti di aggiudicazione soltanto ove siano impugnati quelli di indizione del procedimento di gara, in quanto l’annullamento del bando di gara travolge il provvedimento di aggiudicazione, sicché la mancata impugnazione di quest’ultima non determina l’improcedibilità del ricorso». Nello stesso senso cfr. Cons. St., sez. V, 22 ottobre 2018 n. 6025 e Tar Puglia, Bari, sez. I, 8 marzo 2018 n. 319.

5. Così, alla lettera, già Cons. St., sez. V, 16 febbraio 2017 n. 688.

6. Cons. St., n. 688/2017, cit.

7. Cfr. Cons. St., sez. VI, 26 giugno 2009 n. 5765.

8. Cons. St., n. 7837/2020, cit.

9. Tar Puglia, Lecce, sez. I, 27 novembre 2020 nn. 1321, 1322 e 1341; Tar Puglia, Lecce, Sez. I, 15 gennaio 2021, nn. 71, 72, 73, 74 e 75.

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Carlo Lenzetti

Avvocato e docente a contratto di diritto amministrativo presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Pisa.