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Veneto preoccupato per le concessioni quadriennali

Rischia di saltare la legge regionale presentata come "avanguardistica".

di Alex Giuzio

Infine, anche in Veneto sono sorti i problemi. Ci riferiamo ovviamente alle concessioni demaniali marittime, regolarizzate con grande anticipo dalla Regione Veneto (vedi il comunicato stampa e il nostro articolo), ovvero messe all’asta come impone la direttiva europea Bolkestein, ma ancora prima che il governo italiano si sia pronunciato ufficialmente sulla questione (l’ultima parola non è infatti ancora detta: i balneari non accettano di perdere le proprie attività).

Il Veneto ha infatti notevolmente giocato d’anticipo: a cominciare è stato il Comune di Bardolino, unica città della sponda veneta del Lago di Garda ad essersi adeguata già nel 2011 alle direttive comunitarie. I quattro stabilimenti lacustri di Bardolino sono stati messi a bando, con concessione della durata di sei anni. Il Comune è riuscito a incassare 1.200.000 euro complessivi, anziché i 250.000 a cui era abituato: tali soldi verranno per metà trasferiti alla Regione Veneto.

Se moltiplichiamo la cifra per tutte le concessioni demaniali lacustri e marittime (che sono quasi settecento), è facile pensare perché il Veneto si sia affrettato così tanto a mettere all’asta le concessioni: infatti, risale ad appena due mesi fa il comunicato dell’assessore regionale al turismo Marino Finozzi che informa della messa all’asta delle concessioni venete a partire dal 2016, con una durata imposta dai sei ai trent’anni.

Ma le prime tensioni sono sorte in seguito alle indiscrezioni filtrate dal governo, che parlerebbero di concessioni di durata quadriennale. Anche se tale disegno è stato smentito dal governo stesso, l’assessore Finozzi si è subito reso conto che la sua legge potrebbe saltare, se in contrasto con quella nazionale. «Le concessioni quadriennali decreteranno la morte del turismo balneare», ha dichiarato Finozzi al Corriere del Veneto. «Io ho previsto che le concessioni demaniali vengano assegnate per periodi dai sei ai trent’anni, sulla base degli investimenti effettuati. Con quattro anni, invece, si determinerebbe il solo sfruttamento della concessione, perché il ridotto tempo di gestione non permetterebbe di ammortizzare eventuali investimenti. Non da ultimo, le gare al rialzo potrebbero favorire l’ingresso di gestori dalle notevoli disponibilità economiche. Deduco che i professori del governo Monti hanno considerato le norme europee, ignorando che bisogna tener conto che il concessionario deve poter ammortizzare gli investimenti. Noi, nella nostra proposta di legge, lo avevamo previsto».

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