di Giannicola Ruggieri
Ha fatto discutere, nei giorni scorsi, il parere dell’avvocato Maciej Szpunar sulla nota questione di legittimità della proroga delle concessioni turistico-ricreative al 31 dicembre 2020 (vedi notizia, NdR). Tutti gli addetti ai lavori comprendono come l’analisi dell’avvocato generale assuma i chiari contorni di un anticipo di sentenza e, quindi, anche se ha gettato la categoria nello sconforto, in realtà offre al comparto balneare qualche mese in più per uscire dall’impasse.
Come in un libro di Tolkien, oggi Szpunar sembra impersonare l’archetipo del nemico oscuro che, dalla sua lontana roccaforte, intende terrorizzare l’universo delle imprese balneari italiane, giustamente ostacolato da impavidi eroi che, alla fine della storia, lo rispediranno senz’altro nell’oblio. Tuttavia, prima di partire per l’ultima missione, sarà forse il caso di analizzare la sua relazione, anche per scongiurare il rischio di non cogliere, tra le righe, reali spunti di apertura o strade percorribili.
Le direttrici difensive dei ricorsi, vale la pena ricordarle, erano sostanzialmente tre. La prima questione è quella relativa alla similitudine invocata tra la fattispecie concessoria e la locazione commerciale. Essa viene affrontata in modo cristallino dall’Avvocatura generale, osservando che le locazioni commerciali attribuiscono a un individuo la possibilità di godere del bene pubblico, senza costituire autorizzazione che condiziona l’accesso all’attività di servizio, al contrario dalle concessioni demaniali che invece condizionano tale accesso. Il fatto che il rilascio della concessione demaniale comporti anche la messa a disposizione esclusiva di un bene pubblico, nella forma di un contratto di locazione, non può incidere sulla qualificazione di detto sistema come regime di autorizzazione.
La seconda questione è invece quella che punta sulla presunta identità tra la concessione demaniale e la “concessione di servizi”. Szpunar chiarisce, qualora ce ne fosse bisogno, che una concessione di servizi è caratterizzata dal fatto che l’Autorità affidi l’esercizio di un attività, la cui prestazione incomberebbe sull’Autorità stessa, a un concessionario, obbligandolo così a prestare il servizio determinato. Conclude, quindi, che la concessione demaniale non è affatto ascrivibile a tale categoria in quanto i Comuni non hanno nella propria mission la realizzazione e gestione degli stabilimenti balneari e il concessionario non è obbligato a realizzare detto servizio. Molto più sobriamente il regime concessorio sul demanio marittimo deve qualificarsi come «regime di autorizzazione rientranti nell’ambito di applicazione degli articoli da 9 a 13 della direttiva 2006/123». L’avvocato conclude, infine, sottolineando come sia inutile insistere su tale aspetto, dato che sottostare alla normativa delle concessioni di servizi, quindi degli appalti pubblici, renderebbe ancora più stringente e puntuale il divieto di proroga.
Infine, la terza questione presentata puntava sul concetto della non scarsità delle risorse naturali in gioco. Su quest’ultimo punto l’avvocato sostiene elegantemente che «sposti la discussione in maniera impropria» e che «per quanto riguarda le autorizzazioni rilasciate a livello comunale, occorre tener conto delle aree demaniali interessate. Orbene, nel caso di specie è evidente che si tratta di un numero limitato di autorizzazioni che mette in concorrenza i candidati potenziali alla procedura di selezione». Sostenere l’estraneità alla fattispecie descritta nell’articolo 12 della direttiva 123/2006, in quanto il numero delle autorizzazioni rilasciabili sulle spiagge non è limitato dalla scarsità delle risorse naturali, significa affermare che tale numero sia illimitato e quindi che ogni operatore economico si voglia insediare sulle nostre coste porebbe farlo in quanto vi è spazio per tutti. Sostenere questa tesi puerile assume i tratti dell’incoscienza. A meno che l’obiettivo non sia strappare un sorriso, questa tesi non dovrebbe più essere riproposta.
Ma alla fine del parere Szpunar indica, tra le righe, una possibile strada percorribile: «In ogni caso, ritengo che la giustificazione relativa al principio della tutela del legittimo affidamento invocata dai ricorrenti nel procedimento principale e dal governo italiano richieda una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare, attraverso elementi concreti, che il titolare dell’autorizzazione abbia potuto aspettarsi legittimamente il rinnovo della propria autorizzazione e abbia effettuato i relativi investimenti. Detta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica, come quella istituita dal legislatore italiano, che è applicata indiscriminatamente a tutte le concessioni demaniali marittime e lacuali».
Tali conclusioni sono le stesse a cui tre mesi fa pervenivo nell’articolo pubblicato su Mondo Balneare "Concessioni balneari: lo Stato ha leso il legittimo affidamento", di cui si riporta uno stralcio:
«Nei primi due casi, quindi, è pacifica la lesione del legittimo affidamento, trovandoci visibilmente in presenza di un comportamento della P.A. (autorizzazione a eseguire un dato intervento) sul quale il privato ha fatto legittimo affidamento, orientando i propri investimenti sull’area in concessione (aver contato per esempio su un tempo sufficientemente lungo per rientrare nell’investimento). Ogni situazione, quindi, dovrà essere valutata singolarmente, essendo evidente l’impossibilità a tratteggiare soluzioni generalizzate. Una proroga a 10 anni, infatti, potrà essere insufficiente per un imprenditore ed eccessiva per un altro, dipendendo per l’appunto dall’entità dell’investimento in gioco e dal momento storico in cui esso è stato effettuato (maggiore o minore vicinanza alla scadenza della concessione). Più che di proroghe, quindi, gli imprenditori dovrebbero invocare “correttivi alla durata della concessione” finalizzati a riportare il binomio investimento-durata nei canoni della legittimità».
Le soluzioni, quindi, esistono e possono essere portate avanti. I tempi per realizzare un lavoro approfondito, credibile, solido e indenne da ogni possibile censura, diventano sempre più ristretti. Noto con sconcerto, però, che al posto di costruire la dimora di mattoni, alcuni tra i politici e i rappresentanti sindacali stiano impegnando il pochissimo tempo a disposizione per ricostruire il grande castello di carta. Questo atteggiamento, che oggi deve senz’altro definirsi incosciente, assomiglia sempre di più all’annuale corsa degli gnu nelle fauci dei coccodrilli.
Ing. Giannicola Ruggieri – Master in Diritto ed Economia del Mare, Master in Diritto Internazionale del Mare (Università della Valletta – Malta), Docente di demanio marittimo per la scuola di formazione per funzionari di P.A. Trevi Formazione, consulente di P.A. in materia di demanio, consulente demaniale per Demaniomarittimo.com
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