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Ufficiale la proroga di 5 anni. Ma il governo vuole incamerare

Gli imprenditori balneari non sono soddisfatti di un lieve posticipo che non permetterà di tornare a investire. Ma il governo, contrario persino ai cinque anni perché passibili di multe europee, non nasconde la volontà dell'incameramento dei beni.

di Alex Giuzio

(ore 22.00) – È stata ufficializzata questa sera la proroga di cinque anni delle concessioni demaniali marittime. La decima commissione del Senato al bilancio l’ha fatta inserire nel maxiemendamento al decreto sviluppo bis, nonostante la contrarietà del governo ribadita anche oggi dal ministro allo sviluppo Corrado Passera.

La decima commissione, con un emendameno firmato dai senatori Bubbico (Pd) e Armato (Pdl), aveva inizialmente proposto una proroga di trent’anni e l’eliminazione della delega all’attuale governo per legiferare sulle concessioni di spiaggia, che si trovano in una situazione di stallo dopo che, a novembre 2011, è stato abrogato il rinnovo automatico per adeguarsi alle disposizioni europee della direttiva Bolkestein. Ma la proposta dei trent’anni aveva ricevuto il parere negativo della commissione europea (vedi il comunicato del portavoce di Michel Barnier) e del governo Monti.

La trattativa ha perciò portato all’approvazione di una miniproroga di cinque anni. Il governo ha chiesto la fiducia sul decreto sviluppo bis, ma la proroga è stata inserita nell’unico maxiemendamento ammesso. Non appena quest’ultimo verrà votato (ci vorrà probabilmente qualche mese), la scadenza delle attuali concessioni di spiaggia sarà posticipata dal 2015 al 2020. Vista la fiducia, la votazione favorevole appare quasi certa.

La misura è stata ritenuta insufficiente dai sindacati balneari Sib-Confcommercio, Fiba-Confesercenti, Cna Balneatori e Assobalneari-Confindustria (vedi notizia precedente), che da anni lamentano di trovarsi in una situazione di incertezza normativa che ha portato al blocco totale degli investimenti in un settore fondamentale per l’economia turistica italiana. «La proroga di cinque anni non è la soluzione che le 30.000 imprese balneari italiane si aspettavano e della quale ha bisogno l’economia turistica del nostro Paese», tuonano i sindacati. «Questa proroga non dà fiato alle imprese né promuove gli investimenti. L’operato del governo non sta tenendo conto della posizione del parlamento, delle Regioni, dell’Anci, dell’Upi e delle associazioni di categoria, tutti contrari a una proroga inferiore ai 30 anni, visto che la Spagna ne ha proposti 75 e ha pure ricevuto il plauso della commissione europea alla giustizia».

Ma come si può leggere dal resoconto ufficiale della seduta pomeridiana del Senato, il governo era intenzionato a mandare gli stabilimenti balneari all’asta già nel 2015, ed è molto infastidito da tale proroga. In base a fonti parlamentari, sembra infatti che gli introiti derivanti dalle evidenze pubbliche delle concessioni demaniali facessero parte della strategia per il pareggio di bilancio. Invece, ora il governo Monti è preoccupato di ricevere una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea per il mancato rispetto dei principi della direttiva Bolkestein, seppure lunedì il direttore generale Kramer si sia dichiarato favorevole a una proroga di 15 anni. Come ha fatto notare una relazione tecnica presentata oggi dalla ragioneria di Stato e subito ripresa dai media nazionali, in questi giorni particolarmente avversi agli imprenditori balneari, «l’ulteriore estensione temporale delle concessioni risulta verosimilmente passibile di essere oggetto di una nuova procedura d’infrazione, che comporta il pagamento di una somma compresa tra 10.880 e 652.800 euro al giorno, per ogni giorno di ritardo successivo alla pronuncia della sentenza del tribunale di prima istanza della Corte di giustizia dell’Unione europea, e una somma forfettaria pari a 8.854.000 euro che sanziona la continuazione dell’infrazione tra la prima e la seconda sentenza della Corte di giustizia dell’Ue. La proroga, inoltre, potrebbe generare minori entrate rivenienti dal tardivo incameramento delle opere realizzate sul demanio marittimo».

Con l’ultima frase si sono svelati gli intenti del governo: il timore dei balneari è che i cinque anni di proroga possano essere utilizzati dal governo per incamerare i loro beni. A questo punto, oltre alla manifestazione già annunciata dai sindacati, serve un urgente confronto sia con l’Unione europea che col governo Monti, chiesto da diversi mesi ma mai ottenuto. Inoltre c’è la questione ambientale: le associazioni verdi sono nettamente contrarie alla proroga quinquennale, come ribadisce un comunicato odierno del Wwf (vedi qui), che «bolla come scempio ambientale i recenti emendamenti in materia di concessioni balneari». Secondo il Wwf, «serve l’approvazione di un maxiemendamento che garantisca lo status quo attuale, ovvero la cessazione di tutte le concessioni il 31 dicembre 2015. In questo modo si impedirebbe una prolungata, o addirittura ulteriore, cementificazione delle coste. Inoltre, si garantirebbe il rispetto della direttiva europea Bolkestein sulla libera concorrenza (che impone un’asta pubblica per l’assegnazione delle concessioni). Riguardo al risvolto occupazionale, il Wwf Italia ritiene che per salvaguardare le imprese familiari e il loro legame con il territorio occorra individuare una forma di applicazione della direttiva Bolkestein dove l’elemento di valutazione, ai fini dell’assegnazione di un area demaniale, non può essere la sola offerta economica, ma la scelta di un progetto di gestione ispirato a criteri di sostenibilità, salvaguardia, promozione territoriale, qualità dei servizi, legame dell’impresa col territorio».

Pare insomma necessaria l’istituzione di un tavolo anche con le associazioni ambientaliste, che insieme a quelle dei consumatori si sono dimostrate esageratamente avverse contro gli attuali imprenditori balneari: per come il ministro Gnudi ha proposto le evidenze pubbliche con la sua bozza di decreto, non è detto che gli eventuali nuovi titolari cesseranno di cementificare le coste e abbasseranno le tariffe.

Alla luce di questa intricata situazione, sembra che le associazioni sindacali e il movimenti si dovranno impegnare nell’organizzazione di numerosi tavoli di confronto in sede italiana ed europea, con la speranza di fare finalmente valere le proprie ragioni.

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