di Alex Giuzio
È stata rimandata per l’ennesima volta la soluzione al problema delle spiagge italiane. Nella legge di stabilità, votata ieri in Senato con un maxiemendamento, non c’è traccia di alcun articolo che preveda la salvezza dei 30 mila stabilimenti balneari dalle evidenze pubbliche minacciate dalla direttiva europea Bolkestein.
Nonostante l’ex Pdl e parte del Pd si siano attivati per risolvere l’annoso problema, il governo Letta non ne ha voluto sapere: la proposta di sdemanializzazione dei manufatti, proposta dal sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta (Pd) lo scorso 26 settembre e poi accolta con favore da tutto il Pdl, ha trovato proprio in una parte del Pd l’opposizione più forte, che ha portato all’esclusione del provvedimento. Il partito di centrosinistra, e in particolare il suo apparato emiliano-romagnolo e il ministro dell’ambiente Andrea Orlando, si è infatti arroccato su una posizione di contrarietà alla vendita di suolo pubblico, seppure vi insista da decenni un’impresa privata. Inoltre, il Pd non ha nemmeno valutato il compromesso di una lunga concessione (50-90 anni) proposta dal Pdl. Anzi, un emendamento presentato lunedì da Antonio D’Alì (Ncd) e Giorgio Snatini (Pd), poi fortunatamente bloccato, ha persino tentato di introdurre le famigerate aste con i paletti.
Ora tutto è rimandato alla Camera, quando la legge sarà riesaminata e ci saranno nuove speranze per l’inserimento di un emendamento a favore degli attuali imprenditori balneari, che ormai si trovano in un vicolo cieco senza la possibilità di investire con certezza.
Così le associazioni Sib Fipe Confcommercio, Fiba Confesercenti, Cna Balneatori, Assobalneari Confindustria e Oasi Confartigianato hanno commentato la spiacevole notizia: «Il tormentato iter di approvazione della legge di stabilità in Senato si è concluso senza l’adozione di alcuna decisione in merito alle problematiche riguardanti la balneazione attrezzata italiana. Riteniamo che questo sia il frutto di una discussione, sia mediatica che politica, caratterizzata da inesattezze, superficialità e persino evidenti calunniose mistificazioni strumentali. Come non ricordare che si è gridato al tentativo di “svendita delle spiagge”, mentre alcune proposte emendative presentati da appartenenti a diversi schieramenti politici erano finalizzate alla cessione proprio di tutto ciò che non può essere legittimamente considerato area demaniale e a un prezzo non di favore, ma di mercato! E come non restare stupefatti di fronte alle affermazioni incomplete e ingannevoli sui canoni demaniali per supportare l’accusa falsa di pagamenti irrisori dei balneari, quando agli stessi viene riservato un trattamento fiscale irragionevolmente penalizzante come l’Iva, al 22% invece che al 10%, come per tutte le altre imprese turistiche; l’Imu, unici a doverla pagare quali affittuari e non proprietari; la Tares, calcolata sull’intera superficie oggetto di concessione (fino alla battigia!). Nonché una vasta gamma di servizi offerti ai cittadini a totale carico dei concessionari, (solo a titolo di esempio: sicurezza e salvamento in mare, pulizia dei litorali compresa la battigia, primo soccorso, ecc. ecc.). A farne le spese sono le 30.000 imprese italiane che rappresentiamo – e che meriterebbero di essere difese, incentivate e sostenute quale peculiarità ed eccellenza italiana – e che costituiscono un fattore di successo e di competitività del turismo nazionale. Ma a farne le spese è stato anche l’intero Paese che, soprattutto in questo momento di grave difficoltà finanziaria, meriterebbe una discussione seria, correttamente informata e razionale per trattare un problema che riguarda il futuro di un settore importante per la nostra economia, anche in termini di investimenti e di occupazione e non, come purtroppo è già successo in altre occasioni, la presa di posizione pregiudiziale di chi continua a opporsi a qualsiasi iniziativa che riguardi questo settore, con argomentazioni fragili e inconsistenti, in alcuni casi palesemente strumentali, arrivando persino a infangare e demonizzare decine di migliaia di imprese a conduzione familiare. Ci auguriamo che la Camera, in sede di riesame del Ddl Stabilità, diversamente da quanto è successo in Senato, sappia affrontare tale delicata questione con la serenità e la cognizione di causa che spetta a un settore cruciale per la competitività del nostro Paese, rappresentato dalla balneazione attrezzata italiana».
Dispiaciuta è la senatrice del Pd Manuela Granaiola, che si è come sempre battuta per una soluzione favorevole agli attuali concessionari balneari: «Tutto è da rifare. Dopo anni di discussioni avevamo a portata di mano una soluzione intelligente per la questione delle concessioni demaniali marittime, soluzione prospettata addirittura da un esponente del governo e dal direttore dell’Agenzia del demanio, e ce la siamo fatta imbrattare da becere affermazioni populistiche e da qualche pseudo-ambientalista, anche parlamentare, anche governativo, che nella più completa non conoscenza, per non dire ignoranza, della materia ha rimescolato le acque e ha tentato di riportarci indietro di anni su un percorso faticoso, accidentato che è costato energie, soldi, occupazione, lavoro a tutti coloro che gravitano nel settore. Ricordo che si tratta di circa 30 mila imprese e tre milioni di lavoratori, considerando l’indotto. Questo clima avvelenato ha portato al ritiro forzoso, e forzato, di alcuni emendamenti anche da me proposti al Ddl Stabilità che non prevedevano la vendita delle spiagge ma la loro regolarizzazione, peraltro a titolo molto oneroso, di una situazione di fatto realisticamente non modificabile e la ridefinizione di quanto ancora si può considerare demanio marittimo. In commissione bilancio abbiamo avuto una rappresentazione a dir poco paradossale dell’ultimo tentativo del governo di proporre una soluzione. Eravamo tutti ansiosi di conoscere il testo della proposta e cosa è uscito dal cilindro? Un emendamento irricevibile che riportava tutta la categoria nella palude delle ‘aste con i paletti’ con l’aggravante della maggiore offerta che apriva le porte agli appetiti più pericolosi di detentori di ingenti capitali, spesso malavitosi. Un emendamento che non salvava neanche i ‘pertinenziali’ e che fortunatamente a notte fonda i relatori si sono decisi a ritirare. Ora tutto si sposta alla Camera, dove mi auguro che nessuno cerchi di alzare una bandierina contro o a favore e si cerchi davvero di portare avanti a una soluzione che è lì a portata di mano e che, se adottata, porterebbe beneficio a tutti i lavoratori del settore, all’economia del paese, al turismo, all’ambiente, al decoro delle nostre spiagge, alla sicurezza delle nostre coste. Ma sappiamo bene che nel nostro paese le soluzioni intelligenti sono le più difficili da adottare».
Infuriato anche l’europarlamentare Carlo Fidanza (capodelegazione Fratelli d’Italia al parlamento Ue): «Con l’approvazione della legge di stabilità al Senato si è messa la parola fine all’ennesima presa in giro del governo e della maggioranza ai danni di 30 mila imprese del comparto balneare. Eravamo stati facili profeti nel prevederlo, constatando l’assoluta mancanza di volontà del governo di risolvere la questione a livello nazionale né tantomeno di aprire un negoziato a livello europeo. La guerra per bande nel Pd, l’assoluta irrilevanza del presunto "nuovo centrodestra" nelle scelte economiche del governo di centrosinistra, unite a un po’ di qualunquismo finto-ambientalista, hanno portato all’ennesimo rinvio. Permane quindi la spada di Damocle delle aste, senza nemmeno la certezza che l’Ue non impugni l’ultima proroga al 2020. Gli investimenti rimangono bloccati e l’esasperazione cresce. L’ennesimo capolavoro del governo Letta».
Il fatto ancora più grave, come ha già sottolineato la senatrice Granaiola, è che non sia stato nemmeno risolto il problema più urgente dei concessionari pertinenziali, cioè i circa duecento imprenditori balneari che hanno visto schizzare i loro canoni a centinaia di migliaia di euro all’anno a causa dell’applicazione dei valori Omi. Così recita il comunicato del Coordinamento concessionari pertinenziali: «Prendiamo atto dell’ennesimo tentativo andato a vuoto di una risoluzione per l’ingiustizia che ci colpisce. Eravamo riusciti a intavolare una trattativa esclusivamente sui maxi canoni, ma questa è stata disturbata dalla prorompente richiesta di una sdemanializzazione a metà settembre. Questa unione dei temi ha impedito la presentazione di una risoluzione direttamente nella prima stesura della legge di stabilità, e ora a impedire la risoluzione per noi ecco arrivare una delega al governo che risulta essere la causa del ritiro. Ci batteremo per far sì che alla Camera i due temi siano divisi, essendo due problemi distinguibili. Nell’attuale situazione, manca per noi la fondamentale definizione dei canoni per il futuro a partire dal 2014 a riordino della determina, e non capiamo che calcolo di introito dovranno applicare i Comuni. In conclusione, nei prossimi giorni noi pertinenziali con maxi canoni sapremo se le nostre aziende saranno salvate oppure condannate alla fine. Ringraziamo l’attenzione rivoltaci dal governo, dalle forze politiche e dai sindacati di categoria che hanno capito il nostro dramma e si stanno impegnando per risolverlo, ma a loro chiediamo con forza che questa ingiustizia si risolva alla Camera. Il tempo sta per scadere e gli stessi saranno responsabili, qualora non si eviti la chiusura di duecento aziende turistiche, di non aver fatto incassare soldi allo Stato, di distruggere duecento immobili dello Stato che diventeranno ruderi e che costerà più della nostra soluzione riportarli a una situazione accettabile, responsabili di mandare per strada 1.500 famiglie dei nostri collaboratori che con lo stipendio potevano vivere».
Alla luce delle pessime notizie, i balneari del Comitato salvataggio imprese e turismo si sono riuniti in assemblea a Viareggio e hanno invocato nuove manifestazioni per ribadire la loro esasperazione e l’urgenza del problema. La richiesta al governo Letta è quella di recarsi in Europa per trattare con la Commissione europea. Inoltre, è più che mai opportuna una corretta informazione dell’opinione pubblica: le recenti distorsioni della stampa generalista hanno spacciato per "vendita delle spiagge" ciò che invece voleva essere una tutela di 30 mila piccoli imprenditori familiari.
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