Quest’anno il governo italiano ha varato un disegno di legge per il riordino delle concessioni demaniali marittime. Come giudica nel complesso i contenuti della proposta? Quali sono i punti positivi e quali i negativi?
«Sin da quando è stato presentato il ddl, come Itb Italia abbiamo bocciato in toto la proposta del governo; tant’è che da subito lo abbiamo ribattezzato “Disegno Distruttivo Legalizzato”. Innanzitutto abbiamo contestato il metodo utilizzato: una riforma così importante non può essere delegata al governo, rinunciando al dibattito e al confronto parlamentare, e limitandosi a sentire soltanto un sindaco di città costiera (guarda un po’ favorevole alle aste), ignorando completamente la posizione di centinaia di altri sindaci contrari a questo provvedimento. E poi, non possiamo accettare di andare all’asta come se fossimo delle aziende fallite. Le nostre imprese sono sane e come tali vanno trattate. Per non parlare di quegli aspetti come la valorizzazione della professionalità acquisita, il valore commerciale e degli investimenti, il periodo transitorio, che sono già stati bocciati dalla dott.ssa Lowri Evans nell’incontro con il sottosegretario Sandro Gozi un anno fa a Bruxelles, e che ci vengono riproposti a mò di “specchietto per le allodole” che sa tanto di presa in giro… Per questo ci siamo sempre augurati e ci auguriamo che questo disegno di legge venga definitivamente abbandonato».
Due sembrano gli ostacoli principali all’approvazione del disegno di legge: le tempistiche strette e le recenti dimissioni da ministro di Enrico Costa, propositore del testo. A suo parere, quanto sono concrete le possibilità che questa riforma vada definitivamente in porto?
«Se una legge, un provvedimento, una direttiva mette in difficoltà 28.000 imprese e centinaia di migliaia di famiglie, un politico ha il dovere di cancellarla. Altrimenti l’unica alternativa è quella di andarsene e lasciare che siano altri a occuparsene.
Sembra quasi che ci sia una maledizione che si abbatte su chi si occupa della riforma balneare: Costa, Barracciu, Lanzetta… Anche a livello locale, molte amministrazioni che anziché difendere la piccola e micro impresa familiare si sono messe contro i balneari, preferendo altri e forti interessi, sono state mandate a casa. Forse questa voce è arrivata anche nelle stanze che contano a Roma, e a settembre inizierà la lunga campagna elettorale in vista delle elezioni del 2018… Quindi, se nei prossimi due-tre mesi i balneari rimarranno uniti senza cedere a promesse e lusinghe, allora la partita sarà rinviata alla prossima legislatura. Sperando che chi verrà eletto abbia più chiaro il problema e il concetto di salvaguardia dell’impresa familiare».
L’instabilità degli ultimi governi italiani è forse una delle principali cause che hanno impedito il varo di una riforma per le concessioni balneari. Il settore dovrà continuare a fare i conti con dei mutamenti politici che continuano a predominare rispetto al senso di responsabilità per garantire una situazione stabile e duratura al Paese?
«Non ci venite a parlare di instabilità. La causa principale è l’incapacità di chi ha governato in questi anni. Basta vedere come, per salvare le banche, ci hanno messo appena un paio di settimane. Quindi è un problema di volontà e capacità. Finché a occuparsi del turismo balneare ci saranno personaggi che nulla sanno del nostro settore, messi lì solo in base ad accordi e interessi di partito, e che non riescono nemmeno a capire le proposte alternative che in questi anni abbiamo loro presentato, ritorneremo sempre “punto e a capo” come nel gioco dell’oca. Basta vedere cosa è successo nelle località dove grande è stata l’influenza di chi vuole mandarci alle aste: lì gli stabilimenti sono ancora fermi agli anni ’70, mentre in molte altre località, grazie ad amministrazioni che hanno creduto e dato fiducia agli imprenditori balneari, ci sono stati investimenti che hanno permesso di rinnovare l’offerta turistico-balneare».
Ipotizziamo che la riforma non vada in porto: cosa succederà dopo? Qual è il possibile scenario che i balneari potrebbero affrontare con un nuovo governo e in assenza di una legge?
«Le leggi che regolavano il settore c’erano: l’art. 37 del Codice della navigazione e l’art. 10 della legge 88/2001, che davano certezza e continuità al settore. Ma sono state cancellate per spalleggiare un progetto criminoso nei nostri confronti e favorire lobby e multinazionali che vogliono mettere le mani sulle nostre imprese. Lo abbiamo potuto constatare personalmente quando siamo stati a Bruxelles, dove c’è un esercito di lobbisti che giornalmente lavora al fianco della politica e al quale molti politici, amministratori, e purtroppo anche qualche rappresentante di categoria, si sono piegati.
Comunque, qualche legge da cui ripartire c’è ancora. C’è l’articolo 7 comma 1 della legge 135/2001, che dice che siamo imprenditori e come tali dobbiamo essere rispettati e trattati. Ci sono le varie sentenze che ci dicono chiaramente che come imprese abbiamo i nostri diritti acquisiti e che non possono togliercele. E poi c’è la legge 125/2015 che prevede la revisione, da parte delle Regioni, della linea demaniale.
Un discorso a parte va fatto per la questione dei canoni. Avere inserito questo tema nel ddl è stata una mossa vergognosa, un ricatto, un subdolo stratagemma per cercare di dividere la categoria. Il problema va risolto, e può essere risolto immediatamente, attraverso un provvedimento “ad hoc” che parta però da tre punti fermi: 1) fare dei controlli capillari per vedere se e quanti fanno i furbetti evadendo; 2) considerare che, oltre al normale canone, i balneari pagano anche i cosiddetti oneri concessori e altri balzelli, come il salvataggio, la pulizia delle spiagge e l’ordine pubblico; 3) che non si deve penalizzare tutta la categoria, facendo un unico calderone».
Le problematiche del settore balneare sono gravi, ma secondo le statistiche, la stagione estiva sta andando bene grazie alle presenze in aumento. Questo dimostra che il comparto ha ancora ottimi margini di crescita (e ci sono ancora ampie porzioni di litorale su cui aprire nuovi stabilimenti). Come è possibile sfruttare questo exploit a proprio favore?
«Come insegna Trilussa, occorre andarci piano con la statistica: se è vero che a livello nazionale si registra un aumento delle presenze, in diverse regioni e luoghi come quelli vicini alle zone colpite dal terremoto del 2016, la situazione è tutt’altro che positiva. E bisogna anche distingue tra il weekend e il resto della settimana. Ma a parte questo, dobbiamo essere onesti fino in fondo e dire che il motivo principale di questo aumento delle presenze è legato alle questioni internazionali e al bel tempo: gli attentati terroristici che hanno colpito l’Europa, e più in generale l’instabilità politica degli altri paesi del Mediterraneo, in questi ultimi anni hanno spinto sempre più turisti verso il nostro paese, attirati anche dalle condizioni climatiche favorevoli. Noi siamo stati bravi a farci trovare pronti e preparati, ma avremmo potuto fare molto più se avessimo potuto investire, avendo certezze giuridiche e possibilità di farlo attraverso i piani di spiaggia. Grazie alla nostra professionalità acquisita con gli anni, il lavoro e la conoscenza, siamo perfettamente capaci di intercettare, accogliere e fidelizzare i nuovi flussi turistici e con la legittima continuità d’impresa saremmo capaci anche di creare nuova occupazione diretta e in tutto l’indotto. E senza più sperare nelle disgrazie altrui. Sono anni che lo andiamo ripetendo: l’Italia è stata per anni leader mondiale nel settore balneare, abbiamo fatto scuola e dall’estero venivano qui per imparare come si faceva accoglienza. Se vogliamo tornare a primeggiare, non dobbiamo guardare a quello che fanno gli altri (Spagna, Portogallo, Francia), che sono ancora anni e anni indietro. Ci sono migliaia di chilometri di costa ancora disponibili per nuove attività (così la smetteranno con la scusa di dire che siamo contro la concorrenza), ma occorre che i Comuni e le Regioni pianifichino attentamente lo sviluppo di quei litorali, evitando speculazioni e malaffare, che inevitabilmente si ripercuoterebbero negativamente su tutta la categoria».
A ottobre tutto il settore balneare si ritroverà, come da tradizione, al SUN di Rimini per fare il punto della situazione, ma il clima sia tra gli imprenditori che tra gli espositori (questi ultimi i più penalizzati dalla situazione) è piuttosto teso e diviso. Si sente di lanciare un messaggio per arrivare a questo appuntamento con positività e senso di unità?
«In questi ultimi dieci anni abbiamo visto il SUN ridursi sempre di più, sia in termini di presenze che di offerta espositiva, ma pare che a certi politici locali, che a livello nazionale si occupano della questione balneare, non sembra che importi più di tanto. E questo la dice lunga sulla loro lungimiranza…
Come associazione di categoria, l’Itb Italia sarà presente, come ogni anno, al SUN con un proprio stand dove poter avere, in maniera completa, tutte le informazioni sui servizi che l’associazione offre ai suoi tesserati e i documenti ufficiali relativi alle proposte presentate e agli incontri che abbiamo avuto in questi mesi. Spiegheremo quali sono le nostre posizioni, dalla sdemanializzazione al diritto di superficie con possibilità di riscatto, alle altre modalità di esclusione del settore dall’applicazione della direttiva Bolkestein, elaborate in questi anni dai nostri tecnici, avvocati ed esperti. Inoltre noi mettiamo a disposizione di tutti i balneari “liberi e indipendenti” il nostro convegno che si terrà in quei giorni, per dimostrare a quanti pensano che la categoria sia addormentata e supina al volere altrui, che gli imprenditori turistici balneari non hanno intenzione di mollare la presa. In attesa di un riscatto da parte della buona politica e fiduciosi di essere in pieno diritto, dobbiamo continuare sulla strada iniziata a febbraio alla fiera Balnearia, proseguita a marzo in Piazza Montecitorio e a maggio a Riccione, quando abbiamo dato prova che la mobilitazione può e deve partire dal basso e da tutti».
intervista a cura di Alex Giuzio
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